Annalena Benini
Annalena
Einaudi, 2023
Parlando di Annalena Tonelli, uccisa a sessant’anni nel 2003 a Borama in Somalia , la regione africana che frequentava insieme al Kenya soccorrendo gli ultimi del mondo, viene spontaneo pensare ad altri italiani che si sono spesi e ancora si spendono in prima persona per la vicinanza a chi soffre ed è emarginato: persone come Eugenio Melandri, Gino Strada, Alex Zanotelli solo per citarne alcuni, ma ve ne sono molti altri che in silenzio, nell’anonimato, offrono il loro sostegno nelle zone più martoriate del continente. La storia italiana ci insegna che ci sono stati profittatori, speculatori, colonialisti in determinate epoche in Africa (in maniera approfondita specialmente negli ultimi anni si parla del rimosso coloniale italiano, a giusta ragione ) ma dobbiamo fare memoria anche di queste grandi anime. Nella rivista dei saveriani di cui Eugenio Melandri faceva parte, si è parlato della figura del missionario, cambiata negli ultimi trent’anni: lo scopo non è più in primis l’evangelizzazione, anzi in alcuni casi c’è solo l’assistenza medica e spirituale rispettando le credenze dei poveri che vengono accolti. Annalena Tonelli era così. Profondamente credente, cattolica ma aperta all’altro senza imposizioni o tentativi forzati di evangelizzazione.
L’autrice di questo libro, ( anche lei con lo stesso nome e cugina di terzo grado di Annalena), ha compiuto un vero viaggio dentro se stessa nella testimonianza accorata su una cugina che non ha avuto il privilegio di conoscere ma che attraverso gli incontri con suoi parenti e amici ha potuto avvicinare e comprendere.
Il racconto inizia con le vicende in prima persona della scrittrice ( giornalista e autrice di romanzi) descrivendo la sua malattia e il contesto familiare con un bambino di pochi mesi . Dopo una brutta polmonite che ha resettato la sua vita ristabilendo le giuste priorità, di ritorno dall’ospedale nasce in lei il desiderio di trovare delle consonanze con Annalena, va a fondo nell’indagare la spinta che Annalena ha sentito verso l’assoluto: dedicare la sua vita ai poveri dell’Africa. Scopre come lei di provare un grande senso di inadeguatezza di fronte al mondo, ammira l’essenzialità delle sue scelte, la sua sobrietà. Quando Annalena arrivava per una breve vacanza in Italia per visitare la madre a Forlì, manteneva le stesse usanze contratte in Africa: dormire per terra su una stuoia e solo quattro ore per notte, alimentarsi poco, pregare, leggere. Poi ritornava alla base in Africa, dove la raggiungevano le mail dei parenti che descrivevano le loro vacanze lussureggianti e lei con un certo disagio doveva comunicare loro che non era interessata a certi discorsi.
Il discorso prioritario era non se stessa,” io sono nessuno””, ma i poveri, gli altri. Mai soddisfatta tuttavia, sempre sapendo che poteva fare di più, che non bastava mai. Veramente una lezione evangelica incarnata totalmente “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10) .
Del tutto libera per gli altri
Chi era Annalena prima di arrivare in Africa e donare tutta se stessa ai poveri di quella sperduta regione al confine tra Somalia a Kenya? Una ragazza degli anni ‘60, bella, studiosa, intelligente. Il pensiero di tre grandi donne, Simone Weil, Etty Hillesum e Virginia Woolf la accompagna nella sua gioventù e anche oltre mentre sta per lasciare la sua terra e seguire la sua vocazione in Africa. Inforcando la sua bicicletta per le strade di Forlì, si dirigeva verso il Casermone, un luogo di raduno dei diseredati, la sua bidonville ( prima era stato convento di clausura, poi caserma militare e infine ricovero di sfollati e senzatetto) per prestare aiuto e portare soccorso; inoltre raccoglieva stracci e carta per venderli e finanziare progetti a favore dei poveri, creando le basi del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo, tuttora operante. Oggi l’ex Casermone è la sede della Direzione didattica provinciale e luogo di convegni e concerti.
Annalena non aveva mai pensato a un amore suo e a una sua famiglia rifuggendo fin da ragazza dai suoi corteggiatori : “ se io riversassi tutto il mio amore e la mia forza su una persona sola la distruggerei”. Le donne cercano sempre qualcos’altro fuori da se stesse, predisposte allo sbilanciamento del centro di gravità che si sposta in altro, afferma l’autrice.
Arriva in Africa nel 1969 , felice di essere stata inviata a Wajir nel nord-est del Kenya a 100 km dal confine con la Somalia, un quartiere pericoloso, abitato da nomadi poverissimi. Nel 1984 viene espulsa dal Kenya dopo essere stata rapinata, picchiata, minacciata di morte. Riprende poi la sua attività per circa venti anni finché la notizia del suo operato arriva in Vaticano dove verrà invitata e terrà un discorso il 30 novembre 2001, ma rimane delusa e pentita di avervi partecipato. Fuori dal contesto africano avvertiva l’incapacità da parte degli altri di comprendere, di essere sensibili ai problemi dei poveri.
Scriveva nelle sue ultime lettere “sono un agnello al macello ogni giorno”: i fondamentalisti islamici volevano eliminarla prima screditandola, poi infangandola e infine uccidendola. Aveva avuto la colpa di essere donna, sola, quindi non sposata, di combattere l’infibulazione nelle bambine, di dare cure e istruzione ai poveri.
Annalena conservò il Diario di Etty Hillesum tra i suoi libri più cari, come lei ripeteva spesso “nessuno può farmi davvero del male” ed Etty queste parole le disse poco prima di salire sul treno che la stava portando ad Auschwitz.
Si dedica molto alla scrittura nelle notti africane che la tengono sveglia sotto la scarsa luce di cui dispone. Gran parte di quegli scritti confluiscono in tre volumi che l’autrice di questo racconto ha letto e meditato; lì è raccontata la sua vita in Africa dal 1969 al 2003, una vita impegnata costruendo scuole, ospedali, curando e crescendo i bambini ( due erano suoi figli adottivi e si può dire che inaugurò l’affido prima che entrasse in vigore legalmente), aiutando le giovani madri, dando dignità alla morte occupandosi delle sepolture .
Viene sottolineato che Annalena “non ha mai voluto catechizzare o insegnare il cristianesimo ai musulmani. Ha aperto scuole coraniche, scuole per sordi, scuole per imparare a leggere e scrivere”. L’autrice si sente impossibilitata a seguire il suo esempio e riesce solo a provare ammirazione per Annalena. La definisce un incendio di umanità e di intelligenza . Annalena non voleva essere chiamata missionaria, odiava quando la chiamavano così; rifuggiva dai giornalisti e dalle interviste che riteneva una gran perdita di tempo. Giovanissima aveva letto già tutto Gandhi e Charles de Foucauld, quindi accostandola al loro pensiero ed escludendo la definizione di missionaria, suora, laica ( oggi termine abusato), si può giusto dire che la sua fu “una vita di donna quasi mistica”. Chiunque la incontrasse rimaneva sconvolto e spesso affermava essere stato quello l’incontro fondamentale della sua vita. E anche per la Benini alla fine si rivela un incontro d’amore con una cugina in realtà mai incontrata dal vivo….
Questo prezioso documento curato da Annalena Benini ha il pregio, oltre a restituirci una meravigliosa figura di donna, di riportare alla luce figure femminili straordinarie come Simone Weil , Etty Hillesum, Hannah Arendt, Virginia Woolf, Emily Dickinson trovando il filo che le unisce ad Annalena.
Una strana coincidenza, sottolinea l’autrice, è che sia Simone Weil che Hetty Hillesum siano morte nel 1943, anno di nascita di Annalena Tonelli. Così, la strada in salita percorsa da lei ci appare come una strada non solitaria, tracciata nel ‘900 insieme ad altre donne per la costruzione di un mondo migliore. Lei era una donna di grande fede ma il punto poi non è nemmeno Dio. In una paradossale espressione, Annalena ha detto “Se anche Dio non esistesse, non cambia l’amore”.