Moussa Konaté -Omicidio a Timbuktu- a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 Moussa Konaté

 Omicidio a Timbuktu

 Delvecchio editore, 2019

 traduzione di Silvia Scialanca

 

 

 

E’ con piacere che presentiamo l’ultimo polar, tradotto in italiano, dello scrittore maliano Konaté, uscito postumo nel 2014, un anno dopo la sua morte.

Ricordiamo la sua presenza al Festival d’Africa, all'interno della libreria Griot a Roma nel dicembre 2012, e ci colpì per la sua eleganza e pacatezza nel parlare, non priva di un bonario humour, per la concezione profondamente etica della sua visione di vita, per la consapevolezza dei mali che affliggono il suo paese, con un’apertura però alla speranza e ad una dimensione umana di solidarietà internazionale.

Come molti altri scrittori africani credeva, infatti, nella possibilità di conoscenza reciproca attraverso la letteratura e nella fiducia che il genere ‘giallo’, nella versione antropologica in cui lui lo praticava, potesse rappresentare un modo per far addentrare i lettori nelle contraddizioni delle dinamiche modernità-tradizione, potere centrale- realtà locale in cui si trovano molti paesi in Africa.

Il presente romanzo è ambientato nel 2010, nella mitica Timbuktu, colta ad un passo dal cedere alla tracotanza jihadista di Aqim, che avverrà in gran parte dopo la morte dell’autore. La città è l’ombra di se stessa, passati ormai il suo splendore economico e culturale che l’avevano resa famosa fin dal medioevo. Ma capace ancora di irradiare fascino per i pochi turisti che ancora vi si inoltrano e a cui soccombono i due giovani collaboratori del commissario Habib, il fedele Sosso e il suo omologo francese Guillaume Deloncle, passato all’antiterrorismo  prima in Afghanistan e ora in Mali. Perché sembra proprio profilarsi un caso di terrorismo, quando si apprende la morte del giovane tuareg Ibrahim, tra le sabbie del deserto e di certe minacce, accompagnate da sparatorie indirizzate ai francesi. Habib viene inviato da Bamako, con la squadra anticrimine, a indagare e fornire aiuto alla polizia locale in un caso che ha tutte le caratteristiche, secondo il suo superiore, di una ‘rogna’ internazionale.

Pur puntando sull’intreccio e sull’azione, Konaté dedica una parte cospicua del racconto nella descrizione del viaggio dalla capitale a Mopti e da qui, in battello sulle acque del Niger verso Timbuktu. Lo scrittore è orgoglioso di presentare le bellezze dello straordinario paesaggio di questi luoghi.

Del resto il romanzo inizia con una panoramica di taglio cinematografico: un tramonto nell’accampamento tuareg degli Aghaly, qualche tenda, un pozzo e alcune piante striminzite, dromedari che riposano ruminando, i membri della famiglia, avvolti in abiti neri o indaco, riuniti per la preghiera della sera.

Il silenzio del deserto fa da contrasto con la vivacità della presentazione di Mopti, porto fluviale alla confluenza del Niger con l’ affluente Bani, chiamata la Venezia del Mali, per le sue costruzioni di diversa origine erette sui canali. Oppure con il rosa dorato del lago Debo colto all’alba, quando s’innalzano in volo migliaia di uccelli.

In passato il commissario Habib aveva già visitato Timbuktu, ma ha il timore di vederla cambiata ancora di più. Invece Sosso e Guillaume la vedono con gli occhi del passato leggendario e con lo sguardo dei tanti scrittori che l’hanno descritta : ci metteranno molto tempo per afferrare che è sì ancora la città dei grandi traffici commerciali, ma questi oggi sono in gran parte legati alla droga, alle armi, al commercio di esseri umani, alla prostituzione.

Nel 2010 non sono ancora avvenuti gli attacchi alle moschee storiche di questa città, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità, e le distruzioni dei manoscritti delle antiche biblioteche, ma Habib comincia a intravedere che molti tuareg, abbandonati a loro stessi da tutti i governi che si sono succeduti, proprio per il loro rigore nel modo di intendere la vita e la religione potrebbero cadere vittime della propaganda jiadhista.

Il commissario si trova anche di fronte ai problemi di sempre: intrecci tra politica e religione, tra affari e criminalità, tra usanze tradizionali e moderna democrazia. Il governatore della regione e gli alti gradi della polizia dipendono, per essere eletti o nominati, dai maggiorenti locali e dal clan degli imam tradizionalisti: gli incontri con loro, a cui Habib è costretto con insistenza sotto la motivazione che non si vuole far serpeggiare delle rivolte tra i tuareg, offrono uno spaccato di realtà locale. Si vede richiedere addirittura di farsi da parte e lasciar fare a un marabutto, assai noto e venerato nella zona, per l’individuazione del colpevole. Sdegnato, ma con garbata fermezza, Habib rifiuta in nome dei valori di giustizia in cui crede.

Non è la prima volta che l’autore mette il commissario in una situazione scivolosa e difficile di fronteggiamento tra credenze tradizionali e valori di un paese che vuole essere moderno, pur restando fedele ai principi culturali fondanti . Era già avvenuto nei romanzi tra i dogon e i bozo : ora lo deve affrontare tra i tuareg.

Le visite agli accampamenti rivali di due anziani fratelli, divisi da insondabili motivi, tenuti celati per onore, offrono l’opportunità di valutare, con umanità, ma anche con severità, cosa si nasconde al fondo dei loro atteggiamenti culturali, basati sulla fierezza  dell’ appartenenza e su un concetto di onore al di sopra di tutto. La nobiltà delle origini e la difesa dei valori non è solo attribuita  ai maschi del gruppo, ma anche alle donne, come la moglie del capo, madre del giovane Ibrahim, trovato morto, con la testa spaccata, vicino ad una palma nel deserto poco distante. Donne che conservano i segreti delle erbe e delle cure tradizionali, che dispongono di beni personali e di autorità per pacificare dissidi tra i membri o imporre punizioni.

Del resto, sottolinea Habib ai suoi collaboratori, il progenitore ancestrale di questi tuareg del nord Mali è Tin Hanan, una donna.

Come al solito, l’abilità dello scrittore non sta solo nel delineare la psicologia dei singoli personaggi, ma soprattutto nel caratterizzare con precisione i diversi ambienti e la complessità delle relazioni che vi si instaurano.

Nell’ultima parte del romanzo si susseguono colpi di scena e frenetiche ricerche da parte di tutti per individuare il o i colpevoli che cambieranno volto a seconda delle direzioni delle indagini, oscillando dalle motivazioni terroristiche a  quelle personali.

Ancora una volta sarà la saggezza del commissario, che si sente invecchiato e pronto per la pensione, a sbrogliare la vicenda, colmando le ingenuità e calmando le intemperanze dei suoi giovani collaboratori, che tuttavia elogia per coraggio e spirito d’iniziativa; proprio loro devono conservare le radici di un umanesimo africano, non sempre facile da comprendere, nascosto com'è nelle pieghe della tradizione, equilibrandola con le esigenze di un paese che vuole essere al pari degli altri nel consesso delle nazioni della terra.

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