SCHERMI D'AFRICA - un viaggio nel cinema attraverso i paesi dell'Africa -

SCHERMI D'AFRICA

Un viaggio nel cinema attraverso i paesi dell’Africa.

 

Introduzione

Facendo riferimento al seminario online sul cinema africano condotto da Anna Maria Gallone (16-17 ottobre 2021), con alcuni aggiornamenti attraverso le nostre recensioni nella sezione Cinema, qui ci permettiamo di fare un breve excursus su questa arte che tanto consenso ancora riceve nel mondo nonostante si parli di crisi e sale vuote. Il cinema che nasce in Africa spesso ci restituisce una autenticità di contenuti e di modi di raccontare, nel corso del tempo e dei cambiamenti epocali, dovuti a una saggezza antica che non è un semplice stereotipo ma è un saper prendere le distanze dalla mistificazione, dall’esagerazione, e divenire un veicolo di denuncia del male subito in cui ci possiamo specchiare.

Importante premessa è che il cinema africano proprio perché giovane rispetto all’Europa e all’America, si può trattare a grandi linee ma dato che è una realtà in espansione e che l’Africa è costituita di tanti paesi diversi tra loro sarà necessario per un ulteriore approfondimento fare delle monografie trattando una tematica e un’area geografica per volta.

Con questo volo d’uccello non si pretende di far conoscere il cinema dei vari paesi africani attraverso un arido schematismo, in realtà si vuole invogliare a visionare alcuni film sulle piattaforme di raiplay o netflix e a suggerire alcune proposte monografiche: per esempio, in successivi seminari, “il film d’animazione”, “film sull’infanzia”, “ritratti di donne”.

Il cinema africano, o meglio delle Afriche, nasce al momento delle indipendenze, negli anni ’60.

Con la prima generazione di registi, abbiamo un movimento visionario e anticolonialista:

Paulin Soumanou Vieyra ( Benin-Senegal 1925- Parigi 1987) storico del cinema, attore, regista e produttore.

Ricorderemo di seguito nel dettaglio le grandi figure di Moustapha Alassane, Sèmbene Ousmane, Oumarou Ganda, Gaston Kaboré.

Alla fine degli anni ’80, passando dalla denuncia del colonialismo e delle tensioni sociali alla valorizzazione della cultura africana, abbiamo i grandi film d’autore:

Idrissa Ouedraogo e Souleymane Cissé di cui parleremo a parte;

I filmTouki Bouki”, “Hyenes”, “La petite vendeuse de soleil“ di Djibril Diop Mambety;

Mambety”, “Mortu nega”, “Les yeaux bleu de Yonta”, “Nha Fala” del regista Flora Gomes (Guinea Bissau);

Heremakomo” e “La vie sur terre” del mauritano Abderrahmane Sissako in cui la bellezza è vista soprattutto come rimedio alla barbarie ;

InDaratt” e “Un homme qui crie” del ciadiano Mahamat Saleh Haroun abbiamo il dilemma tra vendetta e perdono.

Sulla piattaforma Raiplay alcuni di questi film sono visionabili nella sezione “fuori orario cose (mai) viste”

All’inizio degli anni ’90 abbiamo l’epoca d’oro del cinema africano; cominciano a comparire film dell’ Africa orientale e due novità importanti:

il DIGITALE e NOLLYWOOD (in seconda posizione rispetto a Bollywood, superando quello statunitense); la conseguenza di questa affermazione del digitale, comporta l’uscita di molti corti e lunghi ma anche di opere scadenti; a volte la scelta del digitale può andare a favore della quantità ma a discapito della qualità.

Potremmo dire che assistiamo in questa produzione a una sorta di auto-rappresentazione della comunità nigeriana con uno sguardo afrocentrico.

Prima parte

A proposito del cinema e dei suoi luoghi, va ricordato il Fespaco, festival che si svolge nel Burkina Faso e quei cinema ambulanti, palpitanti di emozioni cui spesso Anna Maria Gallone ha partecipato. Per noi italiani un ricordo emozionante è il Primo Festival del Cinema Africano promosso dal COE a Milano nella settimana dal 1 al 7 febbraio del 1991. Tra gli attori che parteciparono come ospiti alla prima edizione ricordiamo Sotigui Kouyate.

Dal 2004 la rassegna verrà estesa anche ad America Latina e Asia.

Il primo film girato in Africa è di Sembène Ousmane (Senegal 1923- 2007) :“Il carrettiere” titolo originale “Borom Sarret” (1963) molto importante per la storia del cinema subsahariano. Mette in rilievo il contrasto tra il ceto del villaggio e la borghesia di Dakar ; segue “La noir de…”(1966) che nasce come romanzo ed è tratto da un fatto di cronaca. Sembène Ousmane con la sua arte ci teneva a formare culturalmente i giovani e diffidava dei bianchi .

Egli inizia tardi, a 40 anni, passando dalla scrittura al film. Altri suoi film: “Xala” del 1975 tratto dal suo romanzo e “Champ de Thiaroye” (1987) che narra il massacro dei fucilieri senegalesi; “Guelwaar” (1992) premiato al Festival di Venezia, narra degli scontri religiosi per la sepoltura di un cadavere; “Faat Kiné” (2000) narra la scalata sociale di una intraprendente 40enne senegalese. Dal terzo film il colore è vivacissimo. Sembène si era proposto una trilogia di film sulla povera gente ma abbiamo solo il primo, data la sua morte prematura. Si tratta di “Moolaadé” (2004) alludendo al nastro messo all’ingresso delle abitazioni per proteggere la donna dalla pratica dell’escissione e infibulazione.

 

Moustapha Alassane (Niger 1942- Burkina Faso 2015)) con il film di animazione “Kokoa” (2001) realizzato con figure ispirate agli insetti : la rana, il granchio etc, i ranocchi per raffigurare il pubblico, nel rappresentare un incontro di pugilato. Autore fecondissimo.

 

Oumarou Ganda (Niger,1935-1981) al quale hanno dedicato anche dei francobolli. Cabascabo” (1968) in lingua zarma, film sull’esperienza dello stesso regista come soldato in Indocina. “Le Wazzou Polygame” ha ricevuto il Premio Fespaco 1972.

Ganda è stato anche attore. Gli attori africani ci capita di vederli da una regione all’altra, da un film all’altro. Il protagonista di “Samba Traorè”di I.Ouedraogo, si vede anche in altri film di altri paesi; lo stesso regista Djibril Diop Mambety ha recitato in un film italiano “Decamerone nero” e in “Hyenes” nel ruolo del maggiordomo.

 

Gaston Kaborè (Burkina, 1951) realizza “Wend Kuuni (1982) che significa “Il dono di Dio”, un tipo di cinema neorealista che custodisce le antiche tradizioni; “Lumière et compagnie” (1995): per celebrare i fratelli Lumière lui e altri 40 registi realizzarono questo film con la cinepresa originale dei Lumière.

In Burkina il cinema ha trovato ampia diffusione grazie anche a Sankara che promosse la cultura e, come altri leader costruttori di pace, venne ucciso dai suoi traditori. Il Fespaco ha perduto di qualità nel tempo ma per 10 anni è stato sostenuto dal COE di Milano. Tra i registi citati, Djibril Diop Mambety aveva una grande conoscenza del cinema europeo, altri sono partiti da una tabula rasa. Molti registi vengono dal teatro. La presenza di un substrato teatrale è fortissima, sia il teatro di strada che quello ufficiale, soprattutto nel Maghreb. Gli attori sono tutti del teatro, il teatro è antecedente al cinema

 

L’ondata successiva di registi comprende:

 

Idrissa Ouedraogo (Burkina 1954-2018) con un film di amicizia e di stregoneria “Yaaba” (1989) che guarda all’Africa perduta, dei villaggi.

Nella prima fase il cinema africano procede parallelo al genere letterario nel senso che molte opere nascono da romanzi che ispirano il film, in seguito le sceneggiature saranno originali. “Yaaba” con la sua stupenda fotografia documenta l’aridità della regione del Sahel. Prima di questo film abbiamo “La scelta” (1987) che parla di contadini che vanno in città, una città vista in maniera negativa. Segue “Samba Traorè” del 1992 dove la morale è che i soldi sporchi portano solo al male. “La crie du coeur” (1994) dove compare una iena, ossessione del protagonista, un bambino cresciuto in Mali che viene portato dalla famiglia a Lione. Un realismo crudo permea l’ultimo film del grande Idrissa : “Kim e Adam” (1997). Il regista uscirà, dopo questi film, dall’ambito francese per ritornare in Burkina e questo gli costerà caro poiché i francesi non lo aiuteranno più. Entrerà allora nel governo del suo paese, ma perdendo la sua creatività; “La colère de Dieu”(2003) non ha la forza dei film precedenti. Purtroppo questo straordinario regista, in vecchiaia si ritroverà dipendente dall’alcool e avendo perso tutto quello che aveva guadagnato. Fece anche un film per la tv, “Kotokato” del 2006.

 

Djibril Diop Mambety (Dakar 1945- Parigi 1998). Regista con una grande capacità di formare gli attori e una poetica visionaria ; “Touki Bouki” (1973) ovvero “Il cammino della iena”. La iena rappresenta il potere e lo sfruttamento. I ragazzi girano per la città dove vediamo la scena poetica della coppia innamorata; di seguito la scena di abbattimento degli zebù. Colonna sonora è “Paris, Paris” alludendo al sogno di andare in Francia e così alla fine ritroviamo i protagonisti vestiti all’europea.

Djibril, poeta e visionario, è considerato il regista della piccola gente. “La petit vendeuse du soleil” (1999) parla di una donna che ha tre handicap: è storpia, è donna, non è cattiva. Hyenes (1992) è basato su una pièce di Durrenmatt “La visita della vecchia signora”: ambientato in un ipotetico villaggio dell’Africa occidentale negli anni ’80, parla di un uomo che torna al suo villaggio per una vendetta familiare. L’ex-amante offre del denaro per riconquistare la donna; si esprime l’odio per il denaro che però viene scelto dal popolo. Il film fu presentato durante il Fespaco in Burkina.

 Souleman Cissé (Mali, Bamako, 1940) realizza film di carattere sociale. In “Yeelen, la luce” (1987) si descrive una lotta tra padre e figlio, per esercitare la magia, nel paesaggio Dogon. E’ anche il primo film dove si ricorre agli effetti speciali; “Finiè” ( Il vento,1982) “Waaki” (Il tempo, 1995). E’ il più grande tra i registi dell’area subsahariana.

 Jean-Pierre Dikongué Pipa (Camerun, 1940) la cui attrice preferita è Naky Si Savanè, ivoriana; “Muna moto” (1975) è una versione africana di Romeo e Giulietta.

Cheick Sissoko (Mali, 1945) “Gumba” del 1995 con un messaggio di pace; ”La Genèse” del 1999 è ispirato ai cap. 23-27 della Genesi.

Haile Gerima ( Etiopia, 1946) che vive negli Stati Uniti è autore di “Sankofa” (1983), un film sullo schiavismo: parla di un afroamericano che torna in Africa per ritrovare le proprie origini.

 Mansour Sora Wade (Senegal, 1952 ) “Le prix du perdon” (2001), nel film sono citati molti proverbi e nei costumi troviamo l’uso di abiti tradizionali accanto ad abiti all’europea;

 

Un cenno particolare merita

Jean-Marie Teno (Camerun, 1954) autore “arrabbiato” in tutti i suoi film tra cui ricordiamo il docufilm “Afrique je te plumerai”(1992).

Moussa Sene Absa (Senegal, 1958) “Madame Brouette”(2002) è il suo film più importante (narra di una dramma familiare) ma da 10 anni non produce film.

Abderrahmane Sissako (Mauritania, 1961) con i corti “Le jeu” (1990) e “Octobre” (1993) girato in Russia. Sissako, di madre del Mali e padre mauritano ha una maniera poetica di affrontare varie tematiche sociali e private. “La vie sur terre” (1998) con le musiche di Setif Keita; “Aspettando la felicità”(2002) e l’ultimo “Timbuctu”(2014) si rivela profetico sul terrorismo e fondamentalismo islamico. Notiamo la perfezione estetica e la raffinatezza nei paesaggi rappresentati.

Mahamat-Saleh Haroun (Ciad, 1961), autore di “Abouna”(2002) dove si parla di due ragazzi alla ricerca del padre. “Daratt” la stagione del perdono; “Un homme que crie” (2010); “Une saison en France” (2017) dove si parla di una coppia mista e lui è un clandestino; “Gris gris” (2013) storia di un ballerino; “Linguì” (2021) .

Alain Gomis (di madre francese e padre senegalese, 1972) di cui ricordiamo “L’afrance” (2001) e “Aujourd’hui” (2012) dove il protagonista sa un che un tal giorno morirà e allora proprio quel giorno torna in Senegal per salutare tutti prima di morire. Paradossale scelta della festa di una morte rispetto a quella usuale della nascita. Tra gli attori Saul Williams. ; “Felicité” (2017);

Tra le registe.

Premesso che arrivano tardi rispetto agli uomini al cinema, sono tuttavia molto presenti dando notevole spazio al documentario, alla storia del proprio paese, ma anche alle storie personali. È spesso la loro stimabile caratteristica, questo risvolto intimista. Non vogliamo restringerle in un ghetto ma farne un breve cenno, poi le incontreremo soprattutto nel cinema più recente, con grandi risultati.

Dyane Gaye (Senegal, 1975) presenta la realtà africana in “Des étoiles” (Sotto le stelle, 2013) dove mette insieme persone diverse per sesso e ceto che viaggiano su una nave avendo modo così di conoscersi di più; il delizioso musical “Saint Louis Blues” (2009) il cui titolo originale è “Un transport en commun”; ha fatto anche un film sui matrimoni combinati, “Une femme plus…”; “La cittadelle”;

Rungano Nyoni (Zambia, 1982) “Non sono una strega” (2017) sul fenomeno della stregoneria per cui anche una innocente bambina per una serie di eventi negativi, non dipendenti da lei, viene accusata e messa al bando o peggio esibita come un fenomeno da baraccone.

Kaother Ben Hania (Tunisia,1977) : “L’uomo che vendette la sua pelle” è stato il primo film tunisino che ha ricevuto, nel 2021, l’Oscar al miglior film internazionale. E’ la storia di un profugo siriano che si rifugia in Libano privo di un visto ; una volta ottenuto, sarà tatuato sul suo corpo da un artista e ciò lo porterà ad essere una body art commerciabile.

Mati Diop (franco-senegalese, 1982) figlia del grande Djibril Diop Mambety, di lei citiamo “Atlantique”, in wolof, (2019); Gran Prix speciale della giuria a Cannes con il recente “Dahomey” film documentario (2024).

 

Sul versante lusofono citiamo alcuni registi:

Il regista Flora Gomes (Guinea Bissau, 1949) che realizza “Nha Fala”, La voce (2002) dove una donna non può fare la cantante perché le è proibito dalla famiglia. Bella la sequenza del carnevale in Guinea Bissau e a Capoverde (cui si ispirerà quello brasiliano); “Mortu nega”; “Gli occhi blu di Yonta”. Dopo l’avvento del digitale anche Flora Gomes, come altri si è fermato e non produce più film da un po’ di tempo.

Zezè Gamboa (Angola,1955) “Dessidéncia”; “O heroi” (2004) ;“O grande Kilopyi”(2012);

Maria Esperança detta Pocas Pascoal (Angola, 1963) nelle sue opere tratta della guerra, in particolare dell’ invasione cinese dell’Angola, dell’artigianato locale che sparisce, di Luanda con il suo bel lungomare cancellato dall’autostrada a 4 corsie costruita dai cinesi. “Por aqui tudo bem”(2011) parla di ragazze scappate dalla guerra che subiscono approcci violenti dagli uomini; rispondono al telefono ai familiari lontani “qui tutto bene” che è anche il titolo del film.

Due brevi incisi: Per quanto riguarda la distribuzione dei film di autori africani, la Svezia è al primo posto, in Francia si lavora abbastanza in questo senso; non è la stessa cosa per la Spagna, il Portogallo e l’Italia.

Tra le colonne sonore abbiamo ascoltato tra gli altri, nelle varie clip di film visionati durante il convegno online, grandi musicisti come Francis Bebey, Youssou N’Dour, Setif Keita; ricordiamo anche il musical “Carmen” del Sudafrica.

 

Per quanto riguarda la generazione successiva, tra i registi che hanno avuto maggiore risonanza:

Wanuri Kahiu (Kenya, 1980) autrice di “Pumzi” (2009), primo film di fantascienza distopico che termina con una donna che porta un seme sulle rovine della terra; “Rafiki” (2018) sull’amicizia tra due donne in cui la relazione amorosa che ne consegue viene nascosta ai genitori, impegnati in politica. È stato proibito in Kenya e la regista è stata costretta all’esilio.

Nuotama Frances Bodomo (Ghana, 1988) con “Afronaus”(2014): intorno agli anni ‘60 uno scienziato pensa che il Ghana arriverà sulla luna prima della Russia e degli Stati Uniti. La regista raffigura Edward Makuka Caloso, lo scienziato che costruirà un razzo con ritagli di rame e di alluminio.

Philippe Lacote ( Costa d’Avorio,1969) con “La nuit des rois” (2019): ambientato in un carcere dove ci sono detenuti che hanno commesso reati di vario genere. Il capo dei detenuti chiede a un ragazzo di raccontare una storia fino all’alba. Film di grande suggestione.

Rasò Ganemtoré (Burkina Faso) “Safi, la piccola madre” (2005) parla di una donna morta nel partorire un figlio. Per superstizione il figlio deve essere ucciso ma la sorella lo porta in salvo.

J.Offre e P.Simé (Burkina Faso) con il recente documentario “Tiébélé- la citta labirinto”. Tiébélé è un piccolissimo villaggio in Burkina, sede della Cour Royale del popolo kassena con meravigliose decorazioni all’esterno delle case. Il luogo per la sua bellezza è stato dichiarato patrimonio dell’umanità.

di Kaouther Ben Hania (Tunisia, 1977) abbiamo già ricordato il premiato film “L’uomo che vendette la sua pelle”(2021)

A questo premio è stato associata anche la selezione agli Oscar 2022 per “Europa”(2021) di Haider Rashid che non è africano; vive a Firenze, di padre iracheno e madre italiana e ha realizzato questo film sul tema dell’emigrazione.

Nabil Ayouch (nato a Parigi di origini marocchine, 1969) autore di “Much loved” sul turismo sessuale in Marocco, ispirato a un documentario della regista e attrice Maryam Touzani (Marocco, 1980) di cui parleremo per il cinema del Maghreb.

Hafsia Herzi (di padre tunisino e madre algerina, 1987) è autrice di “Bonne mère” (2021).

Khadar Ayderus Ahmed (regista finlandese-somalo,1981) presenta, prodotto in Finlandia, “La moglie del becchino” che ha ricevuto il Premio Stallone di Yennenga al Fespaco 2021.

Seconda parte

Il cinema del Maghreb,

Affrontiamo una storia più moderna del cinema africano, dal punto di vista tecnico. Si tratta del cinema in Marocco, Algeria e Tunisia di cui già abbiamo citato alcuni autori.

Jillali Ferhati (Marocco,1948) “La plage des enfants perdu” (1991) dove una ragazzina rimasta incinta viene isolata dalla propria famiglia e si dirà che il bambino è della madre; “Dès l’aube” ( Dall’alba-2010).

Faouzi Bensaidi, (Marocco, 1967) che affronta temi personali e sociali: ne “La falaise” (1999) corto in b/n, protagonisti sono dei ragazzini che raccolgono delle bottiglie rotte e le vendono al vetraio che ne farà altro: si conclude tragicamente mentre un ragazzino si arrampica sullo scoglio, la falaise appunto. Altri suoi corti “Le mur”(2000); “Trajets” e il lungometraggio “Volubilis”(2017) dove si vedono donne che appartengono a diverse classi sociali. La povertà è molto presente nei film di Bensaidi così come l’occidentalizzazione. Anche il tema dell’ambientalismo è presente ( vedi i suoi corti su youtube).

Maryam Touzani (Marocco,1980) “Adam” (2019) la storia di due donne in fuga: la ragazza incinta respinta dal villaggio e l’altra che fa la panettiera e dopo varie suppliche della ragazza, la ospita. La giovane inciterà l’altra donna vedova ad accettare l’amore facendole ascoltare anche la musica che le metteva il marito. La musica nel Maghreb è molto usata nei film; qui la notiamo insieme a una grande sensualità e dolcezza dei gesti, nell’affrontare la tematica. Il corto del 2015 “Aia va a la plage”, ricorda un po’ la storia de “La noir de..” dove una donna vorrebbe tornare dalla città al villaggio.

Elia Moutamid (Marocco, 1982) “Kufid” (2020) ambientato in Italia e parla del tempo della pandemia; il padre del regista arrivò alla fine degli anni ’70 in Italia; “Talien” (2017), esemplare circa il tema dell’integrazione e dello scambio di identità culturale.

Alaoui Lamharzi Azlarabe (Marocco): “De sang et de charbon”(2012) dove si parla della vita di un boscaiolo e dove il maschio obbliga la ragazza a diventare ragazzo. I personaggi sono piuttosto caricaturali. Ricordiamo anche“Kilekis” ovvero La citta dei gufi (2018).

Un inciso: tra i registi del Marocco la recitazione è spesso molto caricata ed enfatica.

Mohamed Chouikh (Algeria, 1943) “La citadelle” (1988) dove l’idiota del villaggio, costretto a sposarsi, trova nella stanza di nozze una bambola velata e dopo la scoperta dello scherno pubblico si butta dalla rupe con la bambola; uno dei film che segnano la storia del cinema algerino.

Un autore algerino molto stimato che affronta temi di una certa rilevanza, tranne nei primi film dove troviamo un genere commedia molto divertente, è

Merzak Allouache (Algeria, 1944) “Omar Gatlato” (1976) storia di un impiegato, delle sue relazioni nel lavoro e con gli amici; ne viene fuori il ritratto di un seduttore da strapazzo che sentendo una cantante subito la vuole conoscere; è una critica a un certo maschilismo. Lo stesso regista ha realizzato film sul terrorismo, come “Vento divino” (2018): un ragazzo a cui viene inculcata l’idea che deve essere un martire e non riesce nell’intento sacrificando suo malgrado una donna.

Madame Courage” (2015) il titolo , un eufemismo per riferirsi alla cocaina.

Rachid Benhadj (Algeria, 1949) “La rose des sables” (1989) narra di un handicappato che fa tutto servendosi dei piedi; “Touchia” (1992); “L’albero dei destini sospesi” (1997) un itinerario nel Maghreb dove il protagonista conduce la ragazza a visitare i vari paesi; l’attore nella realtà si innamorerà dell’attrice pregiudicando il proseguimento del film. “Mirka” (2000) con attori famosi come Franco Nero, Vanessa Redgrave, Gerard Depardieu, Sergio Rubini; “Il pane nudo” (2005); “Profumi di Algeri” (2012) ; “La stella di Algeri”(2016) tratto da un romanzo dove il cantante protagonista, osteggiato nelle sue scelte musicali pian piano si perde e diventa terrorista; sappiamo, tra le altre cose, che il regista ha avuto un fratello terrorista;“Matares” (2019) suo ultimo film, narra dell’amicizia tra una bambina che vende i fiori e un bambino prima suo rivale. Qui vediamo le rovine romane di Tipasa sulla costa algerina, (patrimonio del’Unesco) e in particolare di un cimitero. La ragazzina ivoriana entrerà con il bambino in una grotta dove trovano un piccolo tempio con scarpe, vari oggetti, una croce.

Belkacem Hadjadj (Algeria, 1950) regista berbero di Algeria, di lui ricordiamo “Machaho” (1995) dove si parla della cultura kabila e della vita di una comunità berbera (anche sant’Agostino era di origine berbera). Sappiamo che anche i tuareg fanno parte di questa cultura e i loro nemici sono gli arabi.

Karim Aimouz (Fortaleza, 1966 di madre brasiliana e padre algerino) ha presentato al Medfilm Festival 2021 a Roma il docufilm “Mariner of Mountains” dove narra il suo viaggio in Algeria, nella Cabilia per ritrovare le radici paterne; un viaggio compiuto dopo la morte della madre ma in cui immagina la sua presenza accanto, dato che il padre è stato il grande assente della sua vita. Voce narrante in brasiliano e inserti in lingua francese. Tra foto ricordo dei genitori all’Università in Colorado, la fuga del padre in Algeria durante l’indipendenza, la gente di Cabilia.

Lyes Salem (Algeria, 1973) “Mascarades” (2008) storia di un ragazzo molto sicuro di sé con una sorella nubile; si inventa davanti alla gente che la sorella si sposerà, per salvare l’onore della famiglia, ma verrà smascherato.

Neja Ben Mabrouk, (Tunisia,1949) “La guerra del golfo…e dopo!”(1991); con “La trace” del 1998 realizza un’opera molto intima e autobiografica.

Nacer Khemir (Tunisia, 1948) la ricerca della perfezione estetica ne “Les baliseurs du desert” (coloro che spazzano il deserto-1984).

Moufida Tlatli, (Tunisia 1947-2021), “Le silence du palais (1994) storia di una cantante che in realtà è la figlia del principe del castello dove lavora la madre come domestica; è stanca di cantare ai matrimoni e vorrebbe farlo come professione; “La saison des hommes” (2000); Moufida è stata anche montatrice di molti film di grandi registi del NordAfrica e sceneggiatrice.

Un grande autore è Nouri Bouzid, (Tunisia, 1949) :“L’homme de cendres” (L’uomo di cenere, 1986) con il tema dell’omosessualità. “Making off”, (film nel film) del 2006, manifesto musulmano per chi vive il Corano in modo positivo e il regista qui parla in prima persona. Oggi è pericoloso toccare questi argomenti; “Gli zoccoli d’oro”(1989) finisce con il suicidio del protagonista. Il regista ha subito anche il carcere per le sue posizioni; noi vediamo nei suoi film anche la tematica della ricerca della pace. Certamente il cinema di quest’area è più politico di altre aree.

La figlia, Leyla Bouzid (Tunisia, 1984) è regista anche lei ; “Une histoire d’amour et de désir” (2020) è la storia di due giovani; qui si persegue un fine didattico, cioè si parla per la prima volta della poesia islamica attraverso la storia di due giovani universitari che si incontrano a Parigi: lui, di origine algerina, viene dalla periferia parigina, lei da una famiglia benestante tunisina.

Kaouther Ben Hania (Tunisia, 1977) regista più volte citata; “Le challat de Tunis” (2002) narra di un personaggio folle che tagliava le natiche delle donne per lui vestite sconciamente. Ha realizzato vari corti: “Io mia sorella e la cosa”; “Gli imam vanno a scuola” “Janed non conosce la neve” su una ragazza che va in Canada; in tutti dimostra una spiccata introspezione psicologica. Il film già citato, recente, che ha riscosso successo di critica è “L’uomo che vendette la sua pelle”.

Ramzi Ben Sliman (Tunisia, 1981): “Ma revolution” (2016);

 Degni di interesse, in area egiziana, tra l’antico e il nuovo:

Youssef Chahine (1926-2008) un capostipite, con “La scelta” (1970) e in particolare “Il destino” (1997) in cui ripercorre con accenti da musical la vita del filosofo Averroè nell’Islam del XII secolo; “Heya fawda” (Questo è il caos, 2007)

Abu Bakr Shawky (egiziano-austriaco, 1988) con ”Yomeddine (2018) in cui narra la storia di un orfano ferito, allevato da un ex-lebbroso in fuga dal suo paese.

Omar el Zohairy (Egitto,1988) “Feathers”(2021) di genere surreale dove si ritrae un sobborgo poverissimo del Cairo.

 

Gli attori e le attrici

Una piccola nota (meriterebbe un lungo capitolo a parte) su alcune figure famose nell’ambito del cinema africano: dalla giovane Hafsia Herzi (tunisino-algerina), che è anche regista, ai veterani Rasmane Ouedraogo (burkinabé) e Yusuf Sh’aban ( Egitto, 1931-2021).

Pochi registi provengono dal Corno d’Africa, Vediamo però, nella terza generazione, emergere tanti scrittori e scrittrici (come Igiaba Scego e Cristina Ali Farah) che seguono da vicino le nuove espressioni letterarie e cinematografiche.

Tuttavia ricordiamo il già citato Haile Gerima ( Etiopia, 1946) che vive negli Stati Uniti ed è autore di “Sankofa” (1983), un film sullo schiavismo: parla di un afroamericano che torna in Africa per ritrovare le proprie origini; di lui ricordiamo anche “Adwa” (1999) e “Teza” (2008) vincitore del Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia.

I film della diaspora africana nelle Americhe sono molti. Citiamo solo:

Raoul Peck (Haiti, 1953); suo padre era un diplomatico. Realizza “L’homme sur le quais”(1993) ; “Lumumba” (2000); “I am not your nigger” (2016): qui ha preso ispirazione dall’opera di James Baldwin per raccontare l’odio razziale verso i negri; la voce narrante è di Samuel Jackson.

La regista Sara Maldoro, (1929-2020) madre francese e padre della Guadalupe, vedova del politico angolano Mario Pinto de Andrade; con “Sambizanga “ (1972) parla della lotta in Angola ed è tratto dal romanzo La vita vera di Domingo Xavier di Luandino Vieira; anche suo marito era un combattente.

 

Il cinema del Sudafrica.

Del regista Lionel N’Gakane (Sudafrica) “Jemina e Johnny” (1965) senza dialoghi, ambientato a Londra dove tra due bambini, lui bianco e lei nera, nasce una bella amicizia. Il Sudafrica nero arriva tardi perché c’è stato a lungo il predominio dei bianchi, e tra i primi c’è N’Gakane Negli anni ’90 il Sudafrica nero nasce da una profonda riflessione estetica e a nome del Sudafrica parlano autori di varia provenienza:

 

Ryan Coogler (afroamericano, 1986): autore di un cinema commerciale ma di pregevole qualità con risvolti sociali; con “Black panther”(2018) coprodotto dal Sudafrica, si afferma il protagonista del titolo il cui vero nome è T’Challa, sovrano del regno di Wakanda, nazione dell’Africa subsahariana tra le più ricche e tecnologicamente avanzate della terra; con questo film, candidato a molti Oscar, il regista ha allontanato l’immagine miserabilista e stereotipata dell’Africa.

Therry George (nordirlandese, 1952) con “Hotel Ruanda” (2005), sempre coprodotto dal Sudafrica, ispirato a una storia vera, parla dell’eroe che, durante la strage dei tutsi, rifugiandone molti nel suo hotel, ha contribuito a salvarne più di mille. Questo eroe nel 2021 è stato accusato di terrorismo e condannato a 25 anni di carcere, nel 2023 liberato in attesa di tornare negli Usa dove viveva.

Etienne Kallos (greco-sudafricano, 1972) “The harvesters” (2018) parla di un ragazzo che vive in una fattoria con i genitori protestanti. Arriva Peter, un giovane orfano e la famiglia lo adotta. Il ragazzo si troverà poi vittima di Peter.

Neill Blomkamp (sudafricano naturalizzato canadese), con il film di fantascienza “District 9” (2009) è stato candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale; la trama: in Sudafrica gli extraterrestri di un’astronave in avaria sono stati confinati in un ghetto gestito dalla criminalità.

Gavin Hood (Sudafrica, 1963): “Il suo nome è Tsotsi” del 2006, tratto da un romanzo di Athol Fugard che è anche un commediografo sudafricano di grande valore.

Anthony Silverstone (Sudafrica ) con un film di animazione “Khumba” (2014): una zebra con solo metà corpo coperto da strisce è esclusa dalla propria mandria e incontrerà nel suo cammino solitario altri animali esclusi con cui riconoscerà la loro forza nella diversità.

Khalo Matabane (Sudafrica,1974) parla della Nigeria nel suo film “State of violence” (2010) dove il protagonista vuole evitare l’uccisione della moglie. Premio al miglior film africano al Festival di Milano nel 2011.

 

Un discorso a parte merita il cinema in Nigeria

Il discorso sul cinema in Nigeria è giocoforza ci conduca a Nollywood; all’inizio produzioni molto mediocri fatte in poco tempo. Film in cassetta e dvd acquistati subito ( si sfornano 2000 copie in poco tempo). I temi sono: magie, vendette, corna, tradimenti. In assoluto il primo film nigeriano è del regista

Chris Obi Rapu (Nigeria, nato negli anni ’50) “Living in bondage”(1992), in igbo; film thriller drammatico in due parti (visibile su Netflix). Film consimili, girati con telecamera di fortuna hanno avuto molto successo .

Alcuni sono film validi come “Juju stories” (2021) film di un nuovo collettivo di registi: Michael Omonua, C.J.Obasi, Abba Makama, con una fotografia eccelsa e immagini bellissime; i temi sono sempre gli stessi. Gli Juju sono gli strumenti delle pozioni magiche, i feticci. Ogni evento ha una causa ben precisa e si può combattere con gli juju. Il juju-market dove andò la nostra relatrice era un luogo molto pericoloso di Lagos dove venivano esposte scimmie essiccate, spine di vari animali etc; incautamente fece una foto a una donna che allattava un bambino ma gli stavano sequestrando la macchina e volevano aggredirla perché lì fare foto è considerato offensivo, è come rubare l’anima. Poi cominciò, unica bianca, a frequentare il mercato.

C’è un canale africano che manda solo film nigeriani; 400 prodotti. Anche in Ghana si usa lo stesso criterio. Altra caratteristica del film nigeriano è che stanno emergendo delle star. Sulla rivista “Africa” possiamo leggere almeno 30 recensioni di Anna Maria Gallone su altrettanti film nigeriani e molte serie recenti.

Film di ANIMAZIONE:

Questo genere di film è presente soprattutto in Sudafrica, Senegal, Burkina e Maghreb.

Kabongo le griot” (Senegal) serie televisiva in 13 episodi , con intento educativo : “Kabongo le griot”; “Kiriku” etc.;

Moustapha Alassane (Niger, 1942 Burkina Faso, 2015), già citato tra i grandi veterani del cinema africano .“Kokoa” (2001) dove in un ring di pugilato c’è l’arbitro granchio e il pubblico di ranocchi.

Fabio Friedli (Svizzera, 1986); con “Bon voyage” (2013); questo regista non è africano ma elabora nella sua opera il tema dell’emigrazione del Sud del mondo verso l’Europa. Tecnica mista di animazione e recitazione.

Cilia Sawadogo (canadese-burkinabé-tedesca) e Daniele Roy autori del film di animazione “La donna sposata a tre mariti” del 1993. La donna alla fine sceglierà il griot; è un modo per manifestare il diritto delle donne a scegliersi un marito.

Frank Mukunday (giovane regista della R.D.Congo) autore di “Machini” (2019) film di animazione in stop motion che unisce disegni a gessetto, sassolini e materiali di recupero per raccontare l’opera di distruzione dell’uomo sull’uomo.

[Si pensa di proporre un seminario successivo sul film di animazione in Africa. Intanto si può consultare, ricambiando con una donazione, in google: Il cinema di animazione di Giannalberto Bendazzi sul sito “rapporto confidenziale”].

 Conclusioni.

Le sale di cinema spesso sono inaccessibili per la gente più povera. In Burkina hanno creato un nuovo cinema grazie allo sforzo dei cittadini. Il regista franco-senegalese Alain Gomis ha creato nuovi spazi per far crescere nuovi registi in Burkina e si assiste nel contempo a una grande ripresa del teatro. Attualmente molti registi sono emigrati in altri continenti (Europa e America, in prevalenza); tra i pochi non emigrati, il regista Cheick Sissoko che è sempre rimasto in Mali.

 Per eventuali omissioni di nomi di registi e titoli di film, ci scusiamo riservandoci di integrare in un successivo approfondimento.

 

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