Sylvaine Prudhomme
I più grandi
66thand2nd, 2020
traduzione di Anna D'Elia
Stavolta, caso piuttosto raro, ci è capitata tra le mani la traduzione di uno scrittore francese che ambienta il suo romanzo tra africani.
Ma niente storie d’esilio o di poveri immigrati: siamo di fronte alla sorprendente storia di un reale grande gruppo musicale della Guinea Bissau, i Super Mama Djombo, nato nei primi anni ‘70 e tuttora attivo, anche se con membri parzialmente rinnovati.
Il gruppo proponeva, in un mélange di portoghese e creolo, con basi musicali africane e strumenti musicali occidentali, canzoni i cui testi hanno accompagnato tutto il periodo delle lotte per l’indipendenza, fino a diventare la colonna sonora delle speranze della rivoluzione delle giovani generazioni di allora, guidate da Amilcar Cabral, l’eroe per eccellenza di Capoverde e Guinea Bissau.
Solo negli anni ‘80 la band inciderà un long playing, che comprenderà tutto il loro repertorio più famoso.
Il testo cita, facendoli emergere dai ricordi del protagonista Couto, molti titoli, facilitando la loro ricerca su youtube per i lettori che si volessero cimentare nell’ascolto.
L’intenzione di questa scrittura ha richiamato, come hanno rilevato alcuni giornalisti, l’operazione culturale fatta da Wim Wenders nel 1999 con il film “Buena vista social club” con la riproposta di musicisti cubani anni ‘40 e quella della giovane cineasta irlandese di origine algerina Safinez Bousbua con il lungometraggio “El Gusto”, che ha riunito, nel 2011, i vecchi membri, ebrei e musulmani, di una antica orchestra di musica chaabi.
I personaggi del romanzo sono dunque reali, ma non il protagonista Saturnino Bayo, detto Couto e Dulce, la cantante, con la cui morte comincia l’azione del testo. Couto è un mitico chitarrista, simbolo dei leggendari chitarristi di cui si è sempre arricchita la band e Dulce allude, perlomeno nel nome, alla cantante Dulce Neves, ben viva e vegeta, che per qualche tempo ha fatto parte del gruppo, soprattutto da giovanissima esordiente.
L’azione si svolge tutta in un giorno, come nell’Ulisse di Joyce. Nel primo pomeriggio giunge a Couto, sdraiato accanto alla sua donna Esperanca, la notizia che Dulce “I muri”- è morta - come gli urla al telefono l’amico e collega Zé. Dulce, l’amore della sua vita. Se ne era distaccato, tanti anni prima (circa trenta) nel momento in cui lei aveva preferito la sicurezza e un posto altolocato in società, sposando Gomez, un eroe della resistenza ai portoghesi, che però in seguito si era opportunamente avvicinato all’élite che contava, diventando un pezzo grosso dello Stato maggiore dell’esercito. Basta- aveva sentenziato la kantadura - con i concerti, gli stadi, le tournée, le prove, i viaggi stancanti in patria e all’estero, i periodi di povertà: avevano grande risonanza ovunque è vero, ma senza guadagnare granché, paghi di portare in giro, con la musica, la rivoluzione.
Couto suonava ancora all’occorrenza, ma il periodo d’oro era finito. Lui “un misto di gloria ingrigita e nullafacenza impenitente cui l’orgoglio impediva di abbassarsi a lavorare più di qualche ora al giorno, di qualche giorno al mese. Gran signore costantemente sfaccendato, costantemente senza un soldo”.
Dal momento dell’annuncio della morte, il protagonista parte in un ‘amarcord’ a tratti esaltante, a tratti amaro e triste e comincia a cercare i componenti del gruppo per organizzare la sera stessa un concerto omaggio per Dulce, a cui tutti avevano voluto bene e che con la sua voce di bambina sensuale aveva tanto contribuito al loro successo. Ripercorre i luoghi dove avevano suonato, all’inizio della carriera: lo stadio locale di Bissau, i piccoli caffè, come il Chiringuito di Nun, loro fan sfegatato sin dalla prima ora, dove si faceva musica dal vivo, passando in rassegna i luoghi dove lui e Dulce si erano amati. Perché lui, e non Gomez, era il vero vedovo di quella donna, anche per tutti coloro che li avevano conosciuti.
La rievocazione di Dulce si trasforma in quella della stagione delle speranze abortite di un paese piccolo e povero, ma ricchissimo di colpi di stato militari. Anche ora c’è nell’aria un ultimo colpo di stato, probabilmente attuato dallo stesso Gomez.
Couto ne ha la conferma da un gruppo di ragazzini di strada: loro sanno sempre prima degli altri cosa accadrà, perché captano nelle vie segnali e discorsi che gli altri non colgono e non vedono l’ora di offrirsi al dittatore di turno come manovalanza, per sopravvivere alla miseria con un fucile in mano.
Couto pensa a quanti musicisti avevano suonato con lui e che mancano all'appello: morti o emigrati in Europa, dove pochissimi avevano avuto la chance di lavorare nel settore musicale. Negli anni ‘80, con i cambiamenti politici che si susseguivano, avevano perso l’appoggio governativo e la band fu costretta a sciogliersi, per ricomporsi con altri membri, svariati anni dopo.
L’esilio è così: devi scordarti chi eri e accontentarti di altri lavori più umili, ma la fuga era stata dettata da una situazione sempre più insostenibile in patria. Chi era rimasto vivacchiava in altri gruppi o in altre occupazioni. Comunque erano stati rimpiazzati adeguatamente e insieme a loro Couto avrebbe suonato quella sera, sempre capitanati dal leader del gruppo Atchoutchi, autore di molte canzoni della band. Una réunion in grande stile che avrebbe fatto da contraltare ai carri armati che avrebbero invaso sicuramente le strade della città.
Ma non solo Gomez e i suoi erano da tenere a bada. C’è un altro soggetto con cui Couto deve fare i conti: una band di rapper dai nomi stravaganti che ormai a Bissau andavano per la maggiore. In un caffè, quel pomeriggio, si incontra con loro e parlando con Thioume-C si rende conto che il mondo musicale è molto cambiato.
Questi giovani non parlano di arte né di come arrangiarsi per vivere: parlano di campagne promozionali, di studi di registrazioni, anche di esibizioni dal vivo, ma per loro è importante essere una hit alla radio o su youtube, sono dei maghi nel merchandising, producendo magliette, mettendo in palio biglietti per i concerti o inventandosi giochi a premio.
Tuttavia il giovane rapper accoglie Couto con l’espressione 'garandi', grand’uomini, pronunciata con un misto di deferenza e compassione. Giovani, pensa Couto, talmente sicuri di sé da concedere ai Mamma Djombo l’etichetta di grandi, cioè ormai fuori moda, ma che erano stati delle grandi star ed erano depositari di un passato nazionale scomparso. Da Thioume-C apprende con sorpresa che anche il suo gruppo, in un concerto che si terrà quella sera, farà un tributo a Dulce, perché lei, qualche tempo prima, aveva accettato di incidere con loro due brani che avrebbero mandato nella serata.
Un’ultima cosa resta da fare a Couto: chiedere a Gomez di visitare la salma di Dulce per dirle addio. Due sole volte, dalla fine della relazione con la cantante, Couto avrebbe incontrato Gomez, il suo ex-comandante durante la resistenza: il giorno delle nozze con Dulce e il giorno della sua morte.
Come un pazzo gira per i quartieri e le stradine di Bissau, facendo strani incontri, fino a rischiare di non arrivare in tempo al concerto. Ma arriverà e suonerà in modo straordinario, per poi correre di nuovo attraverso la città fino al porto, inseguito dai suoni sinistri dei razzi e delle mitragliatrici. Allora e soltanto allora Dulce sarà morta, confondendosi con la morte della città e di una patria martoriata.
In alcune interviste con l’autore si apprende che ha vissuto a lungo in Africa, tanto da sembrarne un narratore interno e non un indagatore dall’occhio straniero. Il linguaggio usato è sorprendentemente musicale, fatto di frasi, spesso brevissime, dalle movenze poetiche che quasi vogliono emulare i ritmi e le melodie di cui parla: sensualità e rimpianto, lotta e nostalgia, gioia e amore per la vita, nonostante tutto. Viene ricreata la città di Bissau attraverso la descrizione morbida e sfumata di caldo e temporali, vento e odori, musiche antiche e nuove, pompate dagli amplificatori e mescolate al crepitìo delle armi.