Alessandra Colarizi - Africa rossa. Il modello cinese e il continente del futuro - recensione a cura di Rosella Clavari

 

 

 

 Alessandra Colarizi

 AFRICA ROSSA

 il modello cinese e il continente del futuro

 L’Asino d’oro ed. 2022

 

 Alessandra Colarizi, sinologa e giornalista 1), in questo piccolo e denso saggio affronta i rapporti Cina-Africa   non solo riferendosi agli ultimi trent’anni ma partendo dai primi scambi culturali avvenuti nel corso dei   tempi. E’ un percorso che offre molte piste di approfondimento, a partire dalla visione favolistica dell’antica   Via della Seta fino ad arrivare all’attuale Nuova via della Seta che si racchiude in una sigla BRI - Belt and   Road  Initiative, vale a dire una rete di collegamenti terrestri e rotte marittime segnata anche dall’avvento   del  digitale. Un percorso che prende dentro molti eventi di rilievo tra cui la Cina di Mao e l’eterna rivalità e   differenza culturale tra Cina e Taiwan. Ne offriamo solo un breve excursus senza tutti i dettagli e   approfondimenti che il testo contiene.

Cina e Africa : un’antica storia

Da 31 anni l’Africa è la prima meta intercontinentale del Ministro degli Esteri cinese e negli ultimi 20 anni la Cina ha rappresentato per l’Africa la prima fonte di finanziamenti infrastrutturali, con la costruzione di ferrovie, ponti, autostrade, scuole, stadi, porti. Dati alla mano? Ad oggi la Cina ha effettuato: 10.000 km di ferrovie e autostrade, 100 porti e 1000 ponti, 80 centrali elettriche, 130 strutture mediche, 45 stadi, 170 scuole; numeri impressionanti anche se un discorso a parte meriterebbe la questione dei bassi costi e della scarsa qualità.

Inoltre l’ arrivo di capitali cinesi ha creato circa 4 milioni di posti di lavoro alla popolazione locale; accanto a questi risultati notiamo la massiccia immigrazione cinese e il grande debito da pagare per i governi africani da questo sviluppo infrastrutturale. La Cina si spende molto anche nella formazione dei nuovi leader di impresa africani ma il timore diffuso è che l’Africa anziché trarre esempio dal modello cinese come modello di sviluppo, possa perdere qualsiasi forma di autonomia per una inconciliabilità culturale.

Può trasformarsi questo modello nell’emancipazione sociale per l’Africa? Per capire meglio i rapporti tra questi due grandi continenti ricchi di storia e di cultura, occorre risalire fino all’età imperiale cinese. La Cina, vittima del giogo coloniale sotto la guida comunista ha creato su questa comune memoria coloniale una empatia con l’Africa. Tuttavia la fratellanza sino-africana sembra davanti al mondo un furbo espediente che maschera una presunta superiorità culturale.

 Dove va ad attingere la Cina questa fratellanza storica? A Siyu, nell’arcipelago di Lamu al largo della costa nordorientale del Kenya, una piccola parte della popolazione locale rivendica origini cinesi. Qui passava l’antica via della seta per un lungo periodo, tra il I sec a.C. e il XVIII d.C. Ma a partire dal XVI secolo assistiamo al declino della civiltà asiatica fino a giungere al sorpasso delle potenze imperialiste occidentali nel XIX secolo e alla conseguente spartizione territoriale colonialista. Dunque, nel XV secolo un naufragio ( non avvalorato da ritrovamenti ma tramandato oralmente) li fa fermare nell’arcipelago di Lamu dove si stabiliranno,sposeranno donne africane, abbracceranno la religione islamica e chiameranno il villaggio Shanga ( in onore di Shangai); in seguito il villaggio fu distrutto e la gente si spostò a Siyu : i sino-discendenti lì oggi sono solo 6. Questo fatto, secondo una diffusa opinione, è servito alla Cina attuale come una legittimazione nella memoria storica per le sue imprese finanziarie.

Altri eventi storici sono stati usati in questo senso dalla leadership cinese , così come vedere negli anni ‘60 una unità di intenti dell’Africa e della Cina maoista.

Nel 1900 un forte sentimento anti-asiatico da parte inglese impedì altra immigrazione cinese in Sudafrica. I cinesi furono discriminati nell’apartheid come i neri e ciò finì verso gli anni ‘80, ma solo nel 2008 furono riconosciuti loro gli stessi diritti della popolazione locale. Anche questa piaga del razzismo subito è stata considerata dalla Cina un elemento condiviso con l’Africa.

 Negli anni ‘60, mentre dentro la Grande Muraglia imperversava la rivoluzione culturale, molti diplomatici cinesi furono espulsi da alcuni paesi africani come Costa d’Avorio, Kenya ,Madagascar, Senegal, l’attuale Burkina Faso, con l’accusa di fomentare attività sovversive. In Ghana il presidente Kwame Nkrumah, un grande estimatore di Mao, fu destituito proprio mentre era in visita in Cina. In quei tempi Mosca fu il primo fornitore militare, seguito dalla Cina che, tra il 1967 e il ‘76, sostenne la causa africana contro i paesi invasori.

 Un evento importante per l’economia africana negli anni ‘70, segna l’inizio della campagna di aiuti avviata dal regime maoista in sostegno dei movimenti di liberazione africani: è la costruzione della prima linea ferroviaria, la più lunga, dell’Africa sub-sahariana, la TAZARA, ( tra Tanzania e Zambia); nel contempo il presidente della Tanzania Nyerere avanzava con la politica di collettivizzazione agricola ispirata ai principi della rivoluzione cinese.

Nel 1976 dopo la morte di Mao, apprestandosi a ricucire le relazioni con USA e Mosca, l’interesse di Pechino per l’Africa si affievolisce, ormai sono cambiati gli equilibri mondiali. Nasce quel capitalismo di stato (altrimenti detto “socialismo con caratteristiche cinesi”) e gli aiuti cinesi crollano, così come l’entità dei finanziamenti elargiti.

Arriviamo nel 1989 alla protesta studentesca di Tian’anmen , preceduta da episodi di razzismo contro studenti neri, nel 1988. Colarizi afferma che la reazione dell’Africa al massacri di Tien’anmen fu tenue, dimostrando di volere tenersi stretti gli aiuti cinesi. Da quegli anni fino al 2022, aumenta il numero dei paesi africani visitati dal Ministro degli Esteri cinese. In particolare il Sudafrica è l’alleato numero 1, ottimo esempio di cooperazione Cina-Africa, Sud-Sud proiettata verso il BRICS : Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Dopo il 2003 la Cina ha abbracciato la politica del go-globale e il termine aiuti scompare, compare invece il termine “cooperazione allo sviluppo internazionale”. Colarizi sottolinea che quello degli aiuti esteri è un tema molto scivoloso. La Cina gioca sulle somiglianze storiche, come abbiamo visto, non si impone con la forza, ma persuade con i fatti e conquista consensi costruendo strade, ferrovie e scuole in cambio di petrolio, rame e cobalto. Si occupa anche della formazione della nuova classe dirigente africana e in questa connivenza opportunistica, la classe politica africana aspira a replicare il miracolo economico cinese.

Nel 2013 l’entrata dell’ Africa nel G20 è legata al presenzialismo cinese nei forum internazionali e Pechino ricambia la lealtà politica insabbiando le violenze perpetrate dai leader amici ( vedi il Tigray) così come si intuisce che non era all’oscuro di colpi di stato avvenuti in Africa ( per es. nello Zimbabwe nel 2017) appellandosi al principio della non ingerenza. Ma se gli interessi economici di Pechino nel paese sono salvi , l’instabilità del continente africano è fonte continua di grattacapi per il governo cinese.

La Cina si mette in una posizione di non ingerenza nei confronti dell’Africa, ma non vuole inimicarsi l’America . Il progetto della Diga sul Nilo Azzurro getta zizzania tra il governo di Addis Abeba, l’Egitto e il Sudan, tre paesi che dovrebbero trarre vantaggi da ciò in una equa ripartizione. Il fatto è che qui ci sono di mezzo gli interessi delle superpotenze, ciascuna mirando a tirare l’acqua verso il proprio mulino. Non dimentichiamo che ai tempi della guerra fredda, Mao tentò di scippare l’Africa all’Unione sovietica. Oggi le capitali africane si trovano a un bivio: la Cina o l’Occidente? I prestiti facili o la credibilità internazionale?

 L’ Africa presa tra Oriente e Occidente: la nuova spartizione

 Secondo la studiosa Margaret C.Lee, l’Africa è presa tra le ex potenze imperialiste e la Cina ; ciò ha anche conferito un nuovo volto al territorio: ferrovie cinesi accanto a cavalcavia brasiliani, utility a gestione filippina e terminal aeroportuali turchi. Così si presenta il Ghana ma anche gran parte del continente. La Turchia che si definisce paese afro-euroasiatico, ha inaugurato 26 ambasciate in Africa. La Russia è tornata ad esercitare una presenza importante, anche dopo la guerra in Ucraina. Giappone e India giocano la strategia del comune passato coloniale, Tokyo in particolare inserendosi nei progetti infrastrutturali. La Corea nel campo del digitale vede la sua opportunità, Emirati Arabi e Turchia si fanno strada con basi militari in Libia e Somalia. La Cina ha saputo aspettare da quel lontano 1961 dell’incontro con Mitterand e, prima delle sue previsioni a lungo raggio, ha preso piede in Africa, soppiantando la presenza francese. D’altro canto, l’invito fatto dalla Cina a Francia e Germania di creare più opportunità di sviluppo comune in Africa, creando una cooperazione trilaterale, trova in corrispondenza oppositiva il “quad africano” con cui si definisce la strategia quadrilaterale anti-Cina adottata da Washington nell’Indo pacifico con India, Giappone e Australia. In ultima analisi, Usa, Cina e Russia sono le più interessate nel contendersi l’Africa, ma secondo un ultimo sondaggio (Afrobarometer 2021) la maggior parte degli africani preferisce ancora il modello di sviluppo americano. Questo indica uno scollamento tra la percezione dei leader e il sentire popolare ma è anche vero che la percezione nei confronti della Cina varia da paese a paese. Mentre la Cina vede l’Africa come un laboratorio per la cooperazione tra il continente asiatico e l’Europa, assistiamo all’emergere di soluzione endogene nelle capitali africane, tra cui UNIONE AFRICANA e AFRICAN CONTINENTAL e ci auspichiamo che continuino a crescere dimostrandosi efficaci.

Intanto la Cina ha fatto appello alla millenaria amicizia tra Pechino e Africa celebrando i 50 anni della ferrovia TAZARA, iniziata nel 1970. Le opere fondamentali per i commerci africani sono quelle ferroviarie e gli scali marittimi e se progetti di tale natura sono stati iniziati dall’Occidente è pur vero che il futuro è l’EST.  Ci possiamo rendere conto che l’Africa, grazie alle strade aperte dalla Cina diventa una estensione dell’Asia meridionale e del Sudest asiatico, concetto ribadito dal ministro degli esteri cinese Wang Yi nel 2012. Se nel 1970 la ferrovia segna una svolta nell’ambito dell’intervento cinese, la stagione dei grandi investimenti inizia negli anni ‘80 ma i paesi africani sono troppo poveri per sostenere nuovi progetti.

La via della seta digitale e le emergenze sanitarie

Fin dal 1851 sono le aziende britanniche a dominare il mondo delle connessioni (vedi il cavo telegrafico sottomarino tra Dover e Calais) . A proposito dei cavi sommersi, la connessione cinese Peace della Huawei parte dal Pakistan e attraversa Asia, Africa ed Europa, portando per 15000 km la banda larga nel continente africano. E’ questa la nuova via della seta: una tecnologia dell’informazione e comunicazione a basso costo, meno visibile e più semplice da realizzare e facile da monetizzare. C’è, come rovescio della medaglia, l’impiego di tali mezzi come sorveglianza speciale nelle politiche repressive della popolazione ( come è avvenuto in Zambia e Uganda). Per questo motivo la nuova via digitale della seta fa parlare anche di colonialismo digitale.

Nella cessione di tecnologia strategica, l’Africa guarda a Corea del Sud e India come partner solidali , ma smarcarsi da Huawei non è cosa facile. Aggiungiamo che la via della seta finanziaria, vede l’opposizione della Cina allo strapotere del dollaro , valutando la possibilità di diffondere l’e-CNY ( lo yuan digitale) .

Nel biennio del Covid 2020-2021, la Cina ha sostenuto il continente africano con forniture mediche attraverso l’Oceano Indiano, questo senza prescindere da motivazioni politiche potenziando la fratellanza Sud-Sud , rafforzando i rapporti diplomatici e tenendo conto della vendita di materiale sanitario. Inoltre c’ era stato uno scambio di forniture Africa- Cina, all’inizio del Covid, quando la Cina era la culla del contagio. Nell’opinione comune si parla a tale proposito di una politica ricattatoria: forniture di risorse sanitarie e medicine in cambio di materie prime e idrocarburi. Una cosa evidente che nega la solidarietà tra popoli è senz’altro l’avere escluso da parte della Cina nella fornitura di vaccini, Somaliland ed eSwatini per i suoi rapporti tesi con l’altra sponda dello stretto di Formosa, l’”altra Cina” : Mswati III, re di eSwatini ( ex-Swaziland) infatti ricorrerà a Taiwan. Non dimentichiamo , per quanto riguarda le emergenze sanitarie, che la Cina può aiutare l’Africa a sconfiggere la malaria così come ha fatto nel suo territorio ( sappiamo che il 92% dei decessi sono dovuti in Africa proprio alla malaria) .

Conclusioni.

La riflessione che impone il saggio è sulla spartizione di un continente dovuta alla sete di potere delle superpotenze ma anche alla corruzione dei leader africani che favoriscono tale scempio. Pensiamo alla vendita alla Cina, da parte della Sierra Leone, di centinaio di ettari di spiagge incontaminate per la costruzione di porti industriali per la pesca. E intanto i fondali si stanno spopolando... Ci sono stati episodi di ribellione come quella dei minatori in Congo e altre soluzioni endogene di autonomia cui abbiamo accennato, ma l’Africa stenta a poter camminare da sola senza essere sfruttata, Lo studioso Howard French nel suo ultimo libro China’s second continent, how a million migrants are building a new empire, afferma che “la luna di miele tra Cina e Africa è finita” nel senso che alcuni paesi soffrono la presenza cinese anche per una inconciliabilità culturale. Per sentire una voce africana, tra le varie personalità che denunciano questo stato di cose, ricordiamo le parole del drammaturgo congolese Sony Labou Tansi tratte da una sua pièce 2) scritta nel 1985, dove un principe africano che ha finto un colpo di stato a suo danno, con la collaborazione di due suoi fidi sudditi nell’intento di smascherare i suoi nemici, interroga la sua Guardia del Corpo. Vediamo come si concentri, nel breve dialogo parossistico, la visione di una spartizione neocolonialista dell’Africa, quell’Africa che “ diventerà ogni giorno di più un caso di coscienza per tutta l’Umanità. Senza dubbio il suo punto debole”. 3)

 Quadro I sc. 5

Antoine […] Cosa ne pensa l’America della situazione creata da due boy-scout, assolutamente incapaci e magnificamente impopolari?

Guardia del corpo Gli Americani sono dei commercianti, anche in politica gli amici se li fanno solamente per venderli, un giorno, all’asta.

Antoine Quanto ai ragazzi della Pravda...credo abbiano già dimenticato che io esista.

Guardia del corpo I Russi sono degli Americani rovesciati dal comunismo e dalla topometria. Non lo dimentichi Altezza. Essi commercializzano senza riserve l’estetica del tempo che passa

Antoine E la Cina sta zitta naturalmente?

Guardia del corpo Sì, Altezza. In un silenzio assolutamente codificato e vestito di una non ingerenza di seta.

Antoine Non è questo che mi avevano lasciato intendere durante la mia ultima visita a Pechino. Non ho mai fatto conto sulla Francia e sull’Inghilterra nella mia politica: sono paesi che se ne vanno in vacanza quando i loro amici crepano e tornano poi soltanto per i funerali. E così quindici anni di regno mi lasciano soltanto un sole rosso di solitudine. Il mio popolo dorme, i miei nemici ballano, e gli amici miei stracciano tutte le loro promesse [...]

                                                                                                                             *****

 

1) è direttrice editoriale di China Files. collabora con Il Manifesto, Il Fatto Quotidiano, Internazionale e Left.

2) Sony Labou Tansi , Antoine m’a vendu son destin in Teatro Africano a cura di Egi Volterrani, Einaudi 1987

3) Ibidem, Prologo dell’autore.

 

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