Wayétu Moore
I draghi, il gigante, le donne
edizioni e/o, 2022 - traduzione di Tiziana Lo Porto
Quanto mai attuale, purtroppo, questo libro, che parla di guerra, della guerra subita da una giovane ragazza con la sua famiglia, del rapporto viscerale con la madre e con la sua terra. Anche se si parla dell’ultima guerra civile accaduta in Liberia, le guerre sia in Africa che in Europa e nel resto del mondo, non hanno mai smesso di infuriare in questo XXI secolo. I protagonisti, dietro le quinte o palesemente esposti, sono sempre gli stessi. Nello stato africano preso in considerazione, modello di tanti altri, a un colpo di stato succede una guerra civile, a un presidente destituito o assassinato ne subentra un altro che dovrà prepararsi a una delle due opzioni precedenti. Per questo stato di cose, trapela dietro la scrittura della Moore una allegoria evidente dell’Africa, la madre Africa, cui la piccola Tutu è legata così come a sua madre che per migliorare la sua situazione lavorativa ha accettato di andare in America, appoggiata in questa scelta difficile proprio dal marito. La bambina non sa darsi pace, chiede continuamente della madre; deve accontentarsi della sua voce al telefono e dei film in cassetta che le arrivano per posta. Immersa in questa angoscia filiale, si sviluppa contemporaneamente intorno a lei la tragedia inaspettata della fuga a causa della guerra civile. Tornando alla grande metafora sottesa al testo autobiografico della giovane autrice si parla della madre Africa vilipesa nella sua terra e dei suoi figli vilipesi anche fuori dalla loro terra, in quell’America da dove i loro antenati erano partiti 1) , a causa del razzismo che anche lì rende impossibile la loro vita; lo sarà per la madre così come per la figlia ormai adulta. Il romanzo segue la fuga rocambolesca della famiglia ( il padre Gus, la nonna, detta Ma, le sorelline della protagonista Tutu che ha cinque anni, Wi di sei e la più piccola K. di tre) per tre settimane, durante la guerra civile del 1990, l’uccisione di un loro membro, il nonno Charles scambiato per un mandingo, etnia perseguitata dai ribelli, ( e invece era solo un buon musulmano che indossava un kufi, alto come un mandingo) e il salvataggio grazie all’intervento della madre, tornata dall’America in Sierra Leone; sarà lei che invierà nel grande accampamento di rifugiati una ragazza-soldato, Satta, che mentendo salverà la famiglia, permettendo loro di varcare il confine e approdare a Freetown.
Nella seconda parte - i capitoli sono intitolati alternativamente stagione delle piogge e stagione arida con una digressione centrale - seguiamo la vita, prima della madre arrivata in America proprio allo scoppio della guerra civile del 1990, poi a distanza di anni, della giovane Tutu, ormai venticinquenne, a New York, aspirante scrittrice, mentre i genitori sono tornati in Liberia. Prima di New York, dagli 8 ai 17 anni ha vissuto in Texas con i genitori : anche lì la vita non è stata facile per loro a causa di un razzismo strisciante che esplode in alcuni casi in tristi episodi di cronaca nera. Tutu, nella scuola media, aveva creato con altre dodici ragazze nere una complicità e solidarietà particolare che le fa da scudo anche se la madre con il suo comportamento esemplare le aveva sempre detto di non “non avere mai paura del suo essere nera”. Per Tutu è stato facile passare dagli abiti lappa ai jeans, dai piatti di foglie di manioca a quelli di spaghetti e polpette, ma l’alternanza affettiva tra un mondo e l’altro è inevitabile. Tra le sue amiche, alcune fanno un esame del sangue in cerca di tracce di una patria rubata, sembra che adesso “ venire dall’Africa sia diventato figo”. Lei non ha cercato evasione nella droga o nell’alcool come purtroppo accade a molti adolescenti traumatizzati; la sua unica dipendenza è quella dalle storie d’amore senza trovare un punto di riferimento stabile, inoltre i ricordi della guerra vista da bambina ancora le procurano incubi nel cuore della notte. A casa, un giorno, vede di nuovo in Tv le immagini di guerra nel suo paese, stavolta è la guerra civile che esplosa nel 1999 durerà fino al 2003. Il racconto si svolge non in maniera lineare ma con continui passaggi in avanti e indietro nel tempo per ricostruire una trama che per fortuna non avrà come esito la morte. Sì, perché come ci tiene a dire l’autrice, “tra chi si è perso, c’è qualcuno che ce l’ha fatta. Tra i draghi ci saranno sempre gli eroi[…] storie di morte e orfani ma anche di chi ce l’ha fatta, è sopravvissuto”.. Ma chi sono i draghi, il gigante, e le donne del titolo? Le donne, intuiamo, sono l’essenza del femminile che cura, protegge, dà la vita. Sulla storia dei draghi la mente della piccola Tutu si sofferma e parla spesso di Hawa Hundu, personaggio leggendario che prima era un principe e poi dimenticandosi delle sue promesse, diventa un drago. Lo associa a un nome che sente ripetere almeno una volta al giorno, Sam Doe, il presidente della Liberia che non voleva dimettersi. Tornando alla storia reale, Taylor e Prince Johnson mandano i ribelli a uccidere i Krahn e quelli che lavorano per il governo, per costringere Doe e a dimettersi. Ma Doe verrà ucciso nel 1990 e dopo le dimissioni di Sawyer, verrà eletto presidente nel 1997 C.Taylor, il vero “drago” della situazione. Le rivolte e le sollevazioni popolari porteranno alla morte di 200mila persone. Solo con gli accordi di Accra (Ghana) si porrà fine a 14 anni di guerra civile e Taylor verrà condannato per crimini all’umanità a 50 anni di reclusione nel 2012, condanna confermata dal tribunale dell’Aia nel 2013.
A queste guerre civili è legato anche il triste fenomeno dei bambini-soldato. Tra loro, alcuni ex bambini-soldato hanno fatto un percorso di guarigione e la scrittrice li saluta alla fine del racconto “… mi hanno affidato le loro storie: grazie per la vostra lezione di perdono”. Sono loro e persone come la madre e il padre di Tutu e Satta, la ragazza-soldato, a rappresentare i giganti della storia. Infatti la bambina ricorda che il padre, benché non fosse molto alto come il nonno, quando si trattava di difendere i suoi diritti e proteggere i deboli, diventava stranamente più alto: “papà aveva lo straordinario potere di trasformarsi in un gigante in grado di proteggerci e portarci via”. Il racconto infantile segue la forma della favola: “prima regnavano gli esseri umani nella foresta, i Gola, i Kissi, i Loma,i Gio… ma il drago disse che c’era un solo modo di raccontare la storia[…] sono stati i nostri draghi a uccidere quei posti spingendoci dentro nuove cose ( l’emigrazione n.d.r.)” . Dopo l’ultima guerra che è finita nel 2003 , i genitori di Tutu sono tornati in Liberia e lei, circa 10 anni dopo, vuole tornare a casa per vedere con i suoi occhi come stanno le cose, se è cambiato qualcosa, se può incontrare chi le ha salvato la vita. Tornare a casa produce una prima forma di spaesamento, ci si ritrova con abiti addosso, diversi da quelli che si incontrano lì, poi l’incontro commovente con i genitori cambia tutto. Su quest’ultima parte sospendiamo il resoconto, invitando il lettore ad addentrarsi nella storia. Tutu farà altri incontri molto importanti, tra cui la giornalista liberiana Agnes che contatterà per rintracciare Satta, e si farà altre domande, sempre grata alla madre per la vita donata e conservata, spingendo anche noi alla riflessione sulle dinamiche dei conflitti umani.
Il romanzo non ha un percorso lineare ma è fatto di rimandi nel suo svolgersi che spiegano il contenuto di quanto accaduto prima. Una maniera frequente nella narrazione africana che non sceglie le forme schematiche ma quelle di un work in progress.
1) infatti il nome Liberia deriva da liber: schiavi afroamericani liberati nel 1822 che si insediarono qui e nel 1847 dichiararono l’indipendenza del paese.