Hisham Matar
Un punto di approdo
Einaudi, 2020
traduzione di Anna Nadotti
L'autore libico, vissuto a Londra, lontano dalla sua patria, per trent'anni, vi ritorna in occasione della stesura del suo romanzo “Il ritorno”. Dopo averlo finito, sente la necessità di concedersi una vacanza e decide anziché rientrare a Londra, di andare in Italia, a Siena, nella sede originaria dei pittori che aveva studiato e di cui aveva visitato le magnifiche opere alla National Gallery di Londra.
Questo godimento pieno delle bellezze artistiche che l'autore compie alternativamente da solo o con la moglie, accompagna un particolare momento della sua vita: l'elaborazione del lutto paterno.
L'ombra del padre scomparso e mai più ritrovato affiora continuamente, sia nell'analisi dei dipinti senesi che nei posti e negli incontri più improbabili o in quello che rappresenta la giusta cornice del suo dolore: il cimitero della città in cui si imbatte, nella panchina più lontana e isolata dove poter piangere in silenzio l'unico che lì non è sepolto.
La città lo avvolge nella sua bellezza, discreta nei palazzi all'esterno, sontuosa negli interni delle case; una città che sembra condurlo per le vie e decidere lei il percorso da fare per riservargli la sorpresa improvvisa di Piazza del Campo, un palcoscenico illuminato...
Eccoci di fronte alle opere dei grandi fratelli Lorenzetti, in primis di Ambrogio Lorenzetti “L'arte del buon governo “ che occupa la Sala dei Nove nel Palazzo Pubblico di Siena con ai lati “Gli effetti del buon governo” e “Gli effetti del cattivo governo” (1338), opera composita su cui l'autore si sofferma a lungo; non a caso lì si parla di giustizia, del bene cittadino, della partecipazione del popolo alla giusta causa. Sono tematiche da lui profondamente sentite anche per il vissuto della sua famiglia. Matar afferma che continuando a guardare quest'opera si rende conto di trovarsi di fronte a “un dipinto circolare che vuole tenere i tuoi occhi in perenne movimento”. Intravede nella fila dei 24 uomini del consiglio dei cittadini, il volto bruno di un nobile con la veste corta, forse identificato con un Saracini di nobile famiglia arabo-spagnola, ricordandoci la società variegata dell'epoca e i tanti contributi alla cultura italiana di quella araba, normanna, etc.
La data del 1348 della tristemente nota Peste Nera, sarà l'inizio di un cambiamento, la rottura di un equilibrio, volta per volta ripreso e ricostruito. Documentandosi sugli effetti di quell'epidemia, legge alcune cronache dell'epoca che parlano di sepolture di massa e non può fare a meno di raffrontarle con i suoi ricordi personali: nel 1996, per ordine di Gheddafi , furono giustiziati e sepolti nel cortile del carcere 1270 profughi politici. Una vera carneficina.
Tornando al presente, quella porta spalancata da Duccio di Boninsegna che aveva fatto entrare Simone Martini, Ambrogio e Pietro Lorenzetti, Giovanni di Paolo e tanti altri, esprime il culmine di una civiltà minata in parte da vicende storiche avverse; tuttavia l'arte italiana, almeno fino alla metà del 1600 conserverà una coesione di valori e di saperi che nei secoli successivi si disperderà nella specializzazione delle scienze a discapito del primato dell'arte.
Matar si ricorda di altri viaggi fatti per meditare sulle opere d'arte, come a Roma, nella Galleria Borghese dove incontra la famosa opera del Caravaggio “Davide con la testa di Golia” (1609-10): è colpito dallo sguardo di Davide che non esprime soddisfazione e crudeltà ma -diremmo noi- ineluttabile presa di coscienza che l'arroganza è stata vinta dall'umiltà.
A tale proposito ricordo che sulla lama della spada di Davide è incisa una sigla: HAS O S “humilitas occidit superbia” tratta da una frase di sant'Agostino. I nostri critici italiani sono concordi per la maggior parte, nell'evidenziare il significato cristologico che spesso è sotteso nelle opere di Caravaggio. Matar a modo suo fornisce una interpretazione interessante dicendo che lo sguardo di Davide suggerisce che ognuno di noi vive nello spazio ristretto della propria visuale; solo l'amore e l'arte danno accesso alla prospettiva di un altro.
Nelle sue peregrinazioni artistiche, lo scrittore si imbatte, al Metropolitan Museum of Art di New York, nell'incantevole opera di Giovanni di Paolo, “Paradiso” del 1445, quasi un secolo dopo la Peste Nera. Le coppie sono disposte in una sorta di valzer su tre piani orizzontali. Uomini e donne, vecchi e bambini, si stringono le mani e si guardano negli occhi. Ai santi collocati in alto, danno il benvenuto gli angeli. Una coppia in basso a destra forse rappresenta Abelardo ed Eloisa nel tentativo di abbracciarsi. Tutti, a due a due, si guardano negli occhi, forse- afferma Matar- il pittore vuole dirci che il vero Inferno è non essere riconosciuti da chi ci è più vicino. Questo dipinto tornerà più volte a vederlo con la moglie Diana: “attendevamo con ansia ogni visita, come se si andasse a trovare un vecchio amico”.
Le opere che lui ha privilegiato nella sua scelta di fruitore di bellezza, sono rappresentative della cultura cristiana nel suo sistema d'arte i cui principi sono il figurativo, il narrativo, l'universale e il bello. Matar scopre tutta questa ricchezza e sa che un dipinto del genere richiede tempo, perché “un quadro cambia mentre lo guardi […] quel quadro diventa un luogo fisico e mentale della mia vita”.
Ciò che vuole mettere in evidenza è il rapporto tra l'arte e la condizione umana non dimenticando che proprio l'arte è sempre apripista di un discorso ideologico-politico. Inoltre in questo racconto in particolare, non possiamo eludere, pensando alla sua elaborazione del lutto paterno, l'aspetto terapeutico e consolatorio dell'arte. Concludendo, attraverso l'arte Matar racconta tante altre cose con l'anima di un poeta; nella sua scrittura sa creare uno spazio di riflessione e di commozione che partecipa al lettore: per esempio, oltre all'approccio verso le opere d'arte, quando descrive la città di Siena e alcuni abitanti, un incontro casuale, oppure concertato e deciso fino all'abbraccio finale, o durante la sosta sotto un albero, in un pomeriggio assolato, con la donna amata percependo il suo respiro mentre si è assopita, restando immobile a pensare per non svegliarla.