Helon Habila e Kadija Sesay (a cura di), Sogni, jazz e Miracoli. Nuove Avventure della narrativa africana
Robin Edizioni, 2009
Traduzione di Pier Francesco Paolini
Alain Mabanckou, Memorie di un porcospino (Autore franco-congolese)
Morellini Editore (collana Griot), 2009
Traduzione di C. Ortenzi; Simeoni M.
Una leggenda africana racconta che a ogni uomo alla nascita viene affidato un doppio nel mondo animale.
Al giovane Kibandi è stato assegnato un porcospino che lo seguirà ovunque fino agli ultimi istanti di vita. Ma del porcospino Ngoumba ha solo l'aspetto esteriore: acuto e malizioso filosofo, ritiene di non aver "nulla da invidiare agli uomini", e, facendosi "beffe della loro presunta intelligenza", rifletterà su tutto ciò che ha fatto per compiacere Kibandi. Seguendo il racconto del piccolo porcospino, il lettore si troverà invischiato in una fitta serie di omicidi a colpi di aculei, di piccole e comiche avventure. Mentre il padrone sotto l'effetto di una bevanda psicotropa perde man mano il rapporto con la realtà, il porcospino analizza e critica la lunga scia di morti che si lasciano dietro. Ma chi è l'assassino? Il porcospino o il padrone che lo spinge a uccidere? Kibandi o il piccolo porcospino che riflette e si confessa al suo amico baobab? "Memorie di un porcospino" è il secondo romanzo della trilogia inaugurata da Verre Cassé.
La protagonista del libro, Bride, «che sarebbe “sposa” ma in inglese fa più figo e la gente dirà che sono colta», non riesce a trovare marito e continua a ricevere in casa della sua famiglia visite di improbabili pretendenti. Dal cafone al microcriminale, dal bugiardo al logorroico so-tutto-io, dal megatifoso di calcio al «bello e impossibile» innamorato di una collega, l’Autrice ci regala in stile ironico e brillante una carrellata di personaggi, spassose caricature di uno stereotipo maschile che travalica le frontiere egiziane. Inoltre, Bride analizza in modo schietto e senza peli sulla lingua gli aspetti della società in cui vive e in cui va «a caccia di marito», un mondo orientale di cui ci offre uno spaccato giovane e attualissimo.
Ghada Abdel Aal ha trent'anni e vive al Cairo. Di professione farmacista, ha creato un blog chiamato "Voglio sposarmi" (http://wanna-b-a-bride.blogspot.com, in lingua araba), che ha ottenuto un tale successo di pubblico da spingere l'importante casa editrice Dar El Shorouk a chiederle di adattarne i contenuti per un libro. Il romanzo oggi è un best seller da cui sarà tratta anche una serie per la televisione egiziana.
Angola
Manuel Rui, Il bambino della cascata e altri racconti
A cura di Vincenzo Barca e Serena Magi
Edizioni Lavoro, 2009 - Collana L'Altra Riva
Una raccolta di racconti con cui l'angolano Manuel Rui ci offre cinque vividissimi scorci del suo paese. L'Angola si mostra attraverso la vita ostinata di un popolo che sfida quarant'anni di guerre e di devastazione, in una società in cui l'avanzare imperterrito della modernità contrasta con l'arretratezza delle campagne e delle periferie urbane. Manuel Rui ricuce le trame sfilacciate dei destini della sua gente proponendo una carrellata di personaggi straordinariamente umani, tragici, comici, magici, sprovveduti e lestofanti. I protagonisti dei suoi racconti s'incontrano in storie sul limite della Storia, all'interno di una lingua prodigiosa che porta in sé le tracce e le voci di una realtà sorprendente. Le Estórias sono vicende che vivono nella leggerezza e nella porosità dell'oralità; storielle che passano di bocca in bocca, che si raccontano con la forza e l'ingenuità di chi prova a raccontarsi per sopravvivere.
Nadia e Ange, marito e moglie, insegnano a Bordeaux nelle medesima scuola e vivono il loro mestiere come un'autentica missione. All'improvviso, la coppia diventa oggetto di una generale, inesplicabile malevolenza: nessuno li guarda più in faccia, gli allievi li temono, perfino i figli si allontanano da loro... Mentre il rifiuto e la pressione sociale si fanno insostenibili, la donna cerca di capire quale colpa o passo falso abbia provocato tutto questo, e soprattutto cosa sta succedendo ad Ange che, improvvisamente ferito in modo grave e misterioso, si allontana da lei e viene assistito invece con premura ossessiva da Noget, il vicino di casa sempre disprezzato, che ora si impone come protettore non richiesto. E poi, anche il corpo di Nadia le si rivolta contro, si gonfia per colpa di un "ospite" oscuro che cresce dentro di lei... Saranno la luce e il calore del sud della Francia e soprattutto l'amore dei genitori a lungo ignorati a "guarire" la donna, offrendole un insperato sollievo dopo l'incubo inspiegabile.
L’autrice: Marie Ndiaye è la vincitrice del Premio Goncourt 2009, il più prestigioso premio letterario francese. Nata nel 1967 a Pithiviers, in Francia, da madre francese e padre senegalese, Marie Ndiaye è la prima donna di colore a vincere il Goncourt. Precocissima, ha iniziato a scrivere all’età di dodici anni e ha pubblicato il suo primo libro, Quant au riche avenir, appena diciassettenne. È autrice di sette romanzi, tra i quali En famille e Rosie Carpe (Prix Femina, 2001) e di pièce teatrali come Providence e Papa doit manger.
Angola
Simão Kikamba, Senza fermata
Epoché Edizioni, 2009
Traduzione di: Monica Martignoni
«NON CI SONO LAVORI STUPIDI, SOLO PERSONE STUPIDE CHE SOTTOVALUTANO DELIBERATAMENTE CERTI MESTIERI»
Manuel Mpanda, il protagonista del romanzo, desidera tornare in Angola, il suo paese natale. Nonostante le suppliche dei suoi famigliari che lo esortano a restare a Kinshasa, dove perlomeno esiste una parvenza di pace, una mattina all’alba sale a bordo di un camion e parte alla volta di Luanda, dove si innamora e si sposa con Isabel. Gli avvicendamenti al governo e le violente repressioni politiche lo spingono a lasciare il paese per il Sudafrica, dove conta di trovare un lavoro e costruire un futuro per la moglie e la figlia appena nata, rimaste in Angola in attesa di raggiungerlo. A Johannesburg, tuttavia, Mpanda si scontra con la xenofobia e il razzismo dei sudafricani, incapaci di uscire da un apartheid che risulta finito soltanto sulla carta. Con uno stile diretto, emozionante e commovente, Simão Kikamba demolisce lo stereotipo dell’immigrato africano e rivela dinamiche e mentalità che l’Occidente non sospetta.
Simão Kikamba è nato nel 1966 a Sacadica, in Angola. Due anni dopo, la sua famiglia è emigrata nella Repubblica Democratica del Congo. Tornato in Angola nel 1992, è stato arrestato nel 1994 a causa dell'opposizione politica. Dopo il suo rilascio si è trasferito a Johannesburg, in Sudafrica, dove tuttora vive e lavora. Senza fermata, il suo romanzo d'esordio, ha vinto il Charles Bosman Award per la narrativa inglese.
M. Cristina Mauceri, M. Grazia Negro, Nuovo immaginario italiano
Sinnos Editore, 2009
Sudafrica
Wicomb Zoë, In piena luce
Baldini Castoldi Dalai editore, 2009
Traduzione di Francesca Romana Paci, Angela Tiziana Tarantini
Marion Campbell, giovane sudafricana bianca, è proprietaria di una piccola agenzia di viaggi a Cape Town. Donna schiva e riservata, conduce una vita agiata, ha una bella casa con vista sull’oceano, gira in Mercedes, non ha legami affettivi importanti e, soprattutto, è totalmente indifferente a quelle «sciocchezze sulla razza» che hanno segnato il suo Paese. Tuttavia la sua decisione di assumere Brenda Mackay, una ragazza di colore, e una foto pubblicata dalla Truth and Reconciliation Commission (il tribunale speciale incaricato di giudicare le violazioni dei diritti umani durante l’apartheid) sconvolgeranno il suo universo e faranno nascere in lei il bisogno di scavare nella propria infanzia.
Affiora così la menzogna che il padre e la madre hanno recitato per anni allevandola «senza il fardello della storia, in un mondo plasmato dal colore e dal mistero delle radici». Nati con la «fortuna» di avere la pelle chiara, infatti, i suoi genitori hanno fatto parte di quella gente coloured che ha rinnegato le proprie origini cercando di confondersi con la razza padrona. Marion cresce così, dando per scontato il suo essere bianca, cullata da un padre che la chiama «mia piccola sirena», come se fosse l’eroina di una fiaba, eppure segnata dal silenzio di una famiglia in cui è meglio non fare domande per evitare di sentire bugie. Spetterà proprio a Marion riconciliarsi con il passato, mettendo la verità in piena luce. Perché la pelle ha una memoria che non si cancella, anche se sembra candida come la neve appena caduta.
«Recitare la parte dei bianchi, giocare a fare i bianchi: mai definizione è stata più inadeguata. Non c’era niente del gioco nella loro condizione. Non soltanto erano terribilmente seri, ma quella faccenda di fare i bianchi richiedeva coraggio, determinazione, perseveranza, impegno. Nemmeno nell’intimità della loro casa potevano lasciarsi andare. Nella luce accecante del bianco, camminavano esposti: gechi pallidi, vulnerabili, dalla struttura scheletrica visibile attraverso la carne trasparente. Con una figlia da allevare, una distinzione fra pubblico e privato era un lusso che non potevano neanche prendere in considerazione; l’io pubblico richiedeva tutte le loro energie. Sotto l’abbagliante luce della ribalta dei bianchi, recitavano con diligenza, con continuità; il passato, e con esso la coscienza, si erano ridotti a un punto nero in lontananza.»
«Per anni abbiamo atteso di vedere quale sarebbe stato il volto della letteratura sudafricana dopo l’apartheid. Zoë Wicomb non viene meno alle aspettative.»
J.M. Coetzee
«Seducente, brillante e ricercata… Una straordinaria scrittrice.»
Toni Morrison, «The New Press»
«La prosa della Wicomb è vigorosa, articolata, lirica… Una scrittrice raffinata che combina la ricchezza della prosa contemporanea alla semplicità delle storie familiari.»
Bharati Mukherjee, «The New York Times Book Review»
Zoë Wicomb (1948) è una delle voci più originali della letteratura sudafricana contemporanea. Durante l’apartheid è stata per vent’anni in esilio volontario in Inghilterra ed è tornata nel suo Paese nel 1991. Sposata, con un figlio, vive a Glasgow, dove insegna letteratura inglese alla University of Strathclyde. Con David’s Story (2000), ha vinto il Sunday Times Fiction Prize in Sudafrica. In piena luce è stato tra i finalisti del Commonwealth Writers’ Prize 2007.
Miriam Makeba - Nomsa Mwamuka, La storia di Miriam Makeba
Traduzione di Elisa Fabbri
Edizioni Gorée, 2009
Angola
Pepetela, La Generazione dell'utopia
Edizioni Diabasis, 2009
Traduzione di Sara Favilla
Prefazione di Romano Prodi
Postfazione di Roberto Vecchi e Vincenzo Russo
con sguardo spietato, la parabola esistenziale di quella generazione che si trovò a vivere l'epopea delle lotte per l'indipendenza dal colonizzatore portoghese e combattere più prosaicamente una guerra civile che all'indipendenza fece seguito. Considerato uno dei migliori romanzi africani del XX secolo e tra i cento migliori libri in assoluto secondo la celebre lista divulgata dall'Africa Book Centre nel 2002 a Accra in occasione della Fiera Internazionale del Libro dello Zimbawe, La generazione dell'Utopia è anche una disincantata radiografia narrativa dell'Angola contemporanea in cui gli echi e i fantasmi del passato non rendono ancora distinguibile le glorie e le ombre che offuscano il presente.
L'Autore
e in Francia si laurea in Sociologia in Algeria. Nel 1969 combatte con l'MPLA (Movimento Popolare per la Liberazione
dell'Angola) nel quale avrà un ruolo nel Comitato Centrale. Viene nominato vice ministro dell'Educazione durante il governo di Agostinho Neto. I suoi libri, tra i quali Muana Può, Mayombe, O cão e os caluandas, Lueji, A Geração da Utopia, O desejo
de Kianda, pubblicati quasi tutti dopo l'indipendenza dell'Angola, gli valgono nel 1997 il Premio Camões, già consegnato ai portoghesi Vergìlio Ferreira e José Saramago, e al brasiliano Jorge Amado. Attualmente è professore di Sociologia presso la Facoltà di Architettura di Luanda, città in cui vive.
sul libro La generazione dell'utopia di Pepetela, vedi anche la recensione di Giulia De Martino