Goodbye Julia (Sudan, 2023)
regia di Mohamed Kordofani
È il primo film sudanese mai presentato al Festival di Cannes, che ha vinto al suo primo ingresso nel 2023, il Prix de la Liberté, oltre a significativi premi nei festival di tutto il mondo. È inoltre candidato all’Oscar per il Sudan dal Comitato nazionale sudanese in esilio; per la seconda volta un film del Sudan viene presentato agli Oscar (il primo è stato nel 2020, Morirai a venti anni di Amjad Abu Alala. ]. Il riconoscimento artistico gratifica in qualche modo un paese che è stato stravolto dalla guerra civile tra Nord e Sud, finita nel 2005 e nemmeno il riconoscimento dell’autonomia regionale del Sud, alcuni anni dopo, placherà l’odio e la rivalità ancestrale che attraversa le due parti.
Mohamed Kordofani, ingegnere aeronautico passato alla regia cinematografica, ha vissuto il razzismo sulla sua pelle e della sua famiglia e sceglie perciò di narrare, esordiente al lungometraggio, questo odio tra le due etnie e religioni diverse (Islam nel Nord, Cristiani nel Sud) attraverso la storia di due donne.
Le protagoniste sono Mona abitante nel nord del paese dove si svolge l’azione e la sud-sudanese Julia, emigrata nel nord dove esiste un grande divario tra ricchissimi e poveri. La trama in breve parla di Mona una donna benestante musulmana che coinvolta suo malgrado in un omicidio (procurato dal marito nei confronti di un uomo del sud che temeva aggredisse la moglie) cerca di rimediare a suo modo assumendo come domestica Julia, la giovane vedova dell’uomo ucciso.
Mona è una ex cantante popolare che è stata costretta a rinunciare alla sua carriera per la gelosia e il rigore moralista del marito. Interpretata con il giusto pathos da Eiman Yousif, attrice, cantante, cantautrice e attivista per i diritti umani. L’ambiguità che serpeggia tra le due donne quando Mona si fa avanti dapprima acquistando la misera mercanzia di Julia, dopo proponendole di servire a casa sua ospitando anche il suo figlioletto, si delinea più chiaramente verso la parte finale. Mona cerca di attenuare i suoi sensi di colpa per avere causato la morte di un uomo del Sud, vuole rimediare nei confronti della vedova e dell’orfano che sono rimasti soli. Julia dal suo canto, si rende conto da alcuni indizi che la donna sua benefattrice ha a che fare con la morte del marito ma tace piegata dalla paura oltre che costretta dal bisogno e dalla necessità: in cambio dei suoi servizi domestici ha un tetto sopra la testa e il cibo assicurato per lei e per il figlio che può anche mandare a scuola. La sua povertà estrema la rende docile e restia ai cambiamenti. Mona invece, pur vivendo in un relativo benessere, rivela oltre a questo grande senso di colpa una insoddisfazione nella sua vita. L’amore per il canto è sempre lì presente, come il fuoco sotto la cenere, sa di non poter avere figli e non lo confessa al marito inventandosi diagnosi mediche inesistenti. La menzogna è il terreno dove ha camminato fino a quell’incontro con lo sguardo innocente di Julia e di suo figlio.
Impossibile raccontare la trama senza spoilerare le parti più importanti e fondamentali. Si rimane estasiati dalla bellezza della fotografia e dei primi piani, in particolare di Julia, bellezza maestosa e nello tempo semplice. Siran Riak che la interpreta è originaria anche lei del Sud Sudan ma è trapiantata a Dubai dove fa la modella.
Il film verso la conclusione mostra l’esodo verso il loro paese dei sud-sudanesi che si recano in massa a votare per il referendum che sancirà l’indipendenza politica; l’immagine del figlio di Julia che imbraccia il mitra e sale su una jeep, non fa sperare in un futuro di pace. Infatti la guerra civile si concluderà nel Sud del paese solo nel 2020. Tuttavia il film è un appello alla pace attraverso gli sguardi di due donne e invita a riflettere sull’importanza dei comportamenti individuali nella costruzione della pace stessa.