Alain Mabanckou - Sdraiati in affari - recensione a cura di Rosella Clavari

Alain Mabanckou

Sdraiati in affari

66thand2nd, 2024

traduzione di Marco La penna

Conosciamo da tempo questo autore vivace definito nel suo genere visionario, irriverente, surreale. Senza dubbio gli si riconosce una grande padronanza della scrittura, in romanzi dove ricorre sovente l’elemento biografico.

La storia inizia con il racconto di un morto, un po’ come nel film “Viale del tramonto” dove è proprio il morto la voce narrante a introdurci nel flash back della sua vicenda finita tragicamente. Il morto in questione è Liwa, un giovane devotamente legato alla nonna, Mà Lembé, un esempio di donna sola, buona e sfortunata. La sua unica figlia che ha avuto il suo stesso destino, rimasta incinta e poi abbandonata, è morta dopo aver dato alla luce Liwa; ora Liwa, da morto, durante i quattro giorni del suo funerale, racconta la sua infanzia spensierata a Pointe Noire, nell’adolescenza ricorda le uscite con gli amici, la frequentazione della chiesa pentecostale Grace à Dieu, la figura di Padre Gioia, il pastore evangelico esaltato e amato da sua nonna, successivamente coinvolto in uno scandalo; poi da grande trova lavoro come aiuto-cuoco presso l’Hotel Victoria. Questa routine giornaliera viene spezzata all’improvviso da un incontro in discoteca con una giovane donna attraente che lo conduce dopo il ballo a casa sua. Lì alloggia un personaggio di potere molto inquietante, la cui figlia Samantha è morta in circostanze misteriose; alcuni dicono sacrificata dal padre, su consiglio di uno sciamano, per la sua ascesa al potere. La ragazza incontrata da Liwa in realtà è Samantha, arrivata dal mondo dei morti, che ha la capacità di trasformarsi volta per volta in varie donne per sorvegliare il padre e vendicarsi. Ma chi sconterà la pena di quell’incontro sarà proprio Liwa, avvelenato dal padre di Samantha. Qui entrano in campo le credenze africane congolesi ben note all’autore: la stregoneria, la vendita di organi umani per compiere rituali, oppure sacrifici di di esseri umani per conquistare posizioni di prestigio; il tutto narrato con estrema naturalezza, denunciando varie forme di corruzione che inquinano il suo paese. Il tono dell’autore è irriverente, ironico, spesso si mette dalla parte di chi riconosce gli africani dal loro modo di vestirsi e muoversi (con una divertita autocritica).

Il titolo di cui non siamo venuti a capo nell’originale in francese, indica chi governa anche da morto (sdraiati in affari); in effetti nel cimitero di Frère-Lachaise (volutamente opposto al famoso cimitero parigino dei ricchi, Père Lachaise) i morti fanno la loro “vita” interagendo tra loro, ciascuno ha la sua mansione e viene confermato in quello che era in vita.

L’autore, in una intervista di Terza Pagina afferma che “per il popolo congolese il tema della morte è cruciale. Per loro nel regno dei morti non cambia nulla: la derisione e l’impotenza della vita si trasferiscono anche tra i morti”; è quel filo rosso che collega vita e morte, mondo dei vivi e degli antenati con la presenza di entità mediane (a voler semplificare, perché il discorso è molto più complesso circa il mondo degli spiriti) che caratterizza la cultura africana in molti paesi del grande continente. L’autore cita il quartiere Mbote di Pointe-Noire “una zona abitata da Bembé dove la gente crede più nel potere dei feticci che nelle leggi dello Stato”. Poi ci sono le note ironiche e surreali come “lo sciopero dei morti” dove, con una lettera indirizzata al presidente, viene rifiutato l’ingresso ad un assassino reo di avere ucciso i due figli: “quel farabutto da noi non entra, non siamo una discarica!”

La parte più riuscita è senza dubbio quella che si svolge nel cimitero con i vari personaggi che appaiono e le loro tragiche storie, morti che ci appaiono ancora molto “vivi”: Prosper Milandou detto il Dru, con la scritta del suo epitaffio piena di errori, è confermato capo-settore del cimitero poiché conosce le storie di tutti i defunti lì ospitati; in vita era direttore delle Risorse umane ed è stato ucciso su mandato di persone che volevano ostacolare la sua carriera: poi c’è l’Artista, il musicista Lully Madeira, anche lui aveva fatto ricorso alle stregonerie per avere successo nella sua professione, mosso da una ambizione sfrenata; Mamba nero che era il guardiano del cimitero ne rimane il capo indiscusso anche da morto; tutti alla fine del loro racconto scompaiono in una nuvola di polvere.

Definirlo romanzo noir visionario mi sembra riduttivo. E’ piuttosto un fermarsi, attraverso il mondo dei morti e la consapevolezza della morte, a riflettere sulla vita. Per noi italiani supernutriti da Dante Alighieri con la Divina Commedia, è una riflessione molto apprezzata.

Liwa non ha ancora l’animo in pace, vorrebbe uscire dal cimitero e vendicare la sua morte. Ma “bisogna andare tra i vivi per una causa davvero nobile” suggerisce la Donna-corvo del cimitero, infatti Liwa sarà il giustiziere, da morto, per una solo giorno e questo finale lo lasciamo al lettore.

 

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