Enrico Emanuelli - Settimana nera - a cura di Habté Weldemariam

 

 

 

 

 

 

 

 Enrico Emanuelli

 Settimana nera

 Mondadori, 2021

 

 

 La letteratura, tra le sue varie e molteplici funzioni, ha il compito di analizzare, rielaborare e criticare i fatti storici che caratterizzano il nostro presente e che hanno radici profonde nel nostro passato, molto spesso macchiato di colpe che cerchiamo di nascondere a noi stessi.

Settimana nera è un romanzo, che tocca un tema insolito per la letteratura italiana: l'epoca postcoloniale. È uscito nel 1961 ed è ambientato nella Somalia degli anni cinquanta dove gli italiani, ex colonizzatori, tornarono su incarico dell’ONU con l’AFIS, l’amministrazione fiduciaria che avrebbe dovuto traghettare il Paese verso la democrazia.

Un paio di anni dopo la sua pubblicazione Giorgio Moser, regista già vicino ai temi africani, inizia a lavorare per la trasposizione cinematografica del libro col film "Violenza segreta" interpretato, tra gli altri, da Giorgio Albertazzi ed Enrico Maria Salerno. Cinico, spietato e senza mediazioni, il film è un feroce atto d’accusa nei confronti del colonialismo italiano. In particolare viene messo a nudo la falsa apparenza con il quale gli italiani hanno spesso tentato di giustificare la rapacità della loro presenza in Africa. Nel film, come nel romanzo, non c’è salvezza per nessuno. Gli italiani presenti a Mogadiscio vengono raccontati come spocchiosi che vivono in un mondo a parte e sono incapaci di dialogo costruttivo ed integrazione con le popolazioni del luogo, trattata con la stessa umanità “dei cani”, come si diceva una volta.

Emanuelli racconta la storia di un anonimo commerciante di scimmie, destinate ad uso della ricerca scientifica, a cui un concessionario di banane offre la casa di Mogadiscio con tutto quello che c’è dentro: “Hai tutto, anche la Regina (…). L’hai vista? È meglio delle tue scimmie”. Così Regina (nome usato solo dagli italiani) viene prestata come un qualunque oggetto domestico all’anonimo ospite che dà per scontato il suo diritto da padrone di servirsi della casa e dei suoi annessi.

Nel romanzo il corpo di Regina viene descritto insieme alla sua apparente remissività che crea un certo disagio all’ospite. La donna “non si concedeva al giogo maschile se non in un modo suo, distratto e insensibile… tutto naufragava nell’indifferenza perfetta, in una insensibilità che faceva pensare a un deserto”. Così il possesso di Regina non soddisfa il suo possessore: “scorgevo sul suo viso un’espressione di quasi sofferenza, quasi meraviglia, quasi delusione… Dopo il volto tornava tranquillo e ancora assente, come tranquillo e assente era il suo corpo, che pure mi concedeva”.

È in questo tragico incontro tra desiderio di possesso e mancata adesione, che si delinea metaforicamente il complesso rapporto tra dominante e dominato, tra bianchi e neri in colonia, e il dispositivo meccanico di violenza nei rapporti uomo-donna che continua a replicarsi ancora oggi nella vita quotidiana e negli annunci pubblicitari dell’Italia postcoloniale . Se Settimana nera è un romanzo fortemente simbolico, Regina è la metafora vivente del rapporto, anche fuori e oltre il tempo della colonia. Il forzato rapporto sessuale, non consenziente ma in qualche modo “dovuto” per lo statuto di potere che caratterizza il padrone bianco in colonia, porta all’annientamento del corpo e della stessa volontà della donna che si presta al ruolo a lei attribuito con indifferenza e non partecipazione, rifiutando un qualsiasi coinvolgimento emotivo.

Tutto nel romanzo di Emanuelli richiama la continuità della vita quotidiana dell’Amministrazione fiduciaria per la Somalia con la colonia fascista che l’ha preceduta: dagli spazi separati di vita, al bar di Francescone con le sue “ragazze” addestrate/ammaestrate, a quelli simbolici (la casa dell’ex-Fascio, l’Albergo Croce del Sud) fino ai luoghi dei dialoghi demenziali tra italiani e somali, con i verbi coniugati all’infinito (Lui: “Io non essere padrone, essere amico”; Lei: “Abdì essere amico, tu essere padrone… Tu comandare”). Il personaggio di Regina, nome artificiale come il ruolo a lei attribuito, riassume l’incapacità dell’Italia nel periodo dell’Amministrazione fiduciaria di cogliere il soffocante potere dell’uomo bianco non ancora uscito dall’orbita coloniale. Insomma, diversi modi di violenza e non più esplicita e sanguinosa come in Tempo di uccidere di Flaiano, ma sempre presente quale eredità del fascista. In Flaiano l'abuso sessuale e l'uccisione della donna rientravano nel più ampio contesto della prevaricazione del colonizzatore bianco sull'Africa e i suoi abitanti. La violenza contro la donna si fa violenza contro l’Africa, è “stupro della donna e dell’Africa da parte del maschio bianco e colonizzatore”. (1)

Il romanzo in questione, come a suo tempo quello di Flaiano, è visto come un'opera, sicuramente non inneggiante al colonialismo, ancora legata ad una visione eurocentrica, in cui tutti gli eventi sono filtrati dal punto di vista del protagonista e narratore, maschio bianco europeo.  Entrambi però esprimono l’universo di vuoto e il senso di colpa che attanagliano i loro personaggi, in un paesaggio di desolazione in cui gli africani sono ridotti a oggetto sessuale e di violenza.

Va osservato, in ogni modo che, mentre Tempo di uccidere è un romanzo ambientato in pieno clima di guerra, in un tempo dove la prevaricazione e lo sfruttamento erano fenomeni comuni, Settimana nera si svolge nell’epoca della decolonizzazione. Ed è proprio questo permanere di situazioni di violenza e sfruttamento a costituire il tema centrale del libro di Emanuelli.

Nella sua bellissima introduzione al libro, la scrittrice Igiaba Scego sottolinea l’importanza dell’operazione di riscoperta fatta con Settimana nera in questo momento storico dove, scrittori e studiosi, soprattutto donne, stanno rimettendo mano al rimosso coloniale, anche su questo lato oscuro della pagina di storia coloniale italiana che si è voluto dimenticare.

(1) Tempo di uccidere è oggi considerato il romanzo fondamentale per la questione coloniale e postcoloniale nella letteratura italiana del Novecento, la prima opera ad aver proposto un'interpretazione critica e non più retorica dell'avventura coloniale italiana negli anni Trenta.

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