Ngugi Wa Thiong'o- Nella casa dell'interprete- a cura di Rosella Clavari

 

 

 

 

 Ngugi Wa Thiong’o

 Nella casa dell’interprete

 traduzione dall’inglese di Maria Teresa Carbone

 Jaca Book-Calabuig , 2019

 

A sette anni dalla sua prima pubblicazione, possiamo accogliere questo testo del grande scrittore kenyota, come la seconda parte di un’ autobiografia iniziata con “Sogni in tempo di guerra” ( vedi nostra recensione del 2012 )  in cui l’autore ci rende partecipi dei cambiamenti avvenuti nella sua vita soprattutto attraverso l’amore  per la conoscenza.

“La conoscenza è la nostra luce” gli aveva detto il fratello Wallace augurandogli di superare l’esame di ammissione alle scuole superiori. E Ngugi ce la fa, salta sopra l’ultimo vagone di un treno merci, poiché privo di salvacondotto, e arriva alla agognata Alliance High School di Kikuyu all’età di 17 anni, nel 1955.

Ma il racconto inizia ( Una storia di casa e di scuola) con il ritorno a casa del giovane ,dopo il primo trimestre in collegio, orgoglioso di poter comunicare alla madre, sua prima fan, gli ottimi risultati conseguiti negli studi. D’improvviso si prospetta di fronte ai suoi occhi un’immagine desolante: un intero villaggio di fattorie raso al suolo, compresa la capanna della madre e la casa su palafitte del fratello. Un vicino di casa lo informa che tutta la gente è stata trasferita vicino al posto di guardia locale, nel villaggio Kamirithu. Ricordiamoci che siamo nel periodo della grande repressione contro il movimento anti-colonialista dei Mau-Mau. La gente sta costruendo altre case in un villaggio poco distante e Ngugi , dopo aver intravisto sua madre intenta al lavoro, si unisce ai suoi familiari, levandosi la divisa scolastica color kaki e indossando vecchi vestiti che presto si infangano. Con pochi tratti e in maniera semplice, immediata, racconta lo stridore di due vite contrastanti: la sua, nel santuario della Alliance in cui si sentiva protetto, e sempre la sua con quella della famiglia , nella povertà e nel pericolo.

Il preside della scuola, Edward Carey Francis vedeva la Alliance - una delle prime scuole che offriva istruzione secondaria agli africani - come una grande opportunità di forgiare moralmente e intellettualmente la futura classe dirigente in Kenya, pur consapevole della diffidenza e dei sospetti reciproci tra bianchi e neri. Ma il prestigio intellettuale dei neri minò ben presto il sistema coloniale, per cui Carey Francis venne considerato, suo malgrado,  un sovversivo.

Tornando al titolo del libro , Carey Francis un giorno legge agli studenti un brano  dal “Pilgrim’s Progress” di John Bunyan dove il protagonista visita la Casa dell’Interprete che parla della polvere del peccato spazzato via dalla Legge e dall’acqua della fede nel Vangelo. Il preside  paragona la Alliance alla Casa dell’Interprete e da qui il titolo del testo in oggetto. Come preside Carey era a capo sia delle gerarchie accademiche sia di quelle amministrative : “era nato il mito del grande disciplinatore che sarebbe entrato nella leggenda della scuola con storie di amore e guerra e magia”. Tutto l’entusiasmo che si effonde nella scuola ben presto si tramuta in tristezza per il giovane allievo: a  Natale, rientrando a casa scopre che la cognata Charity è stata arrestata per aver fornito aiuto ai guerriglieri Mau- Mau ( tra cui c’è il marito Good Wallace) nascosti tra le montagne.

Il Kenya, nel 1956, come affermava anche Kenyatta quello che diverrà il suo primo presidente,  è una terra di conflitto, conflitto di bianchi e neri. Ma nella scuola, gli insegnanti, sia bianchi che neri, cercano di essere super partes… L’istruzione, la cultura dimostravano di essere veramente un veicolo di civile convivenza che impediva il sopruso e la prepotenza. Lo studio non era però ben collegato alla realtà locale. All’inizio c’erano stati degli sforzi per collegare lo studio alle realtà locali: le visite guidate dal fabbro, dall’allevatore di bestiame etc.  e la conoscenza da parte degli insegnanti di una lingua africana. Poi tutto ciò era sparito dai programmi.  Carey Francis parlava a volte di politica simpatizzando per Churcill ; quello che il ragazzo non sospettava minimamente era che il preside  conoscesse la situazione di pericolo della famiglia di Ngugi, il cui fratello era un guerrigliero  Mau- Mau  perché nella scuola vi erano altri ragazzi nella medesima situazione. Quando il ragazzo uscirà dalla scuola, Carey nel salutarlo , lo inviterà a non fare il politico perché per lui tutti i politici, neri banchi e meticci, sono mascalzoni al cento per cento.

I cinque capitoli in cui si articola il romanzo - corredato da foto d’epoca - seguono i quattro anni di frequentazione dell’Alliance School, dal 1955 al 1958, e il 1959 chiude un ciclo e apre con la vita fuori dalla scuola: l’amara esperienza del carcere, dopo un fermo assurdo a un posto di blocco, provocato dall’invidia dei poliziotti per un diplomato alla Alliance.

All’inizio del quarto anno l’autore afferma che si sapeva ormai ben rapportare con i tre luoghi ideali della scuola: la cappella per l’anima, i campi da gioco per il corpo e le aule per la mente. Compagni di spiritualità e preghiera di Ngugi saranno Joseph Omange e  E.K. ; quest’ultimo sarà motivo di crisi del gruppo per avere rifiutato  di sposare una ragazza che aveva messo incinta e scopriranno che nel tempo aveva commesso spesso questo peccato. Tuttavia la preghiera e la lettura della Bibbia saranno sempre un punto di riferimento importante per Ngugi anche nella capacità di trarre forza durante le avversità personali e familiari.

Nelle attività sportive privilegerà  la corsa e la maratona e si cimenterà con esito tragicomico nella boxe: vedendo cadere sotto un solo colpo il suo avversario, non salirà mai più sul ring. Non riesce a comprendere come possa chiamarsi sport qualcosa che procura del male.

Dopo lo sport si rivelerà di particolare importanza per lui l’appartenenza al corpo dei boy-scout, nato nel 1907 da un’idea del generale inglese Robert Baden Powell come metodo educativo dei ragazzi nel raggiungere un’autonomia anche attraverso attività all’aria aperta; soprattutto quest’ultimo aspetto troverà buona accoglienza presso i giovani africani della scuola.

La forte attrazione per la letteratura lo porterà nel tempo a distinguere tra racconti imperialisti, cui sopperisce con la neutralità dei gialli di E.Wallace,  e grandi classici come i romanzi di Emily Bronte e Tolstoj, trovando in questi ultimi, nella descrizione della natura e nella polifonia dei personaggi un’assonanza con i racconti africani; spazierà ben presto nel campo della rappresentazione teatrale, nutrendosi delle numerose commedie di Shakespeare che gli allievi stessi  metteranno in scena.

I dibattiti che si svolgono nella scuola stimolano in lui la voglia di formare un collettivo fra i giovani dei nuovi villaggi. Si nota come Ngugi metta sempre in comparazione la vita dentro la scuola con quella esterna anche a partire dall’incontro con una saggia anziana, dai più considerata una folle. Arriva a dichiarare : “quanto imparai a scuola e quanto appresi fuori ebbe uguale impatto sulla mia vita”. La sua bellezza consiste proprio nel renderci intime sia la parte privata  che quella delle relazioni molteplici intorno a lui. Non prevalgono l’una sull’altra ma camminano di pari passo armoniosamente.  

La vocazione di scrittore di Ngugi si è svolta pian piano, dapprima con articoli, poi con racconti veri e propri e anche con pièce teatrali; conosciamo poi che evoluzione avrà il suo legame con la lingua nativa rispetto all’inglese della sua formazione  scolastica. Molti anni dopo, nel 1981, proprio in carcere  scriverà ( su carta igienica) in kikuyu  “Devil on the cross” rivendicando la forza della propria appartenenza africana; e in seguito con “Decolonizzare la mente” inviterà a liberarsi dal giogo colonialista sul piano culturale. Ripercorrendo la sua vita a partire da questo romanzo, dopo il diploma ottenuto alla Alliance , prenderà il treno per la Makerere Università di Kampala in Uganda, dove conseguirà la laurea nel 1963.  Insegnerà fino al 1977 all’Università di Nairobi e dopo sarà costretto all’esilio verso gli Stati Uniti  dove oggi è professore di Inglese e Letteratura comparata presso l’università della California di Irvine. Il suo rientro in patria è stato sempre osteggiato da minacce di morte per le sue posizioni anti-governative.

Grande intellettuale a tutto tondo ( romanziere, saggista, drammaturgo, giornalista, accademico) alla stregua dei grandi africani come Chinua Achebe e Nuruddin Farah, per citarne solo due, dà in questa autobiografia una lucida testimonianza dei pregi e difetti del colonialismo britannico consapevole della stimabile opportunità di istruzione offerta a giovani africani talentuosi; tuttavia ricordando che il pensiero dominante, durante tale colonialismo (1895-1963)  era sempre quello della logica imperialista. Contro tale logica, in nome di una uguaglianza degli uomini sul piano dei diritti e doveri, continua a levare la sua voce.

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