Amilca Ismael-Il racconto di Nadia (recensione di Rosella Clavari)

 Amilca Ismael

Il racconto di Nadia

Il Filo, Albatros, 2010

altAmilca Ismael scrittrice italo mozambicana, come lei ama autodefinirsi, è qui alla seconda prova letteraria, dopo il grande successo de La casa dei ricordi in cui veniva narrata la sua personale esperienza in una casa di riposo con il vissuto delle anziane ospiti erette a vere protagoniste attraverso storie di dolore, abbandono e memorie ancora vive. In quel primo romanzo Amilca stava sullo sfondo rispetto alle altre donne che la chiamavano affettuosamente oppure con una punta di razzismo “cioccolatino”. 

Ebbene, in questa seconda narrazione è la storia di Amilca ad emergere seppure non in forma autobiografica dichiarata, ma filtrata dal dialogo di due amiche, Nadia ed Elisa, entrambe mozambicane. La prima ha circa 50 anni, la seconda 30, entrambe sono emigrate dal Mozambico, verso Lisbona e Milano, entrambe sono molto legate alla loro terra d'origine.
Per inciso, è la terra natale di Amilca, giunta qui in Italia nel 1986 al seguito del marito italiano dal quale ha avuto quattro figlie.
L'amicizia occasionale delle due donne, nata durante un viaggio aereo di dieci ore si manifesta come un viaggio nel tempo: Nadia intenta a raccontare la sua storia che è anche quella del Mozambico a partire dagli anni '50 ai giorni nostri, servendosi all'occasione dei racconti della madre e della nonna, Elisa disponendosi all'ascolto e scoprendo cose che ignorava.
Nell'intreccio di questi racconti nonna-madre-figlia rivelati attraverso il dialogo delle due donne è la figura femminile a dominare mentre il padre rimane ambiguamente nell'ombra, amato-odiato, padre-padrone  incarnazione dell'autorità e fondatore di una doppia famiglia  con quindici figli al seguito in cui si incontrano la matrice cattolica della madre di Nadia e quella islamica della seconda moglie Zubaida.
Nadia all'epoca dell'indipendenza del Mozambico, nel 1975, aveva solo dodici anni ma attraverso i racconti della madre e dei personaggi che le ruotano intorno  può conoscere  i retroscena del periodo della colonizzazione.  I primi capitoli sono occupati dai ricordi dell'infanzia con i suoi giochi, le bambole di pezza, la fabbrica dei giocattoli “fai da te” di cui era autore Mariano, suo compagno d'infanzia, i pneumatici vecchi riempiti d'acqua e usati come ruote volanti, procurati  dallo sfasciacarrozze  Abdul, amico dei piccoli  “che arrivava con il suo camion, ci caricava tutti dietro e ci portava al mare”.  Accanto ad Abdul spiccano altri personaggi come l'anziana  Nhelete poverissima e gracile che si occupa dei nipoti orfani, Julio il giardiniere vittima del razzismo, Ernesto il bambino handicappato che gattonando gioca nella squadra di calcio, Francisca detta “la curandeira”  che dopo il mestiere di prostituta si inventa la professione di guaritrice e infine l'adorato fratellastro Ussen, compagno di giochi e di scorribande. Una vita fatta di piccole cose, con poco cibo, poca luce, pochi vestiti ma senza farne un dramma, anzi “per sdrammatizzare facevamo una specie di gioco: cercavamo di trovare sempre una cosa positiva in tutto ciò che succedeva”.
Nei ricordi della madre si affaccia la realtà sociale del meticciato. In Mozambico è normale trovare fratelli di razze diverse perché la massiccia presenza di portoghesi, indiani, bianchi europei e una minoranza di cinesi ha portato in Mozambico un gran numero di mulatti dai più svariati tratti somatici. Accanto alla realtà del meticciato c'è la classificazione dei neri secondo il punto di vista della nonna considerata da Nadia “un libro umano”: i neri ignoranti che parlano solo le lingue locali come il ronga e non sanno né leggere né scrivere, i neri assimilati che abbandonarono la loro cultura per abbracciare quella portoghese e la razza mista sopra citata che si sente superiore ai neri.
Viene sottolineato che nel periodo coloniale “non esisteva nessun nero con un incarico importante”.
Nel racconto della nonna materna Cristina viene riassunta la storia del Mozambico dall'arrivo dei portoghesi (nel XV secolo) , quando i neri e gli arabi furono sottomessi e iniziò la schiavitù ; sarà lungo e penoso  il cammino, circa cinque secoli, prima di ottenere l'indipendenza nel 1974, ma questo tappa tanto agognata  non sarà la fine delle sofferenze, bensì l'inizio di una sanguinosa guerra civile in cui si scontreranno i due movimenti principali  Frelimo ( allineato politicamente all'Unione Sovietica dando luogo a un'economia socialista ) e Renamo ( movimento armato anticomunista) appoggiato dai governi bianchi del Sudafrica, Rhodesia e Stati Uniti.  Viene ricordato nel contesto del racconto che grazie alla mediazione della Comunità di Sant'Egidio nel 1992 fu firmato a Roma il  trattato di pace tra Frelimo e Renamo chiudendo il periodo della guerra civile per iniziare la fase della ricostruzione e della riconciliazione.
Anche a livello familiare, nei racconti della madre di Nadia, viene evidenziata una condizione di repressione e in particolare nel contesto della poligamia. Nonna Cristina non voleva che la figlia sposasse un mulatto musulmano, convinti che “uomini così trattassero le donne come serve” ma non riesce a convincerla; ben presto la donna si renderà conto di avere sbagliato quando il marito porterà in casa la seconda moglie Zubaida; durante questa convivenza lei continuerà a sfornare figli, usata sessualmente in alternanza con Zubaida :  “era orribile sapere che tuo marito era con un'altra donna a due passi da te, non riuscivo a dormire solo al pensiero [.....] sono sicura che la stessa sensazione la provava anche lei quando lui era a letto con me”.
Una spirale di violenza serpeggia e si insinua pian piano nelle pieghe del racconto, comincia  lievemente in un flashback di Nadia che oppressa dal ricordo delle sofferenze psicologiche e fisiche dalla madre vuole distrarsi pensando ad altro ma quello che affiora è in realtà prefigurazione di altre violenze e altro sangue: l'immagine stampata nei suoi occhi di una gazzella divorata da un coccodrillo. Altre violenze si aggiungono nei ricordi: quelle subite da Mary la compagna di scuola fascinosa soprannominata scherzosamente “cacciatrice di uomini”, trascinata in orge con alcuni corrotti personaggi  che la  portano sull'orlo della rovina fisica e morale da cui si salva espatriando; quelle subite dalla figlia dello zio Fazial, reo di incesto; quelle vissute a Gaza dal giovane Tony con la descrizione cruda e impietosa degli stupri collettivi e delle uccisioni compiute anche dai bambini-soldato.
La fuga sembra essere l 'unica via di salvezza dalla povertà, dall'oppressione; Nadia, Ussen e Ricardo decidono di fuggire nello Swaziland “un minuscolo paese confinante con il Mozambico” ma sarà soltanto il punto da cui si  divideranno le loro vite per strade diverse.
Il padre di Nadia  amato e odiato è fissato benignamente in pochi momenti,  avvolto in una misteriosa e mitica aura:  “Mio padre è nato a Gaza una città antica e leggendaria” , oppure   assimilato al mare,  grandioso e pericoloso, calmo e incostante, quello stesso  mare che durante i suoi viaggi di gioventù,  dopo la tempesta, si addormentava “come un bambino nella culla” quel mare dove ama portare in gita i figli:  “durante le vacanze di scuola spesso mio padre ci portava al mare a Bilene. A Bilene c'era il più bel mare che io abbia mai visto, un paradiso naturale circondato da dune di sabbia bianca come la neve e da enormi distese di palme e pini che abbellivano il lungomare. La spiaggia era meravigliosa, il colore dell'acqua variava dal verde cristallino a un verde più scuro e dove il mare era più profondo l'acqua era di colore blu scuro”.
 
E' evidente che la dimensione familiare, domestica, è l'angolazione prescelta da Amilca Ismael in questo romanzo: ascoltando come una donna vive, ama, spera e riflettendo sul bisogno di fare pace col passato partendo da quel microcosmo familiare per poi estendersi a tutta la società mozambicana. Qui l'autrice conferma la sua disposizione prepotentemente africana ad abbracciare la scrittura come testimonianza conservando l'impronta dell'oralità, della cosiddetta “letteratura della memoria” nell'intreccio dei racconti che ha ascoltato e  che ci offre a piene mani.
Con una scrittura chiara e immediata, scandaglia nell'animo umano e anche crudamente e impietosamente nelle atrocità della guerra; ci permette di riflettere su tematiche sociali e politiche inquietanti e contraddittorie come la poligamia, il matriarcato, il patriarcato, la colonizzazione e la guerra civile, non escludendo il suo punto di vista, quello di una donna di pace con occhi puri di eterna ragazza.
 

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