Mozambico
MIA COUTO
L’altro lato del mondo
Sellerio, 2015
Traduzione dal portoghese di Vincenzo Barca
Come nell’ascolto di una musica, in questo ultimo suo romanzo, Mia Couto ci trasporta in un’atmosfera fuori dal tempo, senza perdere tuttavia la consapevolezza della storia e delle vicende umane attuali e del passato. Questa compresenza credo sia dovuta anche all’innesto tra cultura africana e cultura europea che avviene in un autore come lui, bianco di appartenenza africana lusofona. E’ proprio la collocazione fuori dal tempo che permette all’autore di prendere le distanze per vedere meglio, per capire meglio. Qui siamo in una situazione estrema di ricerca di salvezza fuori dal mondo: in una zona inarrivabile dagli uomini.
L’attore principale della storia, Silvestre un padre- padrone vedovo, conduce con sé i due figli Ntunzi e Mwanito, il cognato Aproximado e il soldato Zacaria Kalash in una disabitata Jerusalém: il nome della città forse una voluta metafora della città celeste che ha rinnegato quella terrena dove la guerra e il potere convivono con la religione. Silvestre ha dato a tutti, compreso a se stesso, nomi nuovi, ripudiando quelli del vecchio mondo alle spalle.
Lì dove andranno non ci saranno i libri, la lettura e la scrittura sono proibite, anche l’abolizione della cultura fa parte di questo processo di annientamento del vecchio mondo ( e nella nostra attualità storica sappiamo tristemente cosa significhi….).
Tra metafora e documento della realtà, in una prosa a tratti poetica a tratti affabulatoria, vediamo sfilare alcuni personaggi fortemente caratterizzati : il figlio minore Mwanito cui è affidata la voce narrante per quasi tutto lo svolgimento della storia, timido ma profondo ; il primogenito ribelle Ntunzi il cui conflitto con il padre nelle sue motivazioni più profonde verrà spiegato solo alla fine del racconto; Zacaria di cui si sospettano occulti poteri, esprime la solitudine del soldato, superabile solo nella fossa comune, dopo la morte; il cognato Aproximado “ trait d’union” tra il mondo e il campo d’esilio dove sono confinati; non manca la presenza di un animale, la giumenta Jezibela, sostitutiva del femminino nell’amore fisico.
Sono tutte figure allegoriche di un continente martoriato dalla fame, dalla guerra, dalla violenza perpetrata sulle donne e sugli indifesi. Il racconto contiene molti momenti originali e poetici: i silenzi donati dal figlio al padre che di questi si nutre per ritrovare la pace perduta, nel capitolo intitolato “l’accordatore di silenzi”; la visione delle donne africane povere, belle e fiere, nella condivisione, nella solidarietà femminile in presenza di un tradimento d’amore: “i loro passi di gazzella annullano il peso che trasportano…..la donna non trasporta acqua: porta là dentro fiumi interi”; la scoperta dell’unica cosa del vecchio mondo, mancante a Silvestre: la musica; il figlio lo osserva cantare di nascosto e scopre poi che gli manca la sua vecchia fisarmonica…
Dopo otto anni di esilio, Mwanito che ha solo 11 anni vede una donna per la prima volta e scoppia a piangere; la madre era morta troppo presto per poterla ricordare e questa donna comparsa all’improvviso gliela fa rimpiangere. Capisce anche che Il dolore suscitato dalla morte, del caos della violenza è l’origine profonda della decisione paterna di relegarli lì. Per il piccolo Mwanito esiste anche una segreta via di fuga nella scrittura che apprende dal fratello maggiore , mascherata nelle carte da gioco per sfuggire alle ire paterne, un luogo narrativo che ritorna spesso nei romanzi del nostro autore.
Ma un esilio ricercato per sfuggire alla realtà non dà la pace desiderata. I fantasmi del passato ricompaiono per tutti prima o poi. La donna che arriva all’improvviso è un’energia nuova che porta turbamento, rompe i vecchi schemi, in lei si riassume la “magna mater” e la donna comune che ricompone la coppia assente. Soprattutto Silvestre vuole espellere questa intrusa da Jerusalém forse perché tra le altre cose del vecchio mondo che ha lasciato alle spalle, gli ricorda la moglie morta; per lui la memoria è qualcosa da cancellare e arriva a dire che “il tempo è un veleno: più ricordi ho e meno rimango vivo” una frase che fa eco alle parole di Hesse riportate in cima al libro uno: “….il più acceso e cieco desiderio degli uomini è il desiderio di oblio”.
La donna invece trova accoglienza presso i due fratelli e la voce narrante del piccolo a questo punto si alterna con quella di Marta che racconta la sua tragica storia d’amore in pagine di struggente bellezza poetica. La donna, una bianca portoghese, va alla ricerca del marito scomparso in Africa e qui si confronta con la giovane amante africana del marito; si accorge delle differenze e ammira la bellezza semplice e regale delle donne intorno a lei desiderando fondersi con il paesaggio, con la terra che sta attraversando.
Proprio per la suggestiva bellezza delle sue pagine, sottolineate negli incipit da poesie di grandi autrici, il romanzo è difficile da riassumere; l’autore lo ha diviso in tre libri anziché in capitoli come se fossero storie indipendenti, vicende uniche e irripetibili. Jerusalém sembra la città di un “the day after”, il luogo disabitato dopo la distruzione operata da una guerra civile e ci fa riflettere sulle numerose guerre accadute in terra d’Africa dove c’è tutta una realtà da ricostruire.
La vita succede solo quando smettiamo di capirla - viene detto verso la fine del romanzo - e da questa frase si desume che tra realtà e verità, tra verità e menzogna, tra spazio e tempo, l’unica coordinata che è possibile perseguire è quella dell’amore e della libertà…per essere umani e divini al contempo. La libertà di scegliere il proprio destino nell’oscurità e in seguito la libertà di trovarsi slegati dal rancore con il perdono.
E il mondo sembra rinascere proprio alla fine del racconto dalla tenerezza di una donna…