Chimamanda Ngozi Adichie
Cara Ijeawele ovvero Quindici consigli per crescere una bambina femminista - recensione a cura di Giulia De Martino
Einaudi, 2017
traduzione di Andrea Sirotti
Quando è apparso per l’8 marzo questo testo in libreria, molti si sono domandati che senso ha scrivere un libro di questo genere oggi e, soprattutto, che interesse può avere per dei lettori occidentali.
In effetti il libro è in gran parte scritto e diretto ad un pubblico nigeriano o comunque africano: l’autrice, da poco diventata madre, scrive ad una cara amica che ha partorito una bimba e chiesto consigli sull’argomento.
Perciò abbiamo cominciato a leggerlo con un vago senso di fastidio e, dobbiamo ammetterlo, con un malsano senso di superiorità…
Leggerlo invece riserva delle sorprese: l’autrice tanto intelligente quanto bella e piena di glamour fa dei ragionamenti semplici e diretti che purtroppo ci riguardano .
Il suo è certamente un femminismo postmoderno, come usa dirsi, lontano dallo stereotipo della femminista politicizzata o dogmatica uguale a poco femminile: chiunque conosca la sua immagine sa che lucidalabbra rossi e moda vanno in lei a braccetto con la lotta dei diritti delle donne in Nigeria quanto negli Usa,paesi tra i quali vive: per questo le sue interviste sono apparse sia nei giornali o nei siti cosiddetti femminili sia in quelli che si occupano di letteratura o politica.
Fra i consigli indicati c’è quello di non vergognarsi di essere interessati alla moda o ai cosmetici: forse che ai maschi del pianeta viene chiesto di vergognarsi di essere fissati con l’interesse allo sport o viene considerato disdicevole procurarsi con cure e attività fisiche un bell’aspetto, utile anche sul posto di lavoro? In una intervista dice a proposito del fatto che è diventata testimonial di un trucco:”Perché gli intellettuali maschi possono parlare e scrivere di sport, mentre non è serio, anzi è disdicevole che una scrittrice o un’economista si intendono di make up?”
Il consiglio principe che sottende a tutti quelli presenti nel libro è una una semplice ed elementare domanda: se al posto di x (donna) ci fosse y (uomo) chiederesti/penseresti la stessa cosa?Forse è una filosofia un po’ spiccia più pratica che teorica, ma utile in tempi di comunicazioni brevi e dirette stile blogger o facebook.
Da noi in Italia le analisi sono state tante e le pratiche anche, ma perché stiamo ad occuparci di femminicidi o malattie legate all’aspetto fisico come l’anoressia, perché stiamo a citare i numeri bassi di quante donne occupino posti di potere o di responsabilità? Perché in tempi di crisi sono le donne per prime a perdere il lavoro? Qualcosa non ha funzionato. I diritti acquisiti dalle donne hanno subito una inversione , come tutti gli altri diritti del resto.
Basta parlare con qualsiasi adolescente femmina, e nonostante le apparenze contrarie( abbigliamento, modalità di espressione ecc.) si ha la sensazione che il femminismo abbia sedimentato solo il peggio…
E allora un testo come quello della scrittrice nigeriano-americana ha un senso anche per noi, quando ci chiede di confrontarci con modelli educativi affidati in gran parte a personale femminile, con tutte le conseguenze che comporta: basti pensare agli asili e alle scuole in genere . Non ne parliamo della pubblicità dei giocattoli per maschietti e femminucce di nuovo imperante sugli schermi televisivi o alla dominanza di tutte le immagini che riducono l’essere umano al suo aspetto esteriore.
Dove raggiunge un punto di massimo di interesse è nel consiglio numero 5: insegnate a leggere alle vostre figlie. Non si tratta di testi scolastici o istruzione di base che per molti paesi africani rappresenta comunque ancora un problema. L’autrice parla di romanzi, autobiografie, libri storici, testi che coltivano la conoscenza ma anche i sogni: una bambina si abitua a desiderare di poter essere qualsiasi cosa e ad avere una mente aperta e non dogmatica. “ Insegnale ad amare i libri. Il modo migliore è attraverso l’esempio” e sappiamo come va l’Italia con la lettura...
Il quindicesimo consiglio è forse il più prezioso: insegnare alle proprie figlie (ma diremmo anche ai maschietti) la differenza. Cercare di rendere la differenza normale, naturale, perché questa è la realtà del nostro mondo. Far capire che “le persone percorrono sentieri diversi nel mondo e che, se non creano danni agli altri, tutti i sentieri sono validi, degni di rispetto”. Insegnare la differenza aiuta “a fornire gli strumenti per sopravvivere in questo mondo così vario”.
La Chimamanda parte da una angolazione eccezionale:tutta la sua vita è imperniata sul concetto di differenza e convivenza con la diversità.
La sua esistenza è legata a due paesi, sua figlia è americana ma colloquia con i nonni in igbo. La storia della Nigeria le sarà familiare quanto quella americana. Forse apparterrà a quella generazione per la quale non esisterà più una storia “unica”per narrare il mondo, le culture o i generi.
L’elezione alla presidenza di Trump ha reso evidente come , in un grande paese occidentale, siano ancora molto evidenti, anzi sembrano cresciuti, pregiudizi di qualsiasi forma di genere o di colore ,di religione o cultura, ma come molti scrittori africani l’autrice ha fiducia nelle giovani generazioni che crescono in modo pluridentitario : in primo piano emerge l’individuo, maschio o femmina che sia, con i suoi sogni e desideri, al di là delle richieste dei diversi contesti socioculturali.