Amilca Ismael
Il racconto di Nadia
Il Filo, Albatros, 2010
Amilca Ismael scrittrice italo mozambicana, come lei ama autodefinirsi, è qui alla seconda prova letteraria, dopo il grande successo de La casa dei ricordi in cui veniva narrata la sua personale esperienza in una casa di riposo con il vissuto delle anziane ospiti erette a vere protagoniste attraverso storie di dolore, abbandono e memorie ancora vive. In quel primo romanzo Amilca stava sullo sfondo rispetto alle altre donne che la chiamavano affettuosamente oppure con una punta di razzismo “cioccolatino”.
Per inciso, è la terra natale di Amilca, giunta qui in Italia nel 1986 al seguito del marito italiano dal quale ha avuto quattro figlie.
L'amicizia occasionale delle due donne, nata durante un viaggio aereo di dieci ore si manifesta come un viaggio nel tempo: Nadia intenta a raccontare la sua storia che è anche quella del Mozambico a partire dagli anni '50 ai giorni nostri, servendosi all'occasione dei racconti della madre e della nonna, Elisa disponendosi all'ascolto e scoprendo cose che ignorava.
Nell'intreccio di questi racconti nonna-madre-figlia rivelati attraverso il dialogo delle due donne è la figura femminile a dominare mentre il padre rimane ambiguamente nell'ombra, amato-odiato, padre-padrone incarnazione dell'autorità e fondatore di una doppia famiglia con quindici figli al seguito in cui si incontrano la matrice cattolica della madre di Nadia e quella islamica della seconda moglie Zubaida.
Viene sottolineato che nel periodo coloniale “non esisteva nessun nero con un incarico importante”.
Una spirale di violenza serpeggia e si insinua pian piano nelle pieghe del racconto, comincia lievemente in un flashback di Nadia che oppressa dal ricordo delle sofferenze psicologiche e fisiche dalla madre vuole distrarsi pensando ad altro ma quello che affiora è in realtà prefigurazione di altre violenze e altro sangue: l'immagine stampata nei suoi occhi di una gazzella divorata da un coccodrillo. Altre violenze si aggiungono nei ricordi: quelle subite da Mary la compagna di scuola fascinosa soprannominata scherzosamente “cacciatrice di uomini”, trascinata in orge con alcuni corrotti personaggi che la portano sull'orlo della rovina fisica e morale da cui si salva espatriando; quelle subite dalla figlia dello zio Fazial, reo di incesto; quelle vissute a Gaza dal giovane Tony con la descrizione cruda e impietosa degli stupri collettivi e delle uccisioni compiute anche dai bambini-soldato.
La fuga sembra essere l 'unica via di salvezza dalla povertà, dall'oppressione; Nadia, Ussen e Ricardo decidono di fuggire nello Swaziland “un minuscolo paese confinante con il Mozambico” ma sarà soltanto il punto da cui si divideranno le loro vite per strade diverse.
Il padre di Nadia amato e odiato è fissato benignamente in pochi momenti, avvolto in una misteriosa e mitica aura: “Mio padre è nato a Gaza una città antica e leggendaria” , oppure assimilato al mare, grandioso e pericoloso, calmo e incostante, quello stesso mare che durante i suoi viaggi di gioventù, dopo la tempesta, si addormentava “come un bambino nella culla” quel mare dove ama portare in gita i figli: “durante le vacanze di scuola spesso mio padre ci portava al mare a Bilene. A Bilene c'era il più bel mare che io abbia mai visto, un paradiso naturale circondato da dune di sabbia bianca come la neve e da enormi distese di palme e pini che abbellivano il lungomare. La spiaggia era meravigliosa, il colore dell'acqua variava dal verde cristallino a un verde più scuro e dove il mare era più profondo l'acqua era di colore blu scuro”.
E' evidente che la dimensione familiare, domestica, è l'angolazione prescelta da Amilca Ismael in questo romanzo: ascoltando come una donna vive, ama, spera e riflettendo sul bisogno di fare pace col passato partendo da quel microcosmo familiare per poi estendersi a tutta la società mozambicana. Qui l'autrice conferma la sua disposizione prepotentemente africana ad abbracciare la scrittura come testimonianza conservando l'impronta dell'oralità, della cosiddetta “letteratura della memoria” nell'intreccio dei racconti che ha ascoltato e che ci offre a piene mani.
Con una scrittura chiara e immediata, scandaglia nell'animo umano e anche crudamente e impietosamente nelle atrocità della guerra; ci permette di riflettere su tematiche sociali e politiche inquietanti e contraddittorie come la poligamia, il matriarcato, il patriarcato, la colonizzazione e la guerra civile, non escludendo il suo punto di vista, quello di una donna di pace con occhi puri di eterna ragazza.