Abdullahi Ahmed
Lo sguardo avanti - la Somalia, l’Italia, la mia storia
ADD Editore, 2020
Con questo libro l’autore si pone sulla linea di prosecuzione di molti somali che hanno testimoniato la loro odissea moderna, straordinariamente pedagogica. Un giovane africano, a 19 anni, decide di lasciare il proprio paese per costruirsi un futuro migliore. Inizia così il suo viaggio attraverso l’inferno del Sahara, oltre la Libia per poi affrontare il Mediterraneo e attraccare a Lampedusa. Dopo l’accoglienza, il viaggio di Abdullahi si conclude, con l’ultima meta stabilita per lui: Settimo Torinese.
La storia di Abdullahi si presenta in una duplice veste: nella prima parte, racconta di sé stesso, della sua vita nel proprio paese, della sua esperienza di viaggio, che intende essere così uno strumento di immediata utilità per chi voglia conoscere ed approfondire le dinamiche, le dimensioni, le motivazioni, delle persone coinvolte. La seconda parte – centrale, e probabilmente la più originale – vuole non solo rispondere alle perplessità, all’ansia, alla paura della società di accoglienza, ma essere anche materiale di pedagogia interculturale: vuole offrire un percorso di analisi critica che permetta al lettore di confrontarsi con l’Altro e l’Alterità attraverso punti di vista differenti ( molto distanti da alcune rappresentazioni di parte o ideologiche, che danno spesso forma e tono “populista” al fenomeno) cercando di rassicurare, ma anche smontando, decostruendo, direbbe Derida, il mito di “invasori”.
Perciò l’autore propone, come alternativa, il dialogo interculturale per una vera integrazione preferendo la parola interazione. L’interazione appunto, perché Abdullahi non solo risponde alle domande, alle curiosità, ma anche ascolta, partecipa direttamente per cogliere il punto di vista degli altri. Per verificare sé stesso, egli si confronta con altri rifugiati della sua stessa condizione, o meglio di quella che era la sua condizione. Scopre, anzi, riscopre che, quella decisione di abbandonare la propria terra non aveva nulla di volontario, ma era stato un disperato tentativo di fuggire dalle catastrofi causate da guerre, pulizie etniche, disastri naturali e dalla violazione sistematica dei diritti umani.
Se confrontiamo con i racconti de “Il doppio sguardo: culture allo specchio” (AA.VV. AdnKronos, 2002) che io lessi qualche tempo fa, scopriamo che chi si accosta alla letteratura della migrazione, in qualsiasi lingua essa sia scritta, si accorge ben presto di alcuni evidenti aspetti: in primis essa riflette in maniera straordinaria la condizione di essere sospesi, divisi tra più mondi, ed è espressione della lucidità che questo doppio-multiplo sguardo garantisce al migrante.
Diversamente, "Lo sguardo avanti" sfugge e non sembra soffrire troppo i sentimenti di sradicamento. Anzi, per Abdullahi, l’assenza è punto di forza e non di auto-chiusura. Come vogliono il titolo del suo libro e l’esergo del "Manifesto di Ventotene", l’Autore non accenna, sin dall’inizio, ai lampi della lontananza e della rassegnazione. Lo sguardo è sempre rivolto in avanti, senza lasciarsi attrarre dall’incantesimo dell’assenza e dallo sradicamento, rimanendo, appunto, sempre “con i piedi per terra”.
“…C’ero anch’io su quelle barche e su quei furgoni in cui si viaggia spaventati, e se ora mi appare tutto così distante, scopro invece che in una cosa sono rimasto lo stesso Abdullahi del 2007: nella voglia mai spenta di mantenere lo sguardo avanti, rivolto a quello che c’è da costruire e non alle cose che si sono lasciate alle spalle”.
Come africano, questo libro, scritto da un giovane africano, con queste prospettive promettenti, mi riempie di gioia e di speranza per il futuro del nostro continente e per la Somalia in particolare. Anche perché, negli ultimi 20 anni ho avuto la fortuna di conoscere accademici somali, come il mio amico ‘Alì Men’èn. E, prima ancora, il grande Nuruddin Farah e altri, studenti, medici, giornalisti… Parlando con loro ho sempre avuto l’impressione di una strana indifferenza – salvo alcuni casi, in particolare le donne somale – nei confronti della propria Patria. Il testo in esame, oggi, mi conferma in questo giudizio. Come abbiamo avuto modo di scrivere diverse volte in questo sito di Scritti d’Africa, dopo la cacciata di Siad Barre dalla Somalia, iniziò un conflitto civile che è proseguito negli anni successivi, cambiando e distruggendo la vita stessa di tutta la Nazione. E Abdullahi scrive a conferma di tutto ciò: “eravamo un’unica entità geografica, ma né io né la maggior parte delle persone che abitavano quel territorio si sarebbero definite ‘somale’ tanto era inculcata l’idea delle divisioni in clan. Come risultato dell’assenza dello Stato, la società si era affidata ai capi delle famiglie claniche e, addirittura, alcune aree si erano dichiarate politicamente indipendenti”.
“Non si può essere stranieri per sempre”
Per uscire fuori da tutto questo, la parola d’ordine “non si può essere stranieri per sempre” diventa la frase-mantra di Abdullahi. È il chiodo fisso per guardare ancora più avanti. Ecco allora l’idea culturale di Ventotene, così come è stata pensata nel 1941. Tornare alla radice del sogno di vita pacifica nell’Europa di oggi. Ma per fare questo, l’Autore propone “una comunità che conosca la propria storia e che insegni quella storia a chi sta arrivando”. Così ci si sente coinvolti e si condivide un’idea : “ho sentito che il mio impegno doveva farsi più radicale, e questo pensiero è maturato insieme all’idea di un importante cambio di prospettiva”. Il migrante o il rifugiato deve passare da “oggetto della discussione politica, civile, culturale, a soggetto che a quella discussione partecipa”, deve essere parte della prospettiva reale del cambiamento, non spettatore del discorso che gli altri fanno su di lui o su di lei. Deve cambiare, in particolare l’immaginario italiano che è molto indietro rispetto agli altri Paesi dell’Unione, dove è normale per un figlio di immigrati marocchini diventare Sindaco di Amsterdam, così come diventare Sindaco di Londra per un figlio di immigrati pakistani. È normale vedere in quasi tutte le città europee immigrati guidare i taxi, i mezzi pubblici; nei mezzi di comunicazione e nei programmi televisivi, nella produzione culturale, nella sanità “nessuno è straniero”.
La letteratura scritta dai migranti, come “Lo sguardo avanti”, può essere considerata una modalità di espressione della propria visione del mondo in dialogo con quella delle società in cui si inseriscono. Il fenomeno migratorio, infatti, mettendo in relazione universi culturali diversi, ha la capacità di rimettere in discussione la realtà politica e sociale dei paesi in cui ha luogo, svelandone le contraddizioni e i problemi, e rendendo necessario un confronto a livello identitario. Mi viene in mente Edward Sayad, quando scriveva a tale proposito che “le migrazioni dei popoli svolgono un ruolo straordinario di ‘funzione specchio’ alla società di accoglienza, rivelando le più profonde contraddizioni interne di una società, la sua organizzazione politica e le sue relazioni con le altre società”. Perciò, conoscere la nuova realtà migratoria e darle uno spazio di visibilità vuol dire accettare il dialogo e, implicitamente, riconoscere che un'altra faccia della medaglia esiste e necessita di essere conosciuta.
Concretamente, l’Associazione GenerazionePonte a Torino, fondata da Abdullahi nel 2016 con la quale organizza da tre anni il Festival dell’Europa Solidale e del Mediterraneo a Ventotene, parla proprio di questo essere cittadini attivi, prendersi cura delle cose, lasciare il segno. È un invito alla cittadinanza attiva. È anche un manuale per la didattica, non per “l’integrazione” ma per “l’interazione”, come preferisce dire lui.
Abdullahi è attualmente uno dei più richiesti mediatori culturali in Italia per i cittadini comuni, i giornalisti, scrittori, rappresentanti della politica amministrativa , insegnanti e scuole di ogni ordine e grado. Nel libro è sottolineato che questi incontri, effettuati direttamente a partire dal 2016, sono stati più di 1000.