Ubah Cristina Ali Farah
Le stazioni della luna
66thand2nd, 2021
Cristina Ali Farah persegue nei suoi romanzi una linea autobiografica e intimista, collegata alle vicende storiche delle sue due patrie ( Italia e Somalia), che la colloca tra le più poetiche voci della seconda generazione afroitaliana.
Le stazioni della luna, scritto presso l'istituto culturale STIAS del Sudafrica (Stellenbosch Institute for Advanced Study) che l'ha ospitata durante la pandemia, è stato composto con l'armonia di uno spartito musicale : 3 parti costituite ciascuna da un assolo e 8 tempi e un epilogo-assolo. L'assolo è la voce narrante di Ebla, la donna guerriera, invincibile, la donna che conosce anche l’arte, interdetta alle donne, di leggere le stelle, lei che ha osato sfidare la legge dei matrimoni combinati e ha creato con l’uomo amato due figli liberi che lottano per la libertà del paese. Gli assolo fungono qui da coro greco, vale a dire sono un commento ma anche una introspezione psicologica della protagonista.
Ebla è una donna somala vissuta in un mondo nomade (viene dalla boscaglia) dove il padre, astronomo, divinatore ed erborista le ha insegnato a leggere le stelle, i pianeti e i segni del cielo. Sfugge a un matrimonio combinato attirandosi l’odio della sua gente e sposa il camionista-poeta Gacaliye con cui avrà due figli, Kaahiye e Sagal. La sua storia si intreccia con quella di Clara sua figlia di latte, che vive in una famiglia italiana in Somalia. Clara con la sua famiglia dopo la seconda guerra mondiale è costretta a lasciare il paese e tornerà agli inizi degli anni '50 con il grande desiderio di ritrovare i suoi compagni di giochi: l'amato Kaahiye e Sagal, la sua sorella di latte.
Il prologo del romanzo vede la partenza di Sagal e il suo primo distacco dalla madre Ebla ma la prima parte è occupata dal rientro di Clara a Mogadiscio negli anni ’50. Lì aveva vissuto la sua infanzia con la sua famiglia, la madre Margherita, il fratello Enrico e il padre morto di malaria in un campo di prigionia. Clara ritornando a Mogadiscio negli anni ‘50 viene impiegata come insegnante presso la scuola somala dove incontra il prof. Nardi che ha un suo pensiero indipendente contro la retorica, in evidente continuità con il passato regime fascista, rimasta nei programmi scolastici. Lui vuole capire il somalo e farlo parlare a scuola e arrivarne a una trascrizione, anche se non ha una sua lingua scritta, accanto all'italiano.
Il fratello di Clara, Enrico “giovane impulsivo e possente... credeva nella civiltà e nella ragione". Anche lui è espressione di quella mentalità, fondamentalmente razzista, che continuerà a perdurare, anche dopo la caduta del fascismo, all’interno del mandato affidato all’Italia di Amministrazione fiduciaria della Somalia, per prepararla all’indipendenza che arriverà solo nel 1960. Ci furono persone di buona volontà che cooperarono con i somali in parità ma pesò su una reale rinascita la mancata denuncia dei crimini perpetrati durante il colonialismo, cosa che la Lega dei giovani somali non accettò assolutamente.
C'è un personaggio straordinario che fa da tramite tra i due mondi, quello somalo di Ebla e quello italiano di Clara: è la suora bianca Haajiya che riceve questo nome somalo per affetto, essendo la più esperta levatrice della città e anche una donna generosa; grazie a lei Ebla è sopravvissuta al secondo parto e grazie a lei Clara verrà allattata da Ebla con Sagal, sarà la sua mamma-balia. Clara ora che è tornata vuole rivedere Ebla, la sua seconda madre e ci andrà con Haaiya.
Nella seconda parte, l’incontro commovente e pieno d’amore tra le due donne, permetterà ad Ebla di rivivere in parallelo i suoi ricordi, quando anche lei, giovane, era arrivata a Mogadiscio negli anni ’30. Poi i cambiamenti storici che si susseguono vorticosamente: la seconda guerra mondiale, l'amministrazione fiduciaria italiana. Senza contare i problemi legati alla siccità, alla povertà.
Il quotidiano consolatorio sguardo sulla natura accompagna l’angoscia dei piccoli e grandi eventi: gli odori del mercato, del cibo locale con le sue profumate spezie, il tramonto repentino di Mogadiscio con il “cielo striato per un istante di rosso e di violetto” . Ebla avendo imparato dal padre a leggere nel cielo il segno del tempo e dei tempi, è in grado di discernere una stagione di siccità da un’altra di fertilità e abbondanza; così suo padre aiutava la povera gente. Lei ha imparato anche a tessere le stuoie e a pascolare le caprette ma la sua passione sono sempre i corpi celesti e legge anche il destino di Sagal nel cielo “mia figlia è nata sotto l‘influsso dell’astro verde e le stelle doppie della Bilancia: si dice che gli uomini nati in questa stazione della luna abbiano un grande carisma, ma io non credo che i corpi celesti facciano distinzione tra uomini e donne” . Infatti ci troviamo davanti a una prevalenza matriarcale; eccetto le figure maschili del marito, il poeta-camionista Gacaliye e del giovane figlio combattente Kaahiye opposte alla figura negativa del servo del potere Xusseen, sono le donne a dominare la scena in questo racconto: Ebla, Sagal, Clara, Haajiya, Maryam, Mirella, Elena. Intraprendenti o silenziose tessitrici degli accadimenti.
Attraverso le donne il romanzo si fa contenitore di altri racconti e fiabe: la Donna mondo, i quattro fratelli, la gente di mare cui appartiene Maryam, i reer manyo, che rispetto ai somali pescavano e parlavano un’altra lingua.
Man mano che le storie parallele di Ebla e Clara si snodano, prende corpo la storia d’amore tra Clara e Kaahiye, combattente nella Lega dei giovani somali. La loro storia d’amore iniziata da piccoli durante i giochi d’infanzia con la sorella Sagal, sboccia come un fiore in mezzo alle spine del potere. La Lega dei giovani si batteva per l’indipendenza e l’unità di tutti i somali in un contesto che ancora è dominato dalla presenza italiana: Elena, proprietaria di un lussuoso albergo è la vedova di un vecchio uomo d’affari che le aveva lasciato una cospicua eredità e illustra a Clara il buon funzionamento dell’economia; Mirella, giovane esuberante che diverrà amica di Clara ha un padre benestante che la fa vivere negli agi. Scopriremo che la governante Maryan, la sua hooyo come la chiama Mirella, è in realtà la sua vera madre: accadeva spesso che queste unioni tra somale e italiani venissero tenute segrete. Mirella, a prima vista una ragazza superficiale, sarà solidale con Clara quando Kaahiye verrà catturato. Il rapporto controverso di Clara con Enrico è dovuto al fatto che il giovane non accetta che la sorella ami un ribelle.
Una storia quella della Somalia, ancora tutta da ripercorrere per vedere come, nonostante la raggiunta indipendenza del 1960, sia stata tormentata dalle guerre: prima contro L’Etiopia tra gli anni ’60 e ‘70 per il territorio dell’Ogaden, rimasto poi all’Etiopia; nel 1969, dopo il colpo di stato di Siad Barre, abbiamo circa 20 anni di dittatura cui è seguita la guerra civile per altri 10 anni.
Cristina Ali Farah è testimone di uno spaccato di questa storia, essendo partita da Mogadiscio, allo scoppio della guerra civile, nel 1991. Ma il suo racconto oltre alla descrizione del colonialismo e dell’uscita da una guerra mondiale, parte anche da lontano, da storie di popoli in cammino, da radici pure non ancora inquinate dalla follia dei fanatici.
Emerge la forza delle donne, di Ebla, la grande guerriera e di Clara e Sagal unite nella lotta di resistenza per salvare l’una il proprio amato e l’altra il fratello. Figure che sono un segnale di pacificazione nella guerra e nel razzismo strisciante che accompagna ogni atto di potere e di prepotenza.