Damon Galgut
La promessa
Roma, e/o, 2021
traduzione di Tiziana Lo Porto
Un mondo immobile, chiuso nei suoi pregiudizi, nelle sabbie mobili di un pensiero che, nonostante Mandela e il desiderio di cambiamento, rimane avvolto come in una nuvola di apatia. Se Galgut voleva comunicarci questo, ci è riuscito in pieno. Riusciamo ad avvertire la depressione lancinante dei personaggi che compongono la famiglia metà cattolica e metà ebrea ma penso che prevalga un certo umorismo nero e un'ironia tipici della mentalità ebraica atea ( vedi Woody Allen) .
Dunque questa famiglia è così composta: un padre poco amato e una madre che prima di morire chiede al marito di mantenere una promessa, quella di dare la vecchia casa sul koppie (la collinetta) a Salome la fedele domestica nera che ha cresciuto i loro tre figli: Anton, scrittore fallito e dedito all'alcol che non si relaziona facilmente né con la moglie né con le sorelle Astrid e Amor. Anton al pari di Astrid farà una brutta fine mentre Amor, la più piccola sarà quella che porterà a compimento “la promessa” a quanto pare procrastinata a lungo dal fratello, ignorata dalla sorella e dalla zia.
Non essendo un giallo abbiamo rivelato come vanno a finire tante cose, ma quello che più conta è il ritratto psicologico dei personaggi e l'atmosfera che l'autore sa riprodurre di un Sudafrica nei vari passaggi epocali: dall'apartheid ( istituito nel 1948) alla sua fine, dopo la liberazione di Mandela e la sua elezione a presidente, nel 1994 . Le vicende della famiglia iniziano nel 1986 quando muore la madre; passano davanti allo schermo i governi di Botha e Zuma oltre alla Coppa del Mondo di rugby del 1995 che catalizza l'attenzione di tutti più della politica.
Per aggiornarci al presente storico, in una recente intervista Damon Galgut ha detto che vivere in Sudafrica significa stare in un posto dove l'ingiustizia è un fatto endemico “un terreno irto di contraddizioni perché la segregazione è finita nel 1993 ma resiste nei cuori e nella testa di chi vive lì”. L'emarginazione l'ha vissuta lo stesso autore perché bianco in un mondo di neri ( ma certo non penalizzato come loro), gay mezzo cattolico e mezzo ebreo, a lungo malato, infatti sappiamo che scrisse il suo primo romanzo a 17 anni mentre si curava per un cancro. La diversità religiosa è sicuramente un elemento di conflitti in Sudafrica; inoltre la corruzione politica e la disparità economica tra bianchi e neri è sempre ad alti livelli. Se si può parlare anche di differenza nell'ambito letterario, gli scrittori bianchi si mantengono su un piano più astratto, di almeno apparente, minor coinvolgimento rispetto agli scrittori neri.
Le vicende del romanzo, e dei suoi protagonisti principali si snodano attraverso la descrizione di quattro funerali. Emblematica situazione che riavvicina chi non si vede da tempo o non ama incontrarsi se non quando è costretto. I funerali che contrassegnano il racconto sono della madre, a distanza di 10 anni del padre, di Astrid assassinata da un malvivente anonimo, di Anton morto suicida. Amor, la sopravvissuta, è quella che meno ama la sua famiglia e vive di traumi, tra cui il fulmine che l'ha colpita da piccola lasciandole “un incendio dentro”. La promessa fatta a Salome che solo lei soddisferà con due alternative possibili, considerando gli ostacoli degli antichi proprietari espropriati, solleva la questione della proprietà della terra che in Sudafrica è al centro di infiniti conflitti familiari al pari di altre ingiustizie e contraddizioni, cui abbiamo accennato, che l'autore stesso riconosce da tempo nella terra dove si trova a vivere.
La narrazione in terza persona si alterna con il discorso diretto oppure con una scrittura in progress che prendendo la mano all'autore non si sa dove vada a parare; per esempio ci presenta il barbone che “chiameremo Bob”, una traccia di un'esistenza che vorrebbe seguire, ma poi decide di non farne niente, lo lascia andare per i fatti suoi. Una vita lasciata ai margini, proprio come avviene nella realtà, la letteratura non rappresenta un riscatto, diremmo noi... O è quello che vuole dirci lui con una buona dose di ironia? Così, quando descrive Amor alla finestra che guarda la montagna al tramonto: “Ha un gatto rannicchiato in grembo. No, non lo ha, non c'è nessun gatto. Ma lasciamole almeno un paio di piante, che crescono verdi nei loro barattoli sul davanzale”.
Un riferimento letterario cechoviano è seminato così per caso, dove allude alle lamentele della moglie di Anton, Desirée per la vecchia Salome “questa vecchia avrebbero dovuta mandarla via già da tempo” mentre Amor la protegge poiché è la sua adorata balia : ricorda il dialogo tra Olga e la cognata Natalia per la difesa della vecchia balia Anfisa nella famosa pièce “Tre sorelle”. Ma è solo un accenno, un riverbero di luce.
Amor riuscirà ad adempiere alla promessa della casa nei confronti di Salome. Alla fine le due donne che si salutano per sempre e sanno che non si rivedranno mai più, sembrano il simbolo di questo paese martoriato: “Sono vicine, ma non vicine. Unite ma non unite. Una di quelle fusioni strane e semplici che tengono insieme questo paese. A volte a stento.”