Bernardine Evaristo - Ragazza, donna, altro - a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

 Bernardine Evaristo

 Ragazza, donna, altro

 Edizioni BigSur, 2020

 traduzione di Martina Testa

 

 

Docente universitaria, scrittrice di romanzi, poetessa e drammaturga, londinese di origine nigeriana, vince a sessanta anni, nel 2019, il prestigioso premio Booker Prize ex-aequo con la canadese Margaret Atwood. Alcuni scrittori britannici di origine asiatica o antillana avevano vinto il premio, ma è la prima volta che accade per uno scrittore di discendenza africana, di grande valore simbolico in un momento in cui, nel mondo, si è riacceso il dibattito sui neri e sulla loro posizione nelle società dove si trovano a vivere.

Si tratta di un romanzo molto particolare nella forma e nei contenuti. Si deve alla splendida traduzione di Martina Testa se le specificità letterarie dell’opera in inglese sono state mantenute: infatti il testo si presenta nella forma di una sorta di prosa poetica, impaginata proprio come i versi di una poesia, con punti di contatto però con monologhi teatrali, in cui i protagonisti comunicano le realtà più intime o al lettore o ad altri personaggi del testo, a volte senza una punteggiatura guida. Flusso di coscienza? Qualcuno lo ha detto, ma sembra più avere parentela con le caratteristiche dell’oralità. Sicuramente l’esperienza teatrale sperimentale dell’autrice, negli anni ‘80, ha influito molto sulla scelta della forma. La Evaristo aveva fondato una compagnia teatrale di sole donne nere, comprensiva anche delle mansioni tecniche e manageriali, esibendosi in improbabili palcoscenici di periferia su tematiche femministe. E a proposito di teatro in fondo al romanzo non manca un colpo di scena, vero coup de theatre, che rimescola le vite di due personaggi.

Proprio l’attività teatrale offre la cornice in cui compaiono molti dei personaggi principali nella prima parte del romanzo e alla fine, nell’after-party.  L’occasione è data dalla prima teatrale, al National Theatre di Londra, de “ L’ultima amazzone del Dahomey” della  drammaturga Amma, che dopo anni di gavetta in teatri secondari, snobbati dalla critica, ha avuto accesso a un luogo che conta, offrendo uno spettacolo trasgressivo su una parte di storia africana completamente sconosciuta al pubblico. I vari personaggi legati da parentele, amicizie vecchie e nuove o da incontri casuali, si ritrovano nel party dopo teatro per scambiarsi opinioni su ciò che hanno visto in scena ma anche per rivelarsi cose che non si sono mai dette.

Il romanzo si divide in 5 parti, ognuna distinta dal nome di 3 donne, ma comprensiva di altri numerosi personaggi che attraversano le loro  vite. Nella prima parte conosciamo Amma, sua figlia Yazz e Dominique, ormai stabilitasi da tempo negli Usa, cofondatrice del vecchio gruppo teatrale del passato, formato in gran parte da donne nere e lesbiche.

Siamo grati a Igiaba Scego che in una interessantissima intervista alla Evaristo suggerisce di farci una mappa dei personaggi e dei loro legami, altrimenti si rischia di continuare a scorrere avanti e indietro le pagine allo scopo di individuare “dove diavolo avevamo già sentito quel nome”.Un romanzo polifonico, in ogni senso. La varietà delle tipologie umane rappresentate non vuole offrirci una casistica psicologica, ma alludere alla complessità piena di contraddizioni della società inglese, e probabilmente europea.

Non ci sono solo donne, ma anche uomini, transgender, altro...come suggerisce il titolo del testo  che si pone contro tutte le etichettature possibili: e non c’è solo l’ambiente, diremmo noi, dei radical-chic londinesi, dei fricchettoni di sempre, dei sopravvissuti dell’epoca politica frizzante e trasgressiva di più di trent’anni prima, legati a schemi mentali e culturali che non esistono più, come l’amico Sylvester. C’è tutta la rievocazione degli anni’80, delle occupazioni di stabili, in cui produrre cultura e sperimentare tutte le convivenze ideologiche e di stili di vita possibili e immaginabili: rivoluzionari, hippies, omosessuali, femministe radicali, ambientalisti e altro ancora…e un fiume di alcol e droga.

Troviamo ancora nel romanzo giovani generazioni di afrodiscendenti che utilizzano tutta la tecnologia web possibile, in lotta contro madri e  padri, convinti che siano stati questi genitori a consegnare loro un’Inghilterra, in cui i giovani si arrabattano tra i debiti contratti per l’università, una competizione feroce sul lavoro, affitti sempre più alti che impongono una tardiva coabitazione con la famiglia, una Brexit che taglierà le ali per volare, un’Europa sempre più consegnata ai sovranismi e ai fascismi. Senza contare l’aver guardato all’esempio politico di un Trump che ha abbassato, a livello mondiale, definitivamente, il livello intellettuale e morale dei politici.

Gli adolescenti e i giovani del testo hanno l’ingenuità, ma anche la forza etica alla Greta Thunberg. Non ne possono più di padri e madri geniali che si perdono ancora dietro droga e alcol, di  lavori e carriere inseguiti a scapito dei rapporti umani dentro e fuori la famiglia: ma ancora non riescono a distinguere le loro adesioni a movimenti e idee dalla fascinazione del trendy, degli influencer che pontificano su tutto nel web, della ricorrente voglia di essere contro per acquisire una identità purchessia, ma diversa da quella dei genitori.

Yazz, la figlia di Amma è nata da una decisione della donna di provare l’esperienza della maternità: lei lesbica e senza  relazione stabile mai con nessuna donna si rivolge ad un amico gay che dona il suo sperma per concepirla. Questa figlia avrà un padre e una madre che però non possono garantire di pensare a lei sempre, dato che sono immersi nella lotta per capire chi sono, cosa vogliono fare e come raggiungere il successo che si aspettano dalle loro attività. Lei è una madre forse distratta ma divertente che dà alla figlia un’educazione anticonformista e libertaria. Lui, Roland, in coppia con Curwen è un narcisista e intellettuale di punta rispettato da tutti ma non da Yazz, che ne vede da sempre i difetti. I due genitori la amano teneramente e diventano apprensivi non appena raggiunge la soglia dell’adolescenza. Naturalmente la ragazza ha una quantità incredibile di madrine e padrini, che compaiono tra i vari personaggi, disposti ad occuparsi di lei, a cui Yazz si mostra affezionata lungo l’arco della sua vita. Maternità e maternage svolgono un ruolo molto importante nelle diverse storie: abbondano  ritratti di madri permissive e apprensive, aggressive e invidiose, ottuse e traditrici, nate in Africa o in Inghilterra, conservatrici e progressiste.

Yazz è presentata con il suo trio di amiche del college: Nenet, una ricca ragazza egiziana di una famiglia compromessa con Mubarak e scappata all’estero, la somala Waris, tutta sesso prematrimoniale ma fedele al suo hijab per una rivendicazione identitaria dopo l’11 settembre  e Courtney, la bianca campagnola del Suffolk  che non se la fa tanto coi neri, ma resta irretita dal fascino delle canzoni egiziane e della danza del ventre; discutono di femminismo, di islamismo, di differenze sociali e sono incuriosite da uno sconvolgente Megan- Morgan. Lui è un influencer  straseguito  da migliaia di followers, nata femmina in una psiche maschile, che teorizza la possibilità di essere contemporaneamente tutti i generi possibili, senza accedere a  trasformazioni chirurgiche definitive. Si parla molto di corpi in questo testo: corpi accettati grassi o magri o modellati faticosamente, rifiutati e mascherati da abbigliamenti improbabili.

Megan-Morgan sembra un intellettuale improvvisato e incolto che tuttavia ha le sue idee precise sulla vita di Londra e delle zone di campagna, su una città che corre all’infinito, tutta business e City, inseguendo sempre qualcosa che la rende  più caotica e incomprensibile  mentre c’è  una provincia periferica che mantiene ancora tratti di solidarietà e cordialità. Naturalmente il rovescio della medaglia è che Londra resta il centro della mescolanza delle etnie, della modernità, della cultura e della coabitazione di idee diverse; la provincia, soprattutto del Nord, immersa in una crisi economica agricola e mineraria da cui non si risolleva mai, si configura come il luogo dei pregiudizi e degli  “Inglesi prima di tutto”, contrari a qualsiasi cosa possa far perdere quel po’ di privilegi rimasti ad un ex-impero. Ceti operai, tanto cari al regista Ken Loach, passano dai labouristi all’Uikp, compiendo un salto impensabile fino a qualche tempo fa.

E poi, nel testo troviamo tutte le storie delle prime generazioni di immigrati, dove padri e madri si sono spezzati le ossa in lavori defatiganti e con orari impossibili per permettere ai figli di diventare dei britannici a tutti gli effetti, salvo poi lamentarsi  delle figlie- che non vogliono sposarsi con un bravo marito nigeriano o  ghanese ma con chi sta bene a loro - e dei figli che in generale se ne infischiano di seguire tradizioni culturali del paese d’origine, comprese quelle gastronomiche.

Esemplare è la storia di Bummi e Carole: il distacco diventa totale tra una madre, laureata in matematica in Nigeria, costretta da una vedovanza a lavori umili in Inghilterra per il bene della figlia Carole, che ad un certo punto della sua adolescenza difficile, decide di intraprendere una strada che faccia dimenticare agli altri la sua faccia nera e la provenienza dai suburbia degradati e maleodoranti. Conquista un lavoro prestigioso in una finanziaria, va a vivere in un appartamento all’ultima moda, fa un matrimonio con un bianco ricco e accondiscendente; la madre è perplessa dai cambiamenti operati dalla figlia, ma quando questa sta per cedere  per le difficoltà incontrate strada facendo,  furiosamente la rimbrotta: “secondo te, io e papà siamo venuti qui dalla Nigeria solo per vedere nostra figlia rinunciare alle sue opportunità e finire a distribuire salviette di carta nei bagni dei locali o nelle arene da concerto in cambio di quattro spicci di mancia?...” Ma non si rende conto delle conseguenze che comporta un atteggiamento del genere.

Sherley, vecchia compagna di scuola di Amma,( amiche nella diversità più totale di carattere e di scelte di vita) e Penelope, una sudafricana bianca, conservatrice e reazionaria, sono state entrambe insegnanti di alcune donne presenti nelle storie. E’ l’occasione per l’autrice di riflettere sulla scuola, sulle riforme americaneggianti  che l’hanno burocratizzata in test e formulari, snaturandone la funzione più autenticamente educativa, sulle condizioni delle famiglie socialmente svantaggiate, all’origine di gang di adolescenti che proliferano a Londra. Shirley e Penelope, da ‘sinistra’ e da ‘destra’, per così dire, partite da opposti modi di pensare, finiscono per convergere su una idea di scuola che è stata distrutta ma aveva rappresentato la ricchezza del futuro della nazione.

Un altro tema che emerge è quello identitario, ma alla maniera nuova dei tempi di oggi: quello già messo in campo dal libro “Afropei” di Johny Pitts. Questo giovane fotografo e conduttore televisivo  dichiara, in una sua inchiesta tra i giovani neri d’Europa, che questi vogliono avere la possibilità di vivere in  e con due concetti diversi, Africa e Europa, senza sentirsi misti, mezzo questo e mezzo quello, contribuendo alla formazione di una identità europea oggi in crisi e fortemente oscillante, e vogliono reclamare il diritto di non sentirsi stranieri nella propria patria. Perché essere britannici e non vedere riconosciuto il contributo offerto è una contraddizione dolorosa da cui si cerca di uscire per non esserne schiacciati.

Come si vede c’è molta carne al fuoco ( 520 pagine) che scorre sotto i nostri occhi, ma senza acrimonia o fumosità intellettuale: i personaggi offrono al lettore un’analisi acuta della società inglese che riguarda anche gran parte dei paesi europei. Crisi della famiglia, della scuola, della politica, un nuovo modo emergente di considerare le disuguaglianze sociali e le diversità, senza rinchiudersi nei ghetti delle identità, etnica, di genere, sociale, di categorie.  Anche, in qualche modo, un nuovo concetto di solidarietà attraverso pratiche trasversali inclusive, piuttosto che il concentrarsi su ciò che ci unisce contro qualcun altro. Questi personaggi si pongono e ci pongono delle domande, essenziali per il futuro delle nostre società.

Un testo esplosivo che ha già avuto molta eco e in cui scorgiamo le stesse idee delle giovani italiane di origine africana che abbiamo recensito nel nostro sito: vuol dire che l’Europa si appresta veramente ad un cambiamento.’ Black lives matter’ e ‘metoo’ stanno mutando la sensibilità dell’opinione pubblica e la Evaristo non polemizza troppo con il femminismo glamour supportato dalla moda e dalla pubblicità di alcune femministe attuali: dopotutto i tempi sono cambiati dai ritratti orrendi delle femministe tracciati dai media negli anni’70-’80 che hanno tenuto lontano molte donne dal seguire la strada delle lotte per i pieni diritti femminili.

Bernardine Evaristo dà un ritratto a tutto tondo di personaggi e situazioni, cercando soprattutto di far capire cosa c’è dietro certi atteggiamenti negativi. Nessuno è interamente buono ed esente da pecche e contraddizioni.

Il suo premio non è stato solo simbolico, lo ha messo a disposizione per una concreta, encomiabile azione: il progetto Black Britain con la casa editrice Penguin, in cui si procederà, sotto la sua supervisione, alla riedizione di autori di origine africano-caraibica ormai dimenticati e fuori catalogo.

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