Africana -Raccontare il Continente al di là degli stereotipi- a cura di Chiara Piaggio e Igiaba Scego- recensione di Habté Weldemariam

 

 

 

 

 

 

 

 

 AFRICANA. Raccontare il Continente al di là degli stereotipi

 a cura di Chiara Piaggio e Igiaba Scego

 Feltrinelli, 2021

 

 

 

Nel 2006, ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e di conversare a lungo con lo storico burkinabé Joseph Kizerbo che, tra molte altre cose mi disse “ In Occidente, nei libri di storia, nei testi scolastici, la mole di rimozioni, ignoranze e bugie sull’Africa è impressionante […] Mi capita spesso negli incontri e convegni internazionali, ogni tanto qualcuna/qualcuno, che pure è ben informato sullo stato del mondo, che chiede a me (e a sé suppongo): Perché si sa così poco dell’Africa?”. Leggendo “Africana” mi sono ricordato di questo episodio, delle lamentele del grande storico riguardo la rimozione dell’Africa e dei suoi valori culturali millenari da parte dell’Occidente.

L’ingenuità con la quale in Occidente - in Italia in particolare - si continua a parlare di Africa, degli africani e di “negritudine” è, appunto, impressionante perché l’immaginario è sempre quello di un continente riducibile a un’identità omogenea, che nasconde in realtà secoli di razzismo interiorizzato e continuamente ribadito dall’incuria con la quale ci si approccia all’Africa nel discorso pubblico, e ancora più grave, nei testi scolastici.

Nell’introduzione Igiaba Scego dice una cosa semplice, una verità profonda: «sembra banale ribadirlo, ma non si sa mai, meglio ripeterlo», scrive Igiaba «l’Africa è un continente. Non è un paese, non è un villaggio, non è un borgo, non è un’isola». Dal punto di vista geografico l’affermazione potrebbe anche essere una banalità, irrilevante: “Parli africano tu?”; “Tu sopporti il caldo: sei africana, beata te!”, e via dicendo. Ma non per quel che riguarda il ruolo relazionale del Continente nell’immaginario occidentale. Ho detto delle banalità, ma queste affermazioni lasciano intuire un inconscio ancora saldamente radicato nel costrutto colonialista di un’Africa tanto grande quanto indistinta, un soggetto monolitico.

L’Africa di cui parla questo libro è un mosaico di ambienti e storie diverse: due brevi saggi, vari racconti e al centro del libro una narrazione visuale, quella di Pierre-Cristophe Gam con “L’uomo integro” un’interessante serie di opere ibride, tra fotografia e digitale, dedicate al leader leggendario burkinabé Thomas Sankara. Essa accoglie inoltre diciannove contributi di grande varietà stilistica e tendenzialmente brevi. Gli autori provengono dal Continente e dalla diaspora africana, lontani dagli stereotipi coloniali e dai luoghi comuni, che parlano in prima persona delle loro Afriche, restituendo un panorama letterario originale: alcuni sono comici, altri sentimentali; troviamo storie d’amore, drammatiche, oppure di sport; gangster che vengono sepolti vivi; regine decadute che vengono esiliate; ragazze queer alla ricerca della loro identità e via dicendo. E ci sono vite al limite e vite ordinarie, paesaggi naturali e metropoli, ricchi e poveri; c’è la rabbia, la delusione, l’impotenza, ma anche la libertà, il coraggio, il senso di riscatto. Le ambientazioni sono varie, ma tutte radicate nella quotidianità di un tessuto sociale africano.

Non mancano, inoltre, le riflessioni critiche che mirano a decostruire le epistemologie coloniali che tutt’oggi attanagliano il Continente e la sua percezione in Occidente. Infatti, ad aprire la raccolta è un saggio dello scrittore kenyota Binyavanga Wainaina, “Come scrivere dell’Africa”. Wainaina tratta l’argomento con grazia e umorismo, ma anche con voce pungente e sarcastica, un vademecum al contrario: «I lettori ci rimarranno male se non citate la luce dell’Africa. E i tramonti: il tramonto africano è un must. È sempre grande e rosso. C’è sempre un grande cielo. Gli ampi spazi vuoti e la fauna sono temi cruciali: l’Africa è la Terra degli Ampi Spazi Vuoti». Questa frase “Ampi Spazi Vuoti” mi ricorda l’incontro con un serafico signore anziano trentino che mi chiese, con un certo sgomento premuroso, sui flussi migratori africani che sbarcano in Sicilia: “… ma tutta ’sta gente da dove sbuca?!”. Era una domanda innocente di un signore che ha conosciuto l’Africa probabilmente solo attraverso i racconti di Salgari e i film di Tarzan.

Tornando all’autore kenyota, egli critica proprio il modo in cui l’Occidente continua a ignorare l’Africa e a raccontarla attraverso vecchi stereotipi coloniali che si riciclano in nuove argomentazioni neocoloniali.

‘Africana” come strumento di pedagogia

Con “Africana. Raccontare il Continente al di là degli stereotipi” le due autrici non solo vogliono presentare tout court, l’Africa al di là degli stereotipi e offrire al lettore uno sguardo caleidoscopico e densissimo su come si scrive dell’Africa, sull’Africa e in Africa oggi; ma anche quello di decolonizzare lo sguardo e la mente del lettore sul Continente e modificare i suoi immaginari, che troppo spesso rimandano a un’”Africa monolitica, selvaggia e priva di identità culturale”.

“Africana” è, innanzitutto, uno strumento di decolonizzazione e di decostruzione. Uno strumento utile a comprendere e a lasciarsi stupire dalle tante Afriche che vivono dentro l'Africa: è questa la sfida di "Africana", Diciannove racconti per diciannove prospettive diverse, ciascuno incorniciato da una breve biografia delle scrittrici e scrittori intervenuti. Le ”Afriche” che raccontano gli autori vogliono essere protagoniste di sé stesse, “mostrando al mondo quanto ogni realtà africana sia unica e irripetibile” - una volta decostruiti gli stereotipi che ancora attanagliano le menti occidentali - e fornire ai lettori e alle lettrici (ma soprattutto alle scuole di ogni ordine e grado) delle lenti nuove attraverso le quali avvicinarsi a una delle realtà più vive e interessanti del panorama culturale attuale.

Lo sguardo verso il futuro

Come abbiamo visto sopra, "Africana" è una raccolta eterogenea di una polifonia di scrittura e della letteratura in tutta la sua ricchezza per temi e per stili, rivolti al futuro. Un futuro che parte dal presente degli stessi autori/autrici, figli di un Continente le cui ferite del colonialismo sono ancora tangibili. Paradossalmente, sono anche la base dalla quale queste generazioni partono per dire all’Occidente: never again! E da questo “mai più” il continente africano cerca di rialzarsi raccontando e narrando. E mostrare al mondo quanto ogni realtà africana sia unica e irripetibile. Molti degli autori sono personaggi di fama internazionale, come Achille Mbembe; le nuove generazioni di autori e scrittori emergenti e afropolitani della diaspora, le cui identità sono fluttuanti tra Occidente e il Continente africano. Da questi ultimi, in particolare, ci vengono racconti di un’Africa (e di Afriche) moderna, vitale, ironica, multiculturale, cosmopolita … meta e centro di gravità per molti occidentali e non solo.

Riepilogando, per un africano come me, leggere “Africana” è stato come reimmergersi in una vastità di sensazioni e ricordi perduti, vedere gesti quotidiani della vita africana, oppure ascoltare parole e pensieri familiari, dimenticati nel tempo. Commovente è stato tra gli altri “Centro, inizio e fine”, di Lelissa Girma, autore nato e cresciuto ad Addis Abeba che scrive in inglese e in amarico: colpisce il ritmo linguistico e la semplicità della narrazione con un messaggio socio-antropologico profondo e potente.

Dopo la lettura di “Africana” i nostri pregiudizi e post-giudizi sull’Africa non saranno più come prima: cominceremo a fare i conti con i paradigmi nuovi, i criteri di valutazione diversa dopo aver decostruito e ripensato l’eredità coloniale, i manuali di storia nelle scuole, i pregiudizi mai sopiti.

In altre parole, una proposta che non ha nulla a che vedere con l’immaginario stereotipato di una letteratura africana vittimistica e generalista che normalmente il lettore occidentale si prefigura.

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