Olivette Otele
Africani europei
Una storia mai raccontata
Einaudi, 2021
traduzione di Francesca Pe’
La storica Olivette Otele, nata in Camerun ma di educazione e cultura francese e britannica, avendo studiato e vissuto sia in Francia che in Inghilterra, rappresenta una generazione di storici nuovi, pronta ad esplorare i fenomeni di cui si occupa, con taglio interdisciplinare e intergenerazionale, accogliendo le istanze di movimenti quali il Black Lives Matter e il MeToo.
Non è facile parlare di questo libro così ricco di informazioni, di fenomeni storici studiatissimi, come la tratta atlantica, o poco noti, come la presenza africana in Europa fin dal III-I secolo a.C. Ci si perde in una congerie di storie di vita, svoltesi in Europa o in Africa occidentale, in cambi di percezione degli stessi fatti da un periodo storico all’altro, al mutare delle condizioni economiche, sociali e culturali.
Ma non è un testo caotico perché ruota intorno a idee precise che fanno da guida: l’inferiorità razziale dei neri fu sviluppata nel periodo della tratta atlantica ed ebbe il suo culmine con gli studi filosofici e scientifici del 1800; fino al XVII secolo contavano di più le differenze religiose che il colore della pelle, come per esempio nei confronti degli ebrei perseguitati fin dall’Alto Medioevo; molti paesi stentano a riconoscere nelle discriminazioni odierne dei migranti le conseguenze del colonialismo che ha lasciato, nella mentalità europea, tracce non indifferenti; molti paesi europei ancora non hanno digerito la perdita del lustro che dava possedere un impero coloniale o si crogiolano in una amnesia storica coloniale riassunta nella frase “noi non siamo razzisti, non abbiamo avuto imperi coloniali, siamo strenui difensori delle libertà civili”: tesi espressa dalla maggioranza dei paesi nordici. Dire “prima delle due guerre mondiali non circolavano neri in Europa come vediamo oggi” è un falso, dimostrato con una casistica esemplare notevole; è stato detto anche “non c’è stata una influenza dell’Africa sull’Europa, ma solo il contrario”, concetto smentito dai numerosi contatti e scambi, soprattutto all’interno del Mediterraneo.
Alcune storie narrate sono testimonianza non solo di oppressione e sfruttamento ma rappresentano un caso di resilienza in condizioni avverse, vale a dire un tentativo di riappropriarsi di un certo controllo sulle proprie vite, sia pure occupando nicchie insolite o appena accettabili dai colonialisti. Come dimostrano le storie di Juan Latino del XVI secolo (Spagna), di Jacobus Capitein (Olanda) e di Joseph Boulogne del XVIII secolo (Francia). Le loro vicende le conosciamo perché conservate all’insegna dell’eccezionalità, unica categoria per cui era possibile glorificare un nero, rispetto a una massa informe e primitiva.
Soprattutto è un testo che, attraverso le storie narrate, fa emergere un passato anche remoto di cui la maggioranza degli europei non ha la più pallida idea.
La Otele comincia col ricordare le relazioni tra i kushiti della Nubia e i Romani, le lotte per assoggettare il territorio, con le guerriere Candace (o Kandake) che cercarono di impedire l’invasione romana. Le diciture Europa e Africa per molto tempo non ebbero confini precisi.
Il termine Europa veniva usato da mercanti, soldati e studiosi per parlare dei loro viaggi in diverse aree che corrispondevano più o meno alla nostra idea di continente; il termine Africa compare con la dicitura Africa proconsularis dal 146 a.C. e si riferiva a ciò che noi denominiamo come Nordafrica.
Fino all’XI secolo territori dell’occidente latino , tra cui l’Africa nordoccidentale, la Gallia, l’Italia e la penisola iberica contenevano delle società musulmane e gli abitanti venivano identificati in base alla religione, mentre la storiografia islamica continuava ad usare connotazioni territoriali come ”romani, greci, franchi, slavi “etc. La schiavitù era presente in pressoché tutte le società. I mercanti di schiavi venivano dalle regioni più disparate: i vichinghi catturavano e vendevano irlandesi, i britannici trafficavano esseri umani con i franchi (tra cui irlandesi riottosi al predominio inglese, considerati intellettualmente inferiori e selvaggi), i veneziani esportavano ovunque abitanti dell’Europa centrale e del Caucaso, gli arabi trafficavano africani con gli europei.
Questo traffico di umanità determinò una mescolanza sia in Europa che in Africa: a Granada ben cinque sultani Nasridi erano figli di schiave cristiane; la dinastia egiziana dei mamelucchi (XIII-XVI secolo) era formata da musulmani africani bianchi di origine europea, originatasi con soldati di condizione servile, rapiti bambini e allevati nella religione musulmana. Arabi, ebrei, africani furono alla corte cosmopolita siciliana dell’imperatore Federico II nel XIII secolo, alcuni annoverati fra i suoi collaboratori più stretti.
Come si vede i confini Europa- Africa non hanno ancora barriere solide come in seguito.
E’ proprio nel XII-XIII secolo che si svilupparono leggende intorno ai santi neri, alla figura della regina di Saba e alle immagini di vergini nere. Si parte dall’importante figura di San Maurizio, soldato e ufficiale dell’impero romano a Tebe in Egitto, ( si dice fosse stato trucidato insieme al suo esercito di tebani cristiani durante le persecuzioni di Massimiano del III secolo), il cui culto dilaga dal X sec. con la dinastia germanica degli Ottoni, fino al 1500. La sua rappresentazione con i tratti africani non rappresentò un problema per nessuno, dal momento che era l’espressione dei valori comuni capaci di varcare i confini e incarnati dall’Impero romano. La chiesa valorizzava al massimo ciò che indicava i valori universali insiti nel cristianesimo e la portata mondiale del suo magistero.
Nel XVI sec. l’Europa meridionale vide la comparsa di santi e beati neri come Benedetto da Palermo e Antonio da Noto, per citarne alcuni di ambito italiano, di origine subsahariana e nordafricana. La stessa zona che aveva dato, nel passato imperiale romano, figure quali l’imperatore Settimio Severo e gli intellettuali Frontone e Apuleio: i romani di origine africana non enfatizzarono mai le loro origini, perché credevano soprattutto alla validità del modello politico-militare dell’impero universale rappresentato da Roma, ma non dimenticarono mai da dove venivano.
Certo già si discettava delle incredibili prestazioni sessuali delle donne nere o della potenza nutritiva del loro latte, superiore a quello delle donne bianche, a causa del clima: iniziava già da allora un embrione di esotizzazione del corpo dei neri, tanto più vicino alla natura, quanto più lontano dal mondo della logica e della intellettualità…
Lo spartiacque circa la considerazione dei neri è segnato dall’umanesimo e dal rinascimento, contemporaneo alle scoperte geografiche e alle prime occupazioni di avamposti commerciali sul territorio africano. Una quantità considerevole di uomini e donne provenienti dall’Africa costituirono uno status symbol nelle società sempre più opulente europee, arricchite dai traffici commerciali di ogni genere, compreso quello di esseri umani: era normale possedere un paggetto o della serventi nere, da Amsterdam a Londra, da Siviglia a Roma, Firenze, Venezia, come attestano numerose pitture di fine ‘400 e ‘500, per esempio i due bellissimi ritratti di ‘mori’ di Albrecht Durer. Nero è esotico, non è ancora il male, anche se per la chiesa, nero è il colore del diavolo: ma uno schiavo nero poteva riscattare questa nerezza malefica di tipo morale e non razziale, conducendo una vita da buon cristiano. Da qui il proliferare delle immagini di Re Magi neri, rappresentati in cortei cavallereschi; l’approccio alla chiesa etiopica e i vari concili che si susseguirono in quegli anni portarono effettivamente la presenza di persone nere. La presenza di schiavi cristiani poteva porre problemi etici alla Chiesa e a qualche proprietario più sensibile, ma la giurisprudenza e la filosofia trovavano delle scappatoie morali accettabili.
Interessante l’inserimento della storia di Alessandro de’ Medici, primo duca di Firenze, mulatto come si deduce dai ritratti, figlio di una serva africana e di un membro della famiglia, cugino del papa Medici Clemente VII; non fu tanto il suo essere originato da una donna africana a creare scandalo quanto il fatto di essere contaminato dal bassissimo rango sociale della madre. Ciò non gli impedì di raggiungere una considerevole posizione di potere.
Preoccupava tuttavia gli europei l’aumento della circolazione africana o caraibica nel continente: il teatro spagnolo cominciò a rappresentare personaggi di neri dai tratti caricaturali nel linguaggio usato, nella incultura, nel modo di mangiare o vestirsi che continuerà fino alla Mami di “Via col vento”…
Anche Shakespeare interpreta la rappresentazione negativa del suo tempo di nero=male con il personaggio di Otello nell'opera omonima e Caliban ne “La Tempesta”.
La triangolazione atlantica, le piantagioni, i commerci lucrosi, il capitalismo mercantile ormai nella sua epoca d’oro, avviato a diventare capitalismo industriale, segnano la necessità per gli europei di porre delle giustificazioni alla schiavitù, attraverso l’assunzione, per dirla alla Kipling, “del fardello dell’uomo bianco”. Insieme alla inferiorizzazione dell’altro procede il paternalismo nei confronti del povero primitivo da cristianizzare e avviare alla civiltà. Il giusnaturalismo di Grozio reca notevoli pezze d’appoggio alla difesa ad oltranza della libera circolazione delle merci, anche quelle umane.
Resta il fenomeno dell’ambiguità dell’esotismo: attrazione per i corpi neri e contemporaneamente riduzione delle donne a oggetti sessuali lascivi e dei maschi a ‘superdotati’, più vicini ai primati che agli uomini, stereotipi ancora oggi duri a morire e se ne vede l’eco nell’uso dei corpi neri nella pubblicità e nella moda.
Particolare analisi dedica l’autrice alle figure di Sarah Baartman, di etnia khoikhoi nel Sudafrica, esibita nuda come fenomeno da baraccone in fiere ed esposizioni, a causa delle natiche enormi in relazione alla bassa statura, steatopigia tipica del suo gruppo: quando non funzionò più il richiamo fu mollata dal suo impresario e si diede all’alcol e alla prostituzione. Più intrigante la figura di Jeanne Duval, la celebre amante di Baudelaire, attricetta, modella e prostituta, considerata, da molti critici, causa della vita dissoluta del poeta: la donna viveva liberamente, senza bisogno di giustificazioni, sfidando le norme sociali dell’epoca. Stupefacente è poi la storia delle signares di Gorée e Saint-Louis in Senegal e delle donne ga della Costa d’Oro. Nate da unioni di francesi, olandesi e danesi con donne locali schiave o libere, trasformarono la loro sorte di sottomesse, in libere proprietarie di case, terreni e addirittura di schiavi che davano in affitto agli europei di quegli avamposti, per i loro affari. Ciò fu possibile perché le compagnie commerciali compresero che per trattenere i loro funzionari che giungevano soli e senza famiglia dovevano dotarli di abitazioni e permettere matrimoni locali, in genere non riconosciuti nella madrepatria, con notevoli complicazioni per quanto riguarda le eredità. Un esempio di capovolgimento a loro favore di vite, altrove considerate di nessun valore: le signares ( dal termine portoghese senora) condussero esistenze favolose fino alla fine del XIX secolo, quando quei territori diventarono a tutti gli effetti colonie di paesi europei.
C’è un salto storico, nelle informazioni e considerazioni offerte ai lettori, quando si passa oltre il secolo XIX e XX, probabilmente perché su queste epoche esistono già molti lavori storici sorti un po’ in tutto il mondo e l’interesse dell’autrice si dirige subito dall’immediato dopoguerra del secondo conflitto mondiale al XXI secolo. Qual' è oggi il punto della situazione? La Otele punta direttamente ad un esame di molti paesi europei circa le discriminazioni attuali nei confronti di chi proviene dal continente africano o di chi è afrodiscendente di seconda o terza generazione: non si salva nessuno, dalla Francia all’Italia, dal Belgio alla Svezia, dalla Polonia alla Grecia, dalla Danimarca alla Finlandia, quest'ultima con un sorprendente primato di molestie razziste, secondo un rapporto U.E. del 2018. L’autrice analizza il ruolo dei movimenti americani e britannici attuali di afroamericani e afrodiscendenti europei per capire come si stanno muovendo i giovani, i quali non sono tanto interessati alle polemiche con il passato, ma alle discriminazioni come cittadini europei : non è più la generazione che chiede soltanto risarcimenti per le conseguenze del colonialismo, targhe commemorative, pubblici riconoscimenti per aver partecipato allo sviluppo dei paesi europei con il proprio lavoro o con la partecipazione ad azioni di guerra contro il nazifascismo.
In modo particolare la Otele volge lo sguardo al femminismo nero che lotta contro le discriminazioni di sempre, ma anche contro l’ottusità di certo femminismo bianco e l’ostilità dei maschi neri tradizionalisti. Nel mondo accademico non ci sono molti posti occupati da docenti neri, ai quali di solito vengono riservati ristretti ambiti etnologici più che storici; cita l’impegno di Gloria Wekker, autrice di “White Innocence”che ha cercato di smascherare l’inganno della amnesia storica. La Otele stessa rappresenta un esempio, attraverso l’assunzione della cattedra di Storia e memoria della schiavitù all’Università di Bristol.
Molte cose stanno cambiando. In Europa i giovani stanno occupando le nicchie della moda e della cosmesi, dello spettacolo e dell’arte, dello sport, dei network e della letteratura, sventolando doppie o triple appartenenze, decodificando buonismi razzisti ( il colore non esiste...) e razzismi cattivi, violenze e discriminazioni quotidiane, cercando nuovi ponti di genere e intergenerazionali, per il raggiungimento di giustizia sociale ed economica, di una rappresentanza significativa culturale e politica.