José Luandino Vieira, Di fiumi anziani e guerriglieri, 1. Il libro dei fiumi: le sorprendenti articolazioni del romanzo africano (a cura di Rosella Clavari)

 

“La letteratura può anche essere un gioco. Un appassionante gioco ‘a nascondino’ con le parole. Queste possono dire quello che non avete detto o quello che avete detto o più di ciò che avete detto. Esiste ora un problema di linguaggio, una svalutazione di questo linguaggio. [……. ] La lingua ha bisogno di persone che vi si dedichino sempre di più. Per ‘tropicalità’ io intendo l’uomo della foresta vergine che ha un rapporto particolare con la linea retta. Voglio dire che se desidero andare da questo punto a quello, sono obbligato a passare di qua, a ripassare da quella parte e a ripassare da un’altra ancora, perché c’è l’acqua, perché c’è un tronco abbattuto o perché c’è un serpente. Penso che la mia lingua, in qualche modo, sia così. Non sono in grado di dedicarmi anima e corpo alla linea retta”.
Ho voluto riportare queste frasi del grande scrittore congolese Sony Labou Tansi pronunciate durante un convegno tenutosi in Italia, per riflettere sull’attualità di questo assunto a proposito della scrittura di Laundino Vieira e  - se è possibile ridurre in una categoria le varie espressioni culturali del continente -  della sua africanità.
Le nostre categorie eurocentriche si sforzano di individuare nella potenza del suo linguaggio somiglianze con i nostri generi conosciuti ( Tabucchi ha parlato di lui come  del “ Gadda africano”) quali possono essere il surrealismo, il futurismo, ma è sempre limitante nel giudizio artistico della sua opera. Forse, e non sembri irriverente il paragone, se come nei testi sacri, la Scrittura si interpreta con la Scrittura stessa, anche per  quanto riguarda la letteratura africana ( sorta dopo il colonialismo ma nata prima di esso con tutto il peso della sua tradizione sapienziale nella letteratura della memoria)  un autore può essere spiegato alla luce di un altro.  
All’interno delle sue riflessioni Sony Labou Tansi afferma che “ciò che caratterizza il romanzo è una linea, un taglio preciso, un percorso preciso. Non troviamo questo passo nella vita……Credo quindi che la vita sia qualcosa che esplode. Non so se scrivo romanzi, e non so se ci sono molti africani che ne scrivono. Non so. Noi poniamo delle domande” . Da questa espressione paradossale ci caliamo nel romanzo di Luandino Vieira e nel suo vorticoso procedere non lineare lungo il corso dei suoi fiumi.
La storia si svolge in Angola nel 1965 nel pieno della guerra d'indipendenza contro il dominio portoghese seguendo le vicende di un ragazzo, Kapapa prima pescatore in compagnia del padre, poi guerrigliero in quelle stesse acque in cui una tempesta lo ha rovesciato; cambierà il suo nome in Kene Vua che significa “Senza Pericolo”e nascerà guerrigliero dopo essere passato da testimone a boia del traditore del popolo Batuloza. Le dimensioni del presente e del passato si intersecano evocando in alcuni momenti la memoria delle colonizzazioni del '600 e la tratta degli schiavi.
La cruda realtà della battaglia convive con una esistenza in simbiosi con la natura che apre degli squarci lirici di grande potenza a partire dalle prime pagine ”l'anima mia scorre profonda come le acque di questi fiumi” per chiudere il primo capitolo con l'espressione totalizzante “Dirò di più: sono fiume anch'io”. Qui un fiume protagonista è anche in intimo dialogo con il giovane: “il mio mare mi abitava ancora dentro in segreto tumulto; anche nel verde della foresta sento una bassa marea di nostalgie, coi miei vuoti, le mie voragini e montagne”; “vidi il cielo come un fiume con la sua corrente di nuvole”.
Il peso della tradizione orale interviene con le sentenze ereditate ed evocate a scandire un destino ineluttabile: “il cammino dell'aquila nel cielo/del serpente sulla roccia/della nave sul mare/ dell'uomo alla sua morte”.

Il fiume con l'albero è un elemento centrale della vita e della poetica africana; qui i fiumi (in particolare il grande e sacrale fiume Kwanza) racchiudono la storia di un paese che ascende a rappresentazione mitica di un intero continente martoriato.
Luandino fa parlare i fiumi e gli spiriti che vi abitano per raccontare i fatti cruenti dell’Angola e decide che la natura è protagonista e dominatrice in questo testo, è lei che ci guarda e che ci racconta. L’influenza della poesia, come per altri grandi autori lusofoni produce delle creazioni di struggente potenza all’interno della narrazione ma non manca la sua caratteristica ironia fatta di allusioni, parossismi, assurdi.
Probabilmente bisogna essere molto padroni del portoghese se non del creolo o di quel particolare meticciato verbale dovuto alla fusione della lingua dei colonizzatori con quella africana ( un glossario di ben 29 pagine) per comprendere a pieno l’opera ; tuttavia inseguendo la sua forza drammaturgica, leggendolo ad alta voce, come un fiume in piena, percepiamo attraverso le maglie del tessuto narrativo, l'orrore, la resistenza, la sofferenza di un uomo legato alla sua terra , l’Angola, che per essa ha lottato e scontato lunghi anni di carcere. L’esasperazione umana di un intellettuale come lui qui si sublima in una sorta di visionarietà accompagnata sempre da una lucida e impietosa critica sulla situazione storica contemporanea.
A proposito dei problemi concernenti la traduzione, molto interessante e degno di nota si rivela l'articolo del traduttore in questione Daniele Petruccioli “Le lingue sregolate”in cui si evidenziano le strategie possibili per essere fedeli allo spirito dell'opera: “come rendere i frequenti passaggi dal discorso in terza persona a quello in prima persona?” “come rendere nel nostro idioma le dinamiche ritmiche e sintattiche di un portoghese rimasticato, in un certo senso 'sonorizzato' da un autore africano?”  
Petruccioli può constatare che facendo i conti con una lingua meticcia ribelle che pullula di oralità si scoprono le infinite possibilità dell'italiano che non è proprio così immobile come sembra ma anzi capace di sfide della fantasia con qualche acrobazia.

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