Scholastique Mukasonga - Sister Deborah - recensione a cura di Rosella Clavari

Scholastique Mukasonga

Sister Deborah

Utopia, 2023

trad. dal francese di Giuseppe G. Allegri

 

 

L’autrice di cui abbiamo recensito già due romanzi, Nostra Signora del Nilo (2014) e Kibogo è salito in Cielo (2022), ripropone in qualche modo nel presente testo, tematiche simili ma sempre con una grande freschezza narrativa intrisa di ironia e con velati aggiornamenti di carattere storico-politico.

Il racconto si svolge in quattro parti : nella prima, la giovane protagonista ( Ikirezi, la figlia prediletta) viene portata in visita, per guarire da un misterioso deperimento fisico, da Sister Deborah, definita con opinioni diverse, una profetessa, strega o guaritrice. La accompagna la madre, fervente religiosa dei gruppi carismatici africani; nella seconda parte si parla brevemente del mistero della scomparsa di Sister Deborah; nella terza parte è la stessa Sister Deborah a parlare, a spiegare la sua vicenda personale fatta di morte e resurrezione fino ad una presunta reincarnazione che dovrà avvenire; nella quarta parte, di nuovo la giovane Ikirezi riprende la parola per spiegare quale beneficio abbia rappresentato per lei l’incontro con Sister Deborah, avendo conquistato con l’istruzione e importanti relazioni professionali, un posto nella società.

Sister Deborah si trova - si presume prima degli anni ‘50 - nella missione dei Padri neri a Nyabikenke (in Ruanda), facendo concorrenza ai Padri bianchi. Loro sono afroamericani e il padre della ragazza non li stima, proibendo alla moglie di portarla là: “Quelli sono stregoni venuti da un paese che chiamano America, un paese che forse non esiste perché è il paese dei morti, dei dannati”. Loro predicavano il ritorno di Gesù tra le nubi, un ritorno preceduto da una lista infinita di calamità. Quel che sorprende con piacere la gente che li ascolta, è che, dopo tanti flagelli, alla fine Gesù sarebbe apparso sulla nube in cielo “e tutti avrebbero scoperto che è Nero”.

Soprattutto le donne seguono i predicatori nuovi e lasciano il lavoro e disertano anche il letto coniugale per pregare e osservare le nuvole… Tra di loro una negoziante, Nabushambara, rivela di aver compreso bene le parole dei predicatori e afferma che il Salvatore, uomo o donna nera che sia, verrà per ristabilire il regno del Ruanda sull’intera Terra. Certo, una teologa improvvisata, come afferma la madre della ragazza malata, ma nessuno osava contraddirla perché era l’unica negoziante che dispensava merce e prestiti agli abitanti del villaggio. Spicca nella nuova missione dei Padri neri, la figura della guaritrice Sister Deborah che possiede una canna di ferro dai poteri eccezionali; invita le persone malate, sia donne che bambini, a toccare la canna per ricevere la guarigione. La santona viene corteggiata dallo chef del luogo, un certo Musoni che lei rifiuta affermando di non appartenere a nessuno.

La visione della audace donna è una visione matriarcale, sono le donne a dominare la scena, sono le donne a seguirla in tutto per tutto e lei arriva a profetare l’avvento di una Signora celeste che avrebbe sparso su tutto il Ruanda una semente meravigliosa che avrebbe dato raccolti in abbondanza per cui sarebbe cessata la loro servitù. E in Ruanda sarebbe nato un regno di donne.  Naturalmente questo stato di cose disturba i capi militari che tentano di soffocare il tutto e la stessa Sister Deborah dicono venga colpita, ma in un secondo momento si dice tra la gente che sia scomparsa. Sarà la negoziante, che aveva abbandonato la bottega per divenire la portavoce di Sister Deborah come consigliera e guaritrice, a fornire volta per volta informazioni su di lei e infine dirà: “Lei non sta in cielo. E’ nella terra, nella profondità della terra, al suo centro, lei è la madre nutrice di tutte le piante, di tutti gli animali, di tutti gli uomini”. Dunque, la donna, avendo vagato a lungo nella terra, si è rifugiata dentro un albero che l’ha accolta e di lì è entrata nel centro della terra.

Molto avvincente è nella terza parte, il racconto in prima persona di Sister Deborah che ha cambiato nome e ora si chiama Mama Nganga: ci fa capire dai suoi racconti privi di retorica, la triste condizione familiare di povertà e miseria morale nella sua infanzia prima di intraprendere quel cammino spirituale dove viene visitata da una immagine luminosa di una grande donna nera, Madre Africa. Lei racconta la sua versione dei fatti prima di essere stata colpita da un colpo di fucile che non l’ha condotta alla morte tuttavia. Dopo alterne vicende, riesce a oltrepassare la frontiera del Kenya e lì la chiamano Mama Nganga la “witchdoctor”, guaritrice per alcuni, strega per altri.

Veniamo a sapere poi che la setta che subentra dopo la scomparsa di Mama Nganga, si era alleata con le gang che gestivano il gioco d’azzardo, la prostituzione e lo spaccio di droga, mettendosi sotto la loro protezione. I predicatori rimasti annunciano il 6 agosto 1955 (decimo anniversario dell’esplosione atomica ad Hiroshima) come la futura data della fine del mondo e della conseguente partenza di tutti, ormai levitanti su una nuvola, verso l’America; a quel punto tutti in neri sarebbero diventati bianchi.

Il racconto termina con una sorprendente rivelazione fatta alla giovane Ikerezi divenuta la prof Jewels. E la storia senza fine per il momento finisce qui, come dice l’autrice stessa.

Ritroviamo in questo romanzo il dinamismo dei racconti tradizionali africani (in certe parti rivive Tutuola con gli esseri umani che entrano negli alberi e divengono spiriti) al servizio di una storia ancora attuale dove i culti pagani si incontrano con la spiritualità dei gruppi messianici, le antiche pratiche di guarigione delle antenate africane incontrano l’ostilità della medicina non tradizionale e i propri desideri o rivendicazioni si esprimono nella profezia ; e infine dove il valore dell’istruzione e della cultura che non rinnega la tradizione orale dei propri antenati è il vero grande dono spirituale che l’autrice sembra suggerirci come sua esperienza personale.

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