Cheluchi Onyemelukwe-Onuobia
Due vite due donne
edizioni e/o, 2022
traduzione di Elisa Banfi
Una nuova scrittrice nigeriano-canadese che, come tanti autori africani, vive a metà tra due mondi, ha deciso di riversare, a 45 anni, la sua esperienza di avvocato esperto di diritti femminili e dell’infanzia, in particolare legati alla salute, in questo suo primo romanzo, vincitore del premio Nigeria Prize for Literature 2021.
Come molti scrittori non di professione, si serve di consolidati stereotipi letterari per trasfondervi nuova materia e senso: troviamo l’orfanella di villaggio, che diventa servetta per i benestanti cittadini, la matrigna cattiva che fa di Nwabulu, una delle due protagoniste, una sorta di Cenerentola nigeriana, il grande amore che inganna e delude con annessa maternità fuori del matrimonio e via dicendo…Non è infatti alla trama che l’autrice affida la curiosità e l’interesse del testo, altrimenti non avremmo fatto altro che trovarci di fronte a una delle tante produzioni di Nollywood.
L’abilità di scrittura sta nel creare due personaggi femminili a tutto tondo, ribelli e resilienti ciascuna a suo modo, sullo sfondo di una società rimasta sostanzialmente patriarcale, riverniciata di modernismo, soprattutto nelle classi medio-alte, fondata sul classismo e sull’adesione delle donne a modelli segnati da tradizioni arcaiche.
Se, come non è abitudine delle traduzioni in italiano, si fosse lasciato il titolo inglese The son of the House si sarebbe andati dritti al nocciolo: il figlio maschio è il re della casa, erede di una catena di consuetudini difficili da estirpare.
Il romanzo si divide in 4 parti: una è il prologo, l’altra l’epilogo della storia, due si svolgono nel 2011 e le restanti dedicata ciascuna alle due donne. Nwabulu, orfana di padre e di madre, proveniente da un villaggio igbo e destinata fin dall’età di 10 anni a servire nelle case dei signori a Lagos e a Enugu, capoluogo di quello che noi conosciamo come Biafra. Passerà attraverso abusi sessuali, violenze fisiche e verbali, con in testa il sogno di diventare dattilografa. La scuola frequentata solo per poco, giusto il tempo di appassionarsi a libri e letture. Priva di affetti, a parte un’amica, Chidinma, anche lei a servizio, con cui condividerà tutta la sua vita.
L’altra donna, Julie, proviene invece da una famiglia borghese di insegnanti, anzi suo padre è preside e catechista convertito al cattolicesimo. Amata moltissimo dai genitori, ma caricata di pesanti responsabilità dal padre in punto di morte, di fronte al fallimento del fratello Afam, tornato disturbato dalla guerra civile e finito alcolizzato. Anche lei conta sull’amica Obiangeli per fare fronte ai tormenti della sua vita. Si sposerà tardi, in modalità poligamica, con un suo antico amante ricco e donnaiolo, già provvisto di una moglie e due figlie, legandosi in un matrimonio sciagurato, ottenuto con l’inganno, ma da cui non saprà e non vorrà, incomprensibilmente per sé e per gli altri, mai separarsi.
La vita scorre per quarant’anni dagli anni ’70 al fatidico 2011, da cui si origina la vicenda e la Grande Storia fa da sfondo alle loro vicissitudini. In particolare è interessante lo squarcio dedicato alla secessione del Biafra, di cui avevamo avuto un saggio ne La metà del sole giallo di Chimamanda Ngozi, perché analizza non tanto gli orrori della guerra civile, ma i traumi psichici dei reduci. Qui il tutto è solo un fondale atto a presentarci una Nigeria che sta cambiando, ma non tanto da decidere di abbandonare un patriarcato duro a morire e il rifugio nella violenza come metodo per risolvere problemi sociali e politici.
Come si incontreranno le due donne così diverse per carattere e posizione sociale?
Uno dei mezzi per risolvere gravi problemi di disuguaglianza è , da parte dei giovani, ricorrere ai sequestri a scopo di estorsione. Proprio in occasione di un rapimento avvenuto mentre sono in macchina, uscendo dalla sartoria di Nwabulu, le due donne si troveranno per una settimana legate e a pane e acqua, in un casolare, in attesa della risposta dei parenti per procedere al riscatto. Il motivo della conoscenza tra le due donne, era stato il matrimonio del figlio che aveva condotto Julie da Nwabulu, la sarta famosa, per farsi confezionare abiti sontuosi per sé e i propri ospiti.
Quella settimana di prigionia, sarà la chiave per capire i misteri che adombrano la vita di entrambe, dato che per ingannare l’attesa si racconteranno le loro storie. E anche servirà al lettore per comprendere che la posizione sociale, come nel caso della ricca Julie, non protegge le donne nigeriane dalle restrizioni culturali e sociali che le riduce a oggetti, a fattrici di figli, possibilmente maschi, le chiude dentro matrimoni, non importa se monogamici o poligamici , su cui la pressione dei padri, delle madri e degli anziani della famiglia è fortissima, anche in presenza di donne laureate e autonome. Entrambe accettano, sfinite dalle pressanti insistenze, dei matrimoni assurdi, una a cui viene sottratto il figlio amato, l’altra amando come suo un figlio venuto chissà da dove. A modo loro resistono, cercando di rivolgere in proprio favore quello che la vita, il caso, la provvidenza divina (a seconda dei punti di vista) offre loro. La scrittrice è molto ironica sui benefici ricevuti dalla Nigeria da parte del cristianesimo in merito ai cambiamenti socio-culturali.
Il lettore esperto, il mistero di questi figli in realtà lo risolve molto prima del finale, perché la trama in certi momenti fa un po’ acqua… Ma com’è che Nwabulu improvvisamente è sarta? Come fa Julie ad avere quel bambino che diventerà il ricco erede di quel figuro orrendo di suo marito? Comunque, nonostante i buchi, non si abbandona la lettura, un po’ come per le avventure di Moll Flanders di Daniel Defoe.
Non è mossa l’autrice da intenti di ‘belle storie’, anzi ci mostra il suo paese con usanze raccapriccianti, e lo fa con durezza e senza sentimentalismi, sfocando le peculiarità dei personaggi maschili e accentuando le caratteristiche, anche negative (o tali per noi occidentali) di quelli femminili.
Questo è il centro del suo interesse e il senso della storia che ci viene narrata: mostrare donne che non si perdono, che trovano soluzioni sia pure discutibili, in un mondo, che nonostante i cambiamenti avvenuti, resta sostanzialmente maschilista. E si pronuncia per quello che è stato un cardine del femminismo anni ’70-’80: la sorellanza tra donne, legami che superano le differenze di classe in nome di un futuro di libertà ancora molto lontano. E non solo in Nigeria.