Effimera libertà
Amilca Ismael
Youcanprint Self-Publishing, 2014
Questo piccolo libro autoprodotto , il terzo pubblicato dalla scrittrice italo-mozambicana, ci sorprende per la crudezza del linguaggio e delle immagini, rispetto ai testi precedenti. Ma è la storia stessa narrata che probabilmente ha indotto l’autrice ad alzare il tono e ad inasprire lo stile: rimangono,però ,le sue incantevoli espressioni liriche con cui descrive la natura del suo paese. Come per esempio” Il sole sbuca tra foglia e foglia , è un lemure dorato, è un ragno di fuoco che tesse complicate ragnatele d’ombre”o “il sudore della mia gente se lo porta il fiume millenario che rotola placido e limpido sulla ghiaia, facendo un rumore ossuto e sgranato come se mescolasse diamanti dietro ad un secchio”.
Ma non c’è posto per il lirismo in questa storia : siamo di fronte ad una giovane africana di 24 anni, Ruth, che muore a causa di un aborto clandestino, abbandonata sulla soglia di un ospedale torinese. Mentre i medici tentano disperatamente di salvarla si svolge il suo ultimo intimo colloquio con Dio, con sua madre, con i suoi aguzzini e ripercorre, in una sorta di onirico allucinato flashback, le fasi salienti della sua breve vita, soprattutto gli ultimi sordidi e disperati 10 anni .
Il testo si apre e si chiude in modo circolare tramite la stessa scena, con un inizio spettacolarmente drammatico e una fine a suo modo cupamente serena: muore sperando di restare “nell’ombra di costoro che mi hanno ingannata e distrutta, come due occhi che inchiodano, come una coscienza che non tace.”
L’autrice si è ispirata ad una fatto di cronaca reale di cui sono pieni i nostri giornali: ragazze africane attirate da una promessa di studio o lavoro, che finiscono preda di bande criminali, capitanate anche da uomini e donne della buona borghesia, sotto il mantello di organizzazioni umanitarie.
I sogni di una adolescente quattordicenne vengono umiliati e stravolti: dal piccolo villaggio sperduto approda ad una splendida villa fuori Milano, dove una ‘brava coppia’ la tiene rinchiusa in una prigione dorata, in cui apprende a vestirsi, le buone maniere dell’alta società, ad usare aggeggi ad alta tecnologia. Viene levigata, profumata, depilata, invitante come un prodotto costoso. Non c’è ombra di scuola d’italiano o di rapporti umani, come aveva fino all’ultimo sperato,solo una desolata solitudine in cui viene fiaccata la sua volontà.
Sarà con il trasferimento a Torino a casa di una maitresse d’alto bordo che compirà la sua educazione alla prostituzione, comprenderà il suo destino e avverrà la vendita all’asta della sua verginità. La descrizione dei membri di questa società corrotta e amorale, composta di medici e avvocati, deputati e uomini d’affari, tutti di gran nome, rivela l’intento di forte denuncia dell’autrice, da sempre impegnata nei diritti delle donne in Europa come in Africa.
Negli incubi della giovane Ruth compaiono sempre il padre-gnu e la madre rinsecchita e sottomessa, pronta a diventare un cespuglio di spine: la figura del padre violento e autoritario, qui dipinto con i tratti bestiali di questo animale della savana, l’abbiamo già incontrato nei testi di Amilca Ismael: la rappresentazione in queste pagine raggiunge un livello espressionistico deformante molto efficace. Dunque, il padre l’ha venduta per un po’ di benessere ad un trafficante pedofilo che sprizza “aiuti umanitari occidentali” da tutti i pori. Dice del padre–gnu:”Nel latte stesso con cui sua madre l’ha ingrassato c’era la consapevolezza di essere preda: l’opportunismo gli scorre nel sangue, la paura di stare al mondo gli aziona muscoli e riflessi e gli dice cosa va fatto”.
Non è bastato l’amore della madre a salvare Ruth, dal corpo snello e dai grandi occhi verdi, anche lei ha creduto o ha finto di credere alla favola della bambina che diventa principessa o comunque si è percepita troppo debole per opporsi al marito.
Nulla sarà risparmiato alla ragazza in questi 10 anni, cambierà di maitresse, perché il morbo di Alzheimer coglie la sua prima ‘madame’ torinese, cocainomane e alcolizzata, di cui apprende solo alla fine la drammatica storia e conoscerà la consolazione di Iris, un trans brasiliano cui è stata affidata dopo l’uscita di senno della donna.”La verità è che la mia anima è rivestita da un burqa invisibile che di colpo è diventato troppo pesante da portare”, così si confessa la ragazza, allo stremo delle sue forze. Non è solo di aborto che muore.
Un racconto duro e commovente che l’autrice dedica a Laura Prati, la sindaca di Cardano al Campo,in provincia di Varese, uccisa da un ex-vigile urbano corrotto che lei aveva denunciato: nel corso della sua attività si era spesa molto per un centro contro la violenza e lo sfruttamento delle donne. In fondo al testo viene anche riportata una lettera del figlio Massimo Poliseno scritta alla madre , per ringraziarla del suo impegno e della sua testimonianza di una politica pulita, in mezzo a tanto sfacelo.