La storia di Souleymane (Francia, 2024)
regia di Boris Lojkine
Il giovane protagonista di questo film proviene dalla Guinea Conakry e dopo tante difficoltà si trova in Francia come richiedente asilo: ha pochi giorni per preparare il colloquio che un amico africano gli imbastisce ordinandogli di impararlo a memoria; non lo fa gratis naturalmente, fa parte del suo lavoro di “sceneggiatore” per consentire agli immigrati di superare il test.
Intanto per sbarcare il lunario, Souleymane fa il rider e lavora sotto l’identità di un amico che gli ha subaffittato l’account del cellulare; sempre attraverso il cellulare deve prenotare ogni sera il letto per dormire e presentarsi puntuale alla fermata del bus che lo accompagnerà all’ostello. Se un’odissea è stata arrivare fino in Francia, la pena continua, giorno dopo giorno, nei rapporti con gli altri migranti, con il datore di lavoro, i negozianti, con i funzionari che lo attendono per il colloquio; solo pochi gesti gentili rischiarano questo cielo plumbeo.
Questo film ha vinto il premio della giuria al festival di Cannes 2024, sezione Un certain regard e si è posto tra i candidati all’ European Film Awards. Il regista è Boris Lojkine, attore regista e sceneggiatore francese.
Lo straordinario attore protagonista, alla sua prima prova essendo un non professionista, è Abou Sangare, 23 anni, originario della Guinea Conakry che nella vita reale è un meccanico e purtroppo rischia l’espulsione perché pur essendo in Francia da sei anni non ha ottenuto il permesso di soggiorno. Proprio come il personaggio che rappresenta, un rider sans papier; il regista si è attivato per fargli ottenere un contratto di lavoro. Vera è anche la storia che nel finale racconterà alla funzionaria dell’ufficio Immigrazione incaricata di sottoporlo a un test di verifica per ottenere asilo in Francia, dopo averle detto una sequela di bugie create ad arte dall’amico “sceneggiatore”. Il fatto che Abou Sangare abbia vinto il premio per la migliore interpretazione a Cannes 2024, non ha cambiato di molto la sua situazione ma si spera che ciò avvenga.
Il montaggio di Xavier Sirven conferisce al film quel ritmo serrato e veloce con lunghe scene in un unica sequenza; il ragazzo si muove velocemente per le strade con la sua bicicletta, deve prendere di corsa il pullman per raggiungere l’ostello dove dormirà e anche lì deve discutere con i coabitanti: tutto questo, anche attraverso intensi primi piani, ci rende partecipi al suo respiro affannato. Su questa parola partecipi occorre fermarsi un attimo e ricordare quanto ha detto il regista in una recente intervista (Il Manifesto, 3 ottobre 2024): “Sono un borghese, un bianco, non sono né africano né rider, non ho fatto il viaggio verso l’Europa e non appartengo a quelle comunità. L’unico modo per avvicinarmi a un soggetto come questo è essere al cento per cento onesto”.
Il racconto che fa della preparazione del film, durata due anni, con un cast di attori non professionisti a cui lascia i loro tempi aggiustando la sceneggiatura volta per volta, ci rivela la grande onestà di questo artista; il regista vuole ritrarre la storia attraverso i loro occhi. Colpisce soprattutto, per coloro tra gli europei bianchi che hanno avvicinato intimamente la vita dei migranti, come sia veritiera la sua descrizione anche nei conflitti tra migranti stessi, nella ristrettezza e nell’umiliazione dei luoghi dove devono vivere e degli uffici dove devono presentarsi. Si vede chiaramente che la storia è costruita su una materia documentaria vera e dettagliata. Il regista senza giudicare e senza retorica, mosso dal desiderio di raccontare le storie di chi non ha voce, ci mette di fronte ai conflitti tra immigrati, alle storture e lungaggini burocratiche, alle finzioni e alle menzogne usate dai migranti come escamotage per sopravvivere.
Condividiamo il giudizio del critico Francesco Boille “ uno dei più grandi film degli ultimi anni sulle condizioni di vita delle persone migranti e richiedenti asilo”.