Hisham Matar-Il ritorno- recensione di Giulia De Martino

   Hisham Matar

   Il ritorno -  Padri, figli e la terra fra di loro

   Einaudi, 2017

traduzione di Anna Nadottialt

 

                                     

Trentatre anni di separazione dal proprio paese, la Libia , traumaticamente abbandonato nel 1979  da bambino, vengono alla  fine superati da un viaggio nel marzo 2012, in compagnia della madre e della moglie Diana, dopo le notizie entusiasmanti della caduta del regime, della    orribile morte di Muammar Gheddafi e della rivoluzione che sembrava rivivificare un paese congelato da quarant'anni  di dittatura feroce e sanguinaria.    

 

Tornano nella stessa persona un quarantenne e il bambino di otto anni che era quando se ne era andato.”Sono viaggi senza dubbio temerari, e quello cui mi accingevo avrebbe potuto privarmi di una capacità che avevo coltivato con enorme fatica: la  capacità di vivere lontano dai luoghi e dalle persone che amo. Joseph Brodsky era nel giusto. E anche Nabokov e Conrad. Artisti  che decisero di non tornare. Avevano tentato, ognuno a modo suo, di guarire dal proprio paese. Ciò che ti sei lasciato alle spalle è dissolto. Torna e dovrai affrontare l’assenza o il disfacimento di ciò che più amavi. Ma anche Dmitrij Sostakovic, Boris Pasternak e Nagib Mahfuz erano nel giusto: mai lasciare il proprio paese. Parti e ogni legame con l’origine sarà reciso. Sarai come un tronco morto, duro e cavo. Cosa fai quando non puoi partire e non puoi tornare?”

Questa citazione dalle prime pagine del testo ci immette subito nell’atmosfera del libro : un mémoire lucido e razionale ma capace di seguire i tumulti del cuore, dove  il lettore viene tuffato in un viaggio ad un tempo reale e interiore, in una autobiografia privata e collettiva, nel sogno di una infanzia felice e di una vita all’insegna dell’incertezza sulla sorte del proprio padre Jaballa Matar, figura di spicco dell’opposizione a Gheddafi  . Della rabbia del figlio trasformata in una lotta incessante a favore della liberazione dei prigionieri dell’oscuro e infernale carcere libico di Abu Salim e del ristabilimento dei diritti umani in tutto il paese.

Il racconto si snoda su diversi piani narrativi senza uno schema preciso, in un continuo ondeggiare dei ricordi.

Compaiono gli anni del passato fascista e della lotta di liberazione,attraverso la storia del nonno Ahmed oppositore e combattente contro gli invasori italiani, gli anni’70, quelli della speranza, gli anni ‘80-90, quegli degli incubi gheddafiani, gli anni  2000, dove le nuove speranze di una primavera araba cozzano, in Libia,  contro la realtà attuale della lotta di tutti contro tutti.

Le riflessioni dell’autore sono insieme quelle del bambino che scorrazza libero nella casa di campagna di Agedabia insieme ad uno stuolo di cugini, amato da nonni e zii e quelle dell’adolescente che, dalla comoda casa del Cairo, dove la famiglia viveva dopo la fuoruscita dalla Libia, va a vivere in un college inglese, lontano anche dasuo fratello Ziad che viene invece spedito in Svizzera. Motivi di sicurezza inducono il padre ad allontanare i due ragazzi, le sue attività sono sempre più intense e pericolose fino alla lotta armata, preparata in Ciad .

 All’inizio anche il padre aveva accolto con favore, come la maggior parte dei libici,  la presa di potere di Gheddafi, questo giovane militare semisconosciuto che aveva detronizzato il vecchio re Idris e aveva galvanizzato con le sue idee di rinnovamento l’entusiasmo della Libia che ancora si leccava le profonde ferite dell’occupazione italiana fascista e della guerra.

Tuttavia già l’atteggiamento critico di Jaballa aveva indotto  il leader libico a spedirlo lontano dal nuovo regime instaurato, come rappresentante del paese all’Onu: per questo l’autore nasce newyorkese.

 Ma il suo amore non è mai andato a questa città, bensì a Londra dove ha compiuto la sua maturazione, dove ha trovato una sorta di balsamo nel paesaggio di una campagna dalla luce liquida e morbida, distante dai toni decisi e contrastanti del bianco accecante della luce, del giallo e marrone bruciato dei campi,del blu intenso del mare della Cirenaica. Comunque lo scrittore parla sempre con piacere dei posti dove ha vissuto o dove è frequentemente  andato: Manhattan, Nairobi, dove è rimasta una parte della famiglia scappata negli anni’80, Il Cairo, dove a lungo è ritornato per far visita alla madre insieme al fratello Ziad, Roma dove lo ha condotto spesso il suo amore per l’arte.

A Bengasi dedica molte pagine, perché la sua struttura architettonica, realizzata dall’architetto italiano Guido Ferrazza  si lega al suo interesse  per la diffusione della vera realtà rappresentata dal dominio di Mussolini e della sorte toccata a molti libici, alcuni morti di stenti nelle navi che dovevano trasportarli in Italia in esilio, altri nelle carceri delle Tremiti, di Favignana e altre isolette italiane. Addirittura intervista lo storico italiano Nicola Labanca ,che sa esperto conoscitore del colonialismo italiano in Africa, per essere messo in contatto con archivi che meglio possano illuminare questa brutta vicenda, di cui a tutt’oggi gli italiani non sono a conoscenza.

Il tema della descrizione delle città, delle loro atmosfere, delle loro bellezze occupano grande spazio nel testo, soprattutto le pinacoteche dove spesso ha delle intuizioni sulla sorte del padre, sulle torture subite, di cui non sa nulla di preciso, contemplando per esempio in modo ossessivo Il Martirio di S.Lorenzo di Tiziano o la Morte di Massimiliano di Manet.  Anche nei testi letterari su cui scrive il pensiero corre a connessioni con la vita del padre o sulla sua esperienza di sdradicato. Perché è soddisfatto sì del suo rapporto con la cultura britannica ma non ha mai accettato l’assimilazione, come ha visto fare a molti suoi connazionali, e ha preferito lo “sdradicamento come unica forma di fedeltà al paese o al ragazzino che ero quando lo avevo lasciato”.

Come si fa a crescere con un padre intelligente, famoso per le sue lotte, per la sua incorruttibilità, ma anche assente di necessità? come si fa a rivoltarsi, da adolescente, contro un padre che è la summa di tutto ciò che un ragazzo vorrebbe essere?Come si fa a voltare pagina nella propria vita ossessionata quando non hai avuto “l’ineluttabilità” del funerale e del rito che sancisce in modo definitivo la morte di una persona cara?Tutta la sua famiglia è tenuta insieme da questa folle speranza che il padre possa essere ancora vivo ma impossibilitato a palesarsi e si tengono stretti per non perderlo questo morto-vivo che si espande nella loro vita come un fantasma. Bellissime le frasi dedicate all’identificazione con  Telemaco che avrebbe voluto un padre come tutti gli altri che invecchia serenamente ,lontano dai clamori di mirabolanti gesta.

 Ma così non è stato per lui : tuttavia Matar riesce a capovolgere la mancanza di una data di morte o di una tomba su cui piangere in una sensazione di un padre senza tempo che esiste ieri e oggi, che vive ( o muore) ad Abu Salim ma canta canzoni o recita poesie che ancora ricordano coloro che sono stati con lui imprigionati e sono sopravvissuti, anche se dominati da sensi di colpa.

Le analisi sulle responsabilità storiche non sono rivolte solo all’Italia, ma anche all’Inghilterra, che ,nell’epoca di Blair, fa inciuci economico-finanziari con Saif el-Islam Gheddafi o che, nell’era di Milliband , oppone una lentezza burocratica alla richiesta dello scrittore di intervenire diplomaticamente in Libia allo scopo di ripristinare i diritti umani, e anche alle responsabilità dell’Egitto di Mubarak nel sequestro del padre, praticamente venduto ai libici.

Ma tutto questo non ne fa un libro politico, se non in senso lato, il centro del testo resta soprattutto nelle splendide riflessioni sulla morte, sul rapporto tra generazioni e su quello padre-figlio, su che cosa vuol dire ereditare un passato per costruirci un futuro, sul senso della bellezza che ci salva, sul potere della letteratura che ci fa guardare oltre, più in alto e più profondamente dentro di noi. Una scrittura appassionata che rende la lettura emozionante anche perché condotta come una sorta di thriller: riuscirà il nostro eroe a sapere qualcosa di definitivo sul padre?

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