Nice Leng'Ete , Elizabeth Butler-Witter - Sangue. La storia della ragazza masai che lotta contro le infibulazioni - - a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 Nice Leng’Ete con Elizabeth Butler-Witter

 Sangue 

 La storia della ragazza Masai che lotta contro le infibulazioni

 traduzione di Elena Cantoni

 Piemme edizioni,2021

 

Quello che vi proponiamo non è un testo di letteratura, ma un libro scritto a quattro mani da Nice Leng’Ete con una scrittrice inglese, Elizabeth Butler-Witter. “Ha aiutato ad esprimere i miei pensieri in parole”, ci dice la giovane Masai nei ringraziamenti finali. L'opera, sotto l’egida di Githinji Gitahi, direttore generale di Amref Health Africa Group, è un mezzo per far conoscere la lotta contro le mutilazioni genitali condotta da questa straordinaria e determinata ragazza keniota.

Il linguaggio semplice e piano è perfettamente aderente alla storia di una bambina, poi adolescente che intraprende un cammino di ribellione, usando le armi della tradizione culturale masai e quelle ereditate dal padre, divenuto uomo politico locale, provvisto solo di una licenza elementare ma di grande capacità persuasiva e dialogica, deciso a migliorare le condizioni di vita del suo popolo.

Ci troviamo davanti a una mini enciclopedia della cultura masai, perché Nice, pur decisa a cambiare il fenomeno delle mutilazioni genitali, della scarsa alfabetizzazione femminile e dei matrimoni precoci con conseguenti ripetute maternità, a volte appena in età puberale, tuttavia ama la sua gente, le sue tradizioni e si mostra orgogliosa di spiegarne molti aspetti che lei ritiene estremamente positivi. Nella cultura masai, patriarcale e maschilista (e su questo non c’è dubbio) dominata dagli anziani e divisa in classi di età, con passaggi iniziatici da una all’altra, è presente una grande propensione al dialogo, alla negoziazione, al punto di arrivo ad una soluzione che soddisfi tutti coloro che sono implicati in un problema. Il che significa grande capacità di ascolto, dote di cui non sono risultati provvisti i colonialisti inglesi e nemmeno le innumerevoli organizzazioni internazionali che tentano di imporre soluzioni esterne e dall’alto, a parte qualche lodevole eccezione come Amref, che ha imparato esattamente questo metodo per le sue campagne sanitarie e per l’istruzione.

Nice o Karembo o Retiti: questi gli appellativi di una bambina, amata dai genitori e dai suoi parenti. Karembo vuol dire “bella”, proprio come Nice in inglese, anche se il suo nome reale, Retiti nella lingua Maa (da cui deriva il nome Masai) allude ad una pianta benefica, il fico selvatico, con rami che,scendendo a terra, formano nuovi tronchi, donando ombra e fresco, frutti e cortecce dalle proprietà medicinali. Un vero e proprio albero sacro. Una premonizione per il destino di Nice.

I genitori si sono sposati scegliendosi per amore, caso raro tra i Masai e Nice ha goduto di pace e serenità nella sua famiglia, guardando come il padre e la madre si sorreggevano l’un l’altra con affetto nelle avversità: la moglie ha sempre sostenuto il marito nelle lotte per i diritti della sua gente, quando l’istituzione dei parchi e riserve naturali ha rischiato di togliere tutta la terra che apparteneva loro e gli usi consuetudinari di questo popolo di pastori seminomade, già ampiamente compromessi dalla colonizzazione. E’ stata la prima donna masai ad introdurre l’agricoltura dell’orto e il sistema della chama, una cassa comune tra donne, un aiuto economico in denaro e non in natura di cui potevano usufruire a turno, per migliorare la vita delle loro famiglie.

 L’esempio del padre, che lei a partire dai sette anni seguiva nelle riunioni con i capi clan, è stato per Nice fondamentale per capire in che modo si doveva muovere per convincere gli anziani a mandarla a scuola, in collegio a studiare per le medie e le superiori e poi a rinunciare al taglio delle MGF ed aiutare le bambine e le ragazze che intendevano sottrarsi a questa iniziazione crudele per l’ingresso, tra i 10 e i 14 anni, all’età adulta, preludio al matrimonio combinato.

Questo non vuol dire che i genitori non seguissero le usanze tradizionali: il padre aveva una seconda moglie e altri figli che vivevano in una casa relativamente vicina, la madre arriva alle nozze incinta di un altro uomo, perché per i Masai lo scandalo non è il sesso o i figli al di fuori del matrimonio, ma praticarlo prima del taglio rituale. Il divorzio è pressoché inesistente: si limitano a prendere altre mogli, senza dimenticare mai il sostentamento della precedente famiglia. Ovviamente questo riguarda esclusivamente gli uomini, come anche il diritto di batterle per “correggerle”…

 Ma i suoi genitori hanno una marcia in più: i figli devono studiare, pure le femmine, anche se credono fermamente al valore rituale del taglio, cui avrebbero sottoposto le figlie, se non fossero morti entrambi di una malattia, misteriosa agli occhi di Nice, di cui nessuno le spiega niente.

Nice riferisce come lei abbia appreso anni dopo che la malattia era l’ HIV, che negli anni ‘90 decimava la popolazione del Kenya, della Tanzania e un po’ di tutta l’Africa australe. Per molto tempo tutto veniva addebitato al malocchio degli invidiosi, alla malasorte, alla stregoneria, proprio come le spiegazioni delle malattie e delle morti delle giovani ragazze, sottoposte alla mutilazione.

La ragazza scappa ben due volte di fronte alla sua sorte, traumatizzata, fin dall'età di quattro anni, quando la mamma la cominciò a condurre, insieme alla sorella, alle cerimonie del taglio: quella visione e la consapevolezza delle tragiche conseguenze la inducono a rifugiarsi nello studio, cercando di allontanare il giorno della cerimonia che l’avrebbe riguardata personalmente.

Orfana, ormai è alla mercé del nonno, degli anziani, delle donne che cominciano a considerarla una entapai , una svergognata. L’aiuto di una sua insegnante e la conoscenza di alcuni membri di Amref la inducono a proseguire la sua battaglia, prima solo per sé, poi anche per le altre.

Attraverso un duro apprendistato nell’organizzazione, arriva a dirigere gruppi di aiuto e sensibilizzazione nell’ambito sanitario e dell’istruzione, fino ad arrivare ad essere la responsabile in Africa degli interventi sulle MGF. Una volta laureata, Amref Healt Africa le chiede di essere ambasciatrice mondiale per la campagna umanitaria che ha l’ambizioso obiettivo di abolire le mutilazioni entro il 2030.

Nel suo villaggio, in cui lei torna sempre, molte cose sono cambiate: attraverso lunghissime conversazioni con gli anziani è riuscita a far scegliere loro un ingresso rituale incruento all’età adulta delle femmine, costituito da cerimonie di danze e canti che celebrassero la cultura masai. Con i giovani ha intrapreso la strada della spiegazione del perché le donne sentissero solo come un dovere o come una grande sofferenza il sesso, in conseguenza dell’asporto della clitoride che elimina il piacere sessuale e dona notevoli complicazioni, proponendo loro la gioia di un rapporto condiviso piacevolmente da entrambi i partner. Oggi molti giovani masai cercano donne integre per sposarsi.

Ma la strada è ancora lunga, nonostante le leggi keniote puniscano queste pratiche, sono ancora molti i villaggi che perseverano nella tradizione. Non solo in Kenya ma in molte altre parti dell’Africa e del mondo. I matrimoni precoci impediscono l’ istruzione e il lavoro femminile, inducono molti maschi a non proseguire gli studi per il dovere di provvedere ad una numerosa figliolanza, impedendo lo sviluppo economico e culturale delle giovani generazioni. Numerose sono le mutazioni a cui sono stati soggetti i Masai.

Accettare i cambiamenti è un modo per non lasciarsi cancellare: da pastori transumanti i Masai hanno dovuto accettare l’agricoltura e la sedentarietà per non essere cancellati dalla storia e additati solo come oggetto “turistico” antiquato o folkloristico a coloro che intraprendono viaggi in Kenya o in Tanzania.

Noi siamo Masai e le nostre tradizioni sono importanti. Ma abbiamo la saggezza di cambiarle, quando è necessario. Il taglio è dannoso e rischioso, ma non è solo per questo che dobbiamo abolirlo. Nel mondo moderno abbiamo bisogno di istruzione. Ci servono madri capaci di leggere ai loro bambini. Uomini che intraprendano una carriera prima di mettere su famiglia...Eliminare il taglio non significa rinunciare alla nostra identità di Masai. Significa diventare più forti, più sani, più ricchi, un grande popolo capace di affermarsi nel XXI secolo”. Pronunciare questo discorso ad una adunanza dei clan masai di Kenia e Tanzania, all’ombra del Kilimanjaro è valso a Nice l’offerta, da parte degli anziani, del bastone nero, simbolo di autorità, riconoscendole una leadership, impensabile fino a pochi anni prima.

Proprio nell’ottobre 2021 è stata inaugurata “A Nice Place”, un porto sicuro per le ragazze, condotto da Nice e sua sorella, che lei non è riuscita a salvare dalla mutilazione ma ha chiamato a sé con i suoi figli, salvandola da un pessimo matrimonio.

Proprio di un “porto sicuro” avrebbe avuto bisogno la piccola Nice quando intraprese la sua strada tutta sola. Questo edificio non è solo un rifugio, ma un luogo in cui si studia e si intraprendono dei percorsi di istruzione spendibili nel mondo del lavoro, un luogo dove si incoraggiano le bambine ad aspirare a ruoli di leader di comunità e non solo di brave mogli .

Si legge tutto d’un fiato, tanto è l’interesse che suscita...

 

 

 

Potresti leggere anche...

Informativa Cookie

Noi e terze parti selezionate utilizziamo cookie o tecnologie simili come specificato nella cookie policy. Puoi acconsentire all’utilizzo di tali tecnologie chiudendo questa informativa, proseguendo la navigazione di questa pagina, interagendo con un link o un pulsante al di fuori di questa informativa o continuando a navigare in altro modo.

Cookie Policy