Intervista/incontro con lo scrittore Amara Lakhous

 

Incontro con lo scrittore AMARA LAKHOUS, autore del romanzo Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, Vincitore del Premio Flaiano 2006

L'incontro si è svolto durante la XI edizione di “Cinema fuori e cose che capitano”, manifestazione organizzata dal Comitato di Promozione Sociale Vigne Nuove del IV Municipio di Roma, 29 Luglio 2006, ed è stato condotto da Rosella Clavari - Associazione Scritti d’Africa
 
 
Rosella Clavari: Questa sera abbiamo il piacere di avere con noi Amara Lakhous, scrittore nato ad Algeri nel 1970, dove si è laureato in Filosofia, e che vive a Roma dal 1995. Giunto in Italia, ha studiato la nostra lingua e si è laureato in Antropologia Culturale alla Sapienza. E a Roma svolge la sua attività di giornalista, traduttore, mediatore culturale, e di scrittore.
Amara Lakhous è un autore dalla doppia produzione linguistica: i suoi romanzi sono scritti sia in arabo che in italiano, sua lingua “adottiva”.  Il libro di cui parleremo è nato in arabo con il titolo Come farti allattare dalla lupa senza che ti morda. È stato poi riscritto dall’autore in italiano - non tradotto, bensì riscritto - con il titolo Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio, e ha vinto il Premio Flaiano 2006.
Mi viene in mente una strana coincidenza: undici anni fa nasceva qui la I edizione di “Cinema fuori e cose che capitano” con la viva presenza, tra la gente del quartiere, del Presidente onorario di questa manifestazione, il grande regista britannico Ken Loach, che nella sue opere ha saputo entrare con naturalezza e sensibilità nel mondo della gente comune, degli operai, delle persone sole, degli emarginati. 
Anche Amara, che è approdato in Italia undici anni fa, ama far parlare quella stessa gente, e  il suo romanzo è ambientato nel popolare, multietnico quartiere di Roma che è Piazza Vittorio. 
In un’intervista recente Amara Lakhous rileva che la maggior parte degli scrittori contemporanei mettono al centro delle loro opere il personaggio dell’intellettuale (giornalista, scrittore, avvocato, o chiunque svolga un ruolo di guida). Amara, dal suo canto, ama far parlare la gente comune, gli interessa il punto di vista del barbiere sotto casa o della portiera del palazzo. Il suo romanzo è popolato da questa varia umanità che si fa avanti. Uno alla volta, in una sorta di forma teatrale, i personaggi si manifestano a noi, raccontandoci la loro versione dei fatti. 
 
Domanda: A proposito di mestieri e professioni, ho letto da qualche parte questa tua espressione: “la professione è la seconda religione”. Potresti spiegarcela?
 
Amara Lakhous: Si tratta di un proverbio francese. Quando una persona esercita un mestiere rappresenta anche un mondo. Una portiera romana ha le stesse abitudini e ossessioni e tende ad esprimersi così come farebbe una portiera algerina. E’ interessante ritrovare nella professione comune a due persone di diversa origine uno stesso immaginario e gli stessi punti di riferimento. Anche per questo, come hai detto tu prima, trovo interessante esplorare il mondo della gente comune con i loro vari mestieri, confrontare mestieri e professioni differenti, entrare nel loro mondo di regole, di affetti e di parole.
 
Domanda: Un’altra domanda che vorrei farti, e che non credo sia facile soddisfare in poche parole, è questa: che cosa nel pensiero italiano che si traduce in parola hai trovato di particolare, di interessante e di differente dal pensiero e dalla lingua araba? Per fare un esempio banale, la lingua araba potrebbe avere un maggiore lirismo, quella italiana essere più realistica, oppure l’una o l’altra potrebbero essere caratterizzate da una maggiore capacità di sintesi o di analisi.
 
Amara Lakhous: Effettivamente è una domanda molto complessa. Io scrivo prima il mio testo in arabo, poi lo riscrivo in italiano. Dico “riscrivo”, perché non si tratta di una semplice traduzione. Posso togliere, aggiungere, modificare, ricreando il testo a mio piacimento. Posso dire che non abbandonerò mai la scrittura in lingua araba, perché è la mia lingua madre. E’ molto difficile scrivere in un’altra lingua con padronanza totale se non si è stabilita con essa una profonda intimità. In questo libro, ho faticato molto: ho fatto quaranta versioni della riscrittura italiana prima di approdare alla versione definitiva del romanzo, sottoponendolo al vaglio degli amici, chiedendo consigli sull’uso di certi termini e scegliendo infine quello che mi soddisfaceva di più.
Posso dire che la cosa che apprezzo di più al primo impatto con la lingua italiana è la sua musicalità, e la capacità dei vari dialetti di rappresentare la realtà con grande efficacia.
Mi dicono che il mio è un italiano strano, non conforme ai canoni classici, ma è proprio quello che voglio, perché l’espressione che ne viene fuori rispecchia di più la realtà e la mia singolarità.
 
Rosella Clavari: A proposito dell’uso dei dialetti, ricordo che le fonti di ispirazione della struttura del romanzo di Amara sono state il romanzo Quer pasticciaccio brutto di Via Merulana di Gadda (da cui è stato tratto anche il film “Un maledetto imbroglio” con il grande Pietro Germi), e la commedia italiana (da Totò a Sordi).
Voglio ripercorrere velocemente la trama del romanzo di Amara: in uno stabile situato nella popolare e multietnica zona romana di Piazza Vittorio, viene  trovato dentro l’ascensore il cadavere di un losco soggetto, soprannominato “Il Gladiatore”. Un certo Amedeo, che è il protagonista nascosto del romanzo, viene accusato dell’omicidio. Tutti  gli inquilini e gli abitanti dei dintorni dello stabile vengono interrogati dal commissario Bettarini e si danno da fare per scagionare Amedeo da tali infamanti accuse.
Ma chi è Amedeo? A mio parere, dietro di lui (il suo vero nome è Ahmed) si cela lo scrittore stesso, che ha vissuto nella zona dell’Esquilino per un certo periodo della sua vita. Ahmed alias Amedeo viene scambiato per italiano perché parla molto bene la nostra lingua, ed è amato da tutti perché mette al servizio dei suoi amici immigrati questa sua conoscenza. L’ho definito protagonista nascosto, perché è l’unico che conosciamo, non attraverso una dichiarazione esplicita davanti a un immaginario commissario, ma dalle pagine del suo diario.
Gli altri sembrano invece autentici personaggi teatrali che danno vita a una sorta di polifonia. Naturalmente non posso svelare il finale del giallo, anche se in fondo il giallo sembra piuttosto un pretesto per dare la parola a questa varia umanità: dalla portiera napoletana al barista romano, dall’iraniano Parviz al milanese razzista Antonio e a tanti altri ancora (si tratta di ben dodici personaggi).
Un brano del romanzo, in cui il protagonista parla attraverso una pagina del suo diario, affronta il tema del razzismo:
 
Questa mattina Iqbal mi ha chiesto se conoscevo la differenza tra il tollerante e il razzista. Gli ho risposto che il razzista è in contrasto con gli altri perché non li crede al suo livello, mentre il tollerante tratta gli altri con rispetto. A quel punto si è avvicinato a me, per non farsi sentire da nessuno come se stesse per svelare un segreto, e mi ha sussurrato: ‘Il razzista non sorride!’. Ho pensato tutto il giorno al razzista che rifiuta di sorridere e mi sono reso conto che Iqbal ha fatto un’importante scoperta. Il problema del razzista non è con gli altri ma con sé stesso. Direi di più: non sorride al prossimo perché non sa sorridere a sé stesso. E’ proprio giusto quel proverbio arabo che dice: “Chi non ha non dà”. 
 
La capacità di sorridere di cui parla Amara la possiamo ritrovare nell’ironia che affiora nella sua scrittura, anche laddove tratta argomenti dolorosi e drammatici, come la situazione di chi è solo lontano dalla propria patria, soffocato dalle pressioni e dalle assurde attese di una burocrazia schiacciante. Sarebbe facile sconfinare nella satira feroce, nel grottesco o nel surreale, più compatibili come generi a situazioni di vero e proprio “assurdo esistenziale”.
Invece Amara Lakhous riesce a mantenere, senza acredine e senza violenza, attraverso la forma lieve dell’ironia, una qualità superiore di analisi: ironia quindi come possibilità di ridimensionare la realtà e di superare il dolore.
 
Voglio citare, per concludere, due brevissime recensioni sul romanzo di Amara:
 
Questo benedetto scrittore algerino è stato capace di sbatterci in faccia una ovvietà rivoluzionaria. Senza parole e senza conoscenza, nascono diffidenza, disperazione, violenza. Dove non ci sono parole, prospera l’illegalità”.
Paolo Fallai, “Il Corriere della Sera”
 
Amara Lakhous ha scritto un’opera deliziosa, delicatissima nell’affrontare problemi seri e profondi, estremamente rispettoso nel trattare ognuno dei suoi personaggi, persino il più svitato, persino il più folle. Il tutto condotto con un’ironia, una finezza, una teatralità davvero rari. Da leggere tutto d’un fiato. E vi assicuro, dopo aver letto questo libro, se vi capiterà di passare per Piazza Vittorio, non la guarderete più allo stesso modo, e cercherete tra i volti quello di un bengalese, di un iraniano, di un algerino che avete conosciuto.
Yasmine Roberta Catalano, recensione pubblicata sul sito www.scrittidafrica.it

Amara Lakhous: Devo dire che non mi aspettavo davvero il grande successo che ha avuto e sta avendo ancora questo mio romanzo. Tra le altre cose, la casa editrice proprio in questi giorni mi ha fatto sapere che dal libro verrà tratto un film. Devo confessare che per me l’operazione di riscrittura in italiano è stata davvero una grande fatica, e non so se potrò farcela ancora. Sicuramente continuerò a scrivere in arabo, perché trovo giusto lavorare su due registri linguistici e non abbandonare le mie radici.
Secondo me il successo di questo romanzo è legato al fatto che anticipa una situazione di immediato futuro. Probabilmente avrà ancora maggiore solidità nel futuro.
 
Rosella Clavari: voglio concludere dicendo che il romanzo di Amara è fortemente rappresentativo di una città che sta cambiando il suo volto e che in certi luoghi - come Piazza Vittorio - lo ha già cambiato, assumendo un aspetto multiculturale.
Quello di Amara, non è solo un romanzo giallo, ma è un romanzo di introspezione, che ci permette di guardarci allo specchio, di interrogarci su quale rapporto abbiamo con gli immigrati, e ci fa comprendere un po’ di più il nostro essere italiani. 
Ringraziamo Amara Lakhous anche di questo.
 
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