Kamel Daoud - Il pittore che divora le donne - recensione a cura di Giulia De Martino

 

Kamel Daoud

Il pittore che divora le donne

La Nave di Teseo, 2022

traduzione di Cettina Caliò

Un libro di poco meno di 150 pagine, denso, critico, razionale e pieno di poesia. Riflessioni filosofiche e culturali dell'autore che partono da uno spunto ben preciso: l’invito ad una fruizione solitaria notturna, quando il museo è chiuso al pubblico, della mostra al Museo Picasso di Parigi (tenutasi nel 2017-’18 e poi transitata al Tate di Londra), sullo straordinario diario pittorico erotico del pittore del 1932.

Il testo esce a caldo nello stesso 2018, in contemporanea in Francia e in Algeria. Ovviamente non si tratta di un testo critico sull’estetica picassiana ( per quanto ci siano notevoli intuizioni artistiche) ma di un pretesto e un’occasione per un confronto aperto e vivace sulla cultura occidentale cristiano-cattolica e quella musulmana, con particolare riferimento all’Algeria, paese in cui vive l’autore, a suo rischio e pericolo, viste le numerose intimidazioni da parte dei jihadisti. Si tratta di temi cari allo scrittore che aveva esposto, per la prima volta ( per noi ovviamente) nei racconti della Prefazione del negro del 2013, in cui si delineano i suoi autori e testi guida anche del presente libro: Ibn Tufayl (dotto islamico andaluso del XII sec.) il Robinson Crusoe di Defoe e lo scrittore Michel Tournier, autore di un capovolgimento della storia del selvaggio Venerdì. La sensualità e la sessualità, il modo di concepire la vita, l’arte e la storia sono i principali ambiti riflessivi in cui muove l’autore a partire dai quadri di Picasso.

Ma per farlo Daoud, oltre il suo occhio che guarda , si immagina un giovane jiadista, per esempio un Abdellah ( guarda caso il nome significa servo di Dio) che visita la mostra allo scopo di confermarsi nella giustezza della sua intransigente posizione nei confronti dell’arte occidentale e non: un’arte in concorrenza con la creatività divina fino all’idolatria e al tradimento dell’originario messaggio dell’unicità assoluta della potenza divina. Un’arte che va azzerata come peccaminosa e blasfema proprio per questo e che i radicalizzati islamici hanno distrutto, in svariate occasioni in Medio Oriente e in Africa. Immagina il suo personaggio rubare una tela e darle fuoco in diretta su youtube. Tutti abbiamo ancora negli occhi e nelle orecchie le esplosioni di Palmira in Siria, le picconate ai Buddha di Bamiyan in Afghanistan, gli incendi e devastazioni delle antiche biblioteche e chiese di Mosul e dei luoghi santi degli yezidi in Iraq, le vandalizzazioni delle tombe, moschee e mausolei di Timboctù in Mali, per citare solo alcuni esempi. Anche i luoghi dell’islam, considerato traditore quando plasmato dai colonialisti e assuefatto ai dettami occidentali o attaccato a superstizioni locali, lontane dal vero Corano. Il tutto visto in diretta, ripreso da cellulari e video dagli stessi distruttori che se la prendono con la pittura e la scultura ma non disdegnano la rappresentazione delle immagini degli strumenti moderni, di cui si servono ampiamente come strumento di propaganda religiosa. Del resto anche in passato ci sono stati luoghi e tempi in cui l’aniconismo non è stato assoluto come si pretenderebbe.

Il diario pittorico di Picasso rivela all’autore una modalità operativa che richiama caccia e cannibalismo, il crudo e il cotto ma con un segno rovesciato: nella caccia si insegue la preda per saziare la fame con la carne dell’altro, nell’erotismo si vuole saziare la fame diventando la carne dell’altro, si abita per qualche istante la carne dell’altro. Nel sacrificio erotico non si brucia la preda, ma si brucia per lei e allora è il cotto che divora il crudo. Picasso, secondo l’autore, ci descrive molto bene la fase precedente dell’immobilizzazione della preda : la donna viene descritta immobile che guarda da una finestra, seduta su una sedia in una stanza, sdraiata su un prato, vicina ad un bosco, ad una pianta fiorita. Poi ci sono tele, schizzi, disegni che la rappresentano in preda ad un’estasi scomposta, in movimento, in cui lei è effigiata con oggetti fallici che sono incorporati nella sua persona. Altri dipinti ritraggono l’intimità post-orgasmica degli amanti su spiagge, prati, giardini confusi con una natura o degli oggetti che hanno partecipato prima alla fisicità prorompente dell’atto erotico e poi al languore successivo.

Per l’autore è la conferma di quanto aveva intuito da adolescente durante la sua educazione sessuofobica che si impartiva ai ragazzi e alle ragazze nell’Algeria campagnola e provinciale, riflettendo “...che l’erotismo è la religione più antica, che il mio corpo è la mia unica moschea e che l’arte è la sola eternità di cui posso avere certezza”. Accettare il corpo, quello che l’uomo costruisce ed elabora, in definitiva accettare che il nostro Paradiso è qui, che qui possiamo vivere e godere e non solo dopo la morte, significa accettare la storia, le tracce dell’uomo, le sue architetture, le sue pitture, sculture, i libri delle antiche biblioteche.

Perché il musulmano deve concepire il premio del paradiso con le sue huri, le acque fresche e dolci, il vino e il miele e colpire il corpo su questa terra, nascondendolo, mortificandolo con digiuni e preghiere estenuanti? Perché il buono del mondo è già avvenuto con la venuta del Profeta Mohamed e del suo messaggio di salvezza, la storia perfetta si è già compiuta con l’epopea delle conquiste e della diffusione della religione islamica. Dio è tutto e tentare di imitarlo e custodire le prove di questo atto blasfemo è idolatria: questo, sottolinea Daoud, mortifica gli atti concreti dell’uomo. Nel suo pur breve passaggio su questa terra l’uomo può contare veramente solo su questo. Una visione laica con una grande religione dell’uomo e delle sue capacità.

E’ incantato dalla cura degli occidentali per i segni di questa storia che l’uomo traccia su questa terra. In Algeria oltre alla falsificazione religiosa si aggiunge la falsificazione identitaria: si estirpano alberi piantati dai francesi, si abbattono fontane con statue di scultori stranieri, i vigneti hanno ceduto il posto alle palme, considerate le più vicine al Profeta e ai suoi tempi, si è trasportata una ideologia da penisola arabica in un territorio dove hanno piantato geni e segni i fenici, i numidi, i berberi, i romani, gli ebrei, i francesi, gli spagnoli, gli ottomani. Il tutto in nome della lotta anticolonialista ( assurta ormai a scusante delle miserie attuali) e della presunta vera arabicità.

La passione furiosa di Picasso quasi cinquantenne( padre di famiglia e legato da anni ad una donna che ‘cornificava’ abbondantemente) per un ragazzina che aveva la metà dei suoi anni, Marie Thérèse Walter, alta giunonica e bionda, non propriamente bella ma piena di energia, significò l’elaborazione di espressioni artistiche differenti da quelle fino ad allora praticate e il varco per proposte che avrebbero cambiato l’arte per sempre.

Daoud coglie questa energia nuova ed isola anche un particolare che lo farà molto riflettere. Picasso mette in campo spesso la spiaggia e il mare, un elemento contrario al deserto: l’islam, la religione pura che erige templi essenziali, come una tenda di nomadi, non tollera la nudità delle spiagge, l’esposizione di corpi offerti al sole e agli sguardi altrui. In molti paesi cosiddetti arabi (l’espressione è di Daoud) si costruiscono moschee vicino ai litorali per aumentare il senso di colpevolezza della gente, vengono diffusi canti e preghiere dagli altoparlanti e squadre di poliziotti in calzoncini(!) si assicurano che nessuno si sfiori o approfitti della situazione. Il sesso, ricorda Daoud, è vissuto nell’ombra di appuntamenti segreti, compresi i luoghi appartati come i cimiteri, senza poter mai esternare l’amore camminando abbracciati o mano nella mano. E tutto questo influisce pesantemente sulla condizione delle donne. Fa aumentare ancor più il desiderio di una vita libera e fa scappare i giovani all’estero. Non si emigra solo per povertà…

Cosa può aver pensato l’attentatore del 2013 al museo del Bardo a Tunisi o quello della spiaggia di Sousse nel 2015? Colpire e punire gli stranieri occidentali nelle loro attività preferite che sono, tra le altre, visitare un museo o arrostirsi nudi sulla spiaggia? Fare piazza pulita delle offese ad una religione rigorista fino alla cancellazione dell’umanità dell’uomo. Abdellah, novello Venerdì, ha invertito il significato del racconto di Defoe: ora non sono più i cristiani i missionari, sono loro, i musulmani, coloro che devono riportare alla vera fede un uditorio riottoso, anche a costo di ucciderlo. Del resto, ricorda Daoud, tutti i radicalismi e gli estremismi arrivano a questo punto: i forni nazisti, le torture e i roghi cattolici e protestanti, le esecuzioni pubbliche dei talebani etc.

L’autore sa troppo bene che tutti i monoteismi hanno conosciuto epoche oscure in cui i corpi sono stati offesi, impediti: danza, spettacoli, sport, musica e canzoni sono stati considerati strumento del diavolo, pericolosamente aperti a quella sessualità che si voleva negare. Ma anche libri e immagini artistiche hanno subito la stessa sorte. Le parole di Daoud sembrano riecheggiare a tratti “i discorsi sul riso” di Guglielmo di Baskerville ne Il nome della rosa di Umberto Eco. L’autore fa una considerazione interessante: il vero profeta di questi musulmani è Geremia non Maometto, cioè il profeta che più di ogni altro ha cercato incessantemente di riportare gli ebrei all’autentico culto di Dio, profetizzando sciagure e sventure per ristabilire la vera fede dei primi tempi. Il richiamo all’età dell’oro, in cui tutto era perfetto, è costante in questo tipo di musulmani che non riescono ad ammettere di non essere più il centro del mondo e dà loro un’aria di fierezza anche quando non si ha niente.

Cosa farà Abdellah dopo il bagno artistico della mostra? ”L’arte può guarire il personaggio dalla sua perdita del desiderio del mondo? Dalla sua violenza che crede di trovare sollievo nella distruzione?... Ma a cosa è dovuta questa collera che ci impedisce di vivere e ci fa accusare il resto del mondo della nostra sofferenza?... Saprà ritornare al suo corpo, il solo che gli permetterà di amare ed essere amato?” L’autore non conosce le risposte, pone solo domande e spunti di riflessione. Forse è ancora presto, conclude.

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