Francesco Filippi
Noi però gli abbiamo fatto le strade.
Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie
Bollati Boringhieri 2021
In questo saggio lo storico italiano Francesco Filippi ripercorre la storia coloniale italiana, concentrandosi principalmente sulle conseguenze che essa ha avuto nella coscienza degli italiani.
Nei suoi lavori recenti l’autore si è occupato di analizzare l'impatto della storia nella sua percezione e diffusione come memoria storica. Nel 2019 pubblica il saggio “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo”, in cui vengono analizzate e smontate le principali bufale sul fascismo che persistono nell'immaginario collettivo italiano. Divenuto poi ben presto un caso letterario, il libro avrà risonanza internazionale.
Sull’onda del best seller, l’autore ora affronta, con piglio polemico ma aderente ai fatti, le vicende dell’impresa coloniale italiana e sulle conseguenze che ha avuto nella coscienza civile della nazione, attraverso la propaganda, la letteratura e la cultura popolare. L’intento è quello di fare i conti con il passato per comprendere meglio il presente e costruire il futuro. Si tratta quindi di un secondo tassello della vasta opera di ricostruzione della memoria nazionale che dovrebbe avere inizio prima di tutto con lo sfatare il mito di “italiani brava gente” nelle sue infinite varianti.
Il sottotitolo del libro poi dà subito un indizio: “Le colonie italiane tra bugie, razzismi e amnesie”. L’autore indaga le ricadute che tutto ciò ha avuto e continua ad avere nella società italiana. Ed è questa la sfida posta al centro dell’opera dello studioso che ribadisce come affrontare il passato del Paese in quanto dominatore e invasore e contribuire ad un approccio cosciente ai problemi dell’alterità oggi: dall’immigrazione al rapporto con le altre culture, dalle norme sul diritto d’asilo a quelle sulla cittadinanza, fino alla quotidiana percezione dell’altro nelle vite di ognuno di noi.
Il passato coloniale: rimozione o tradimento?
La storia del colonialismo italiano viene ricordata dagli Italiani solo per le cose ‘buone’ che sono state realizzate in nome della ‘missione civilizzatrice’, ma continua ad essere latitante nella memoria pubblica del Paese. Perché? Come mai il razzismo, i crimini di guerra e le violenze contro le popolazioni locali sono poco presenti nei manuali di storia? Eppure ancora molti monumenti, vie e strade dedicate a personaggi ed eventi legati alle imprese dell’oltremare sono presenti nelle città Italiane. E come fare i conti con questi imbarazzanti segni di memoria?.
Quando in Italia si parla dell'eredità coloniale dell'Europa, si punta il dito sull'imperialismo della Gran Bretagna o su quello della Francia, ma si dimentica volentieri di citare il proprio. Questo, benché il colonialismo italiano sia stato probabilmente il fenomeno di più lunga durata della storia nazionale italiana stessa. Il colonialismo in Italia rappresenta il trait d’union che tiene assieme le tre epoche: liberale, fascista e un buon tratto della Repubblica nel dopoguerra, con chiare ricadute successive, fino a oggi. E per tutta l’esperienza coloniale, si trova una continuità di intenti, di brutalità, di mentalità, in cui il fascismo, su cui si scaricano spesso le maggiori responsabilità, non fu in realtà che un tassello.
Uno dei motivi è che nella repubblica democratica resistenziale c’è stata una totale assenza di consapevolezza di che cosa abbia rappresentato il fenomeno coloniale. Anche per questo l’analisi puntuale dell’autore di "Noi però gli abbiamo fatto le strade" è senza dubbio la narrazione del silenzio. La volontà dell’oblio. Se in un dibattito pubblico affermassimo che l’Italia ha avuto in gestione una colonia fino al 1960, molti spalancherebbero gli occhi. Se chiedessimo che cosa rappresenta Debre Libanos (uno dei più grave crimini di guerra dell’Italia) molti abbasserebbero lo sguardo. Imbarazzo? Forse, ma non più di tanto.
Il libro non solo ricostruisce la storia dell’impatto coloniale italiano, ma ne indaga anche i residui lasciati nella coscienza pubblica nazionale. E ci dimostra che nessuna strada potrà mai “compensare i massacri, la cancellazione di intere culture, la perdita di indipendenza di milioni di persone”. L’amnesia è tale che a ogni sbarco di clandestini ci si chiede perché vengano in Italia, si glissa sul fatto che siamo stati e siamo un popolo di emigranti e che di conti aperti, ovunque siamo stati, ne abbiamo sempre lasciati. In definitiva, ciò che ne viene fuori è un denso ed agevole saggio, capace di aprire uno squarcio sulla “più clamorosa amnesia nazionale”.
E man mano che ci si addentra nel testo si scopre che quello che si è sempre detto è pensato rispetto al passato coloniale italiano era troppo semplice e sostanzialmente correlato al sentito dire e non ai fatti. Attraverso una serie di episodi, l’autore illustra quanto, da una parte, la presa di coscienza degli italiani sulle proprie responsabilità nelle colonie sia stata bypassata dalla perdita in guerra dell’Italia e, quindi, dalla mancata partecipazione al travagliato percorso della decolonizzazione ; dall’altra mostra come quasi un secolo di colonialismo abbia in realtà profondamente influenzato l’immaginario nazionale, plasmando la visione dell’altro. Come dire, una volta perse, le colonie non si narrano più o al massimo si ricostruiscono attraverso gli stereotipi con cui erano sempre state raccontate. Viviamo così in una totale assenza di consapevolezza tra luoghi comuni e bugie, razzismo e retorica, che finiscono per rafforzare alcune conoscenze stereotipate, per cancellarne e dimenticarne altre. Questa responsabilità storica insabbiata, queste riflessioni mancate, hanno pesanti ricadute sul nostro vivere oggi in una società multietnica e multiculturale.
Per concludere. Sono passati quasi 90 anni, ma nella memoria comune italiana sembrano non avere lasciato traccia, come del resto tutto il passato coloniale italiano, tralasciando le meritorie ricostruzioni storiche di Angelo Del Boca.
L’elaborazione collettiva del passato coloniale Italiano stenta a decollare. A volte, quando il tema fa timidamente capolino nella “public history” (discorso pubblico), viene regolarmente edulcorato e ricompare subito l’eterno mito auto-assolutorio degli italiani brava gente, i colonizzatori buoni, persino alieni al razzismo.
Per fortuna, le ultime generazioni italiane continuano a sforzarsi, a rendersi conto, dell'importanza del passato, costruendo la propria esistenza in modo che il loro passato venga ricordato e tramandato nel presente e nel futuro. Se questa impressione è valida, assume ancora più senso e importanza il cosiddetto discorso pubblico, come prospettiva per il futuro.
Nel 2006 alla Camera dei deputati fu presentato un progetto di legge recante il seguente titolo: Istituzione del “Giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante l’occupazione coloniale italiana”. Nel preambolo della proposta di legge si riconosce l’importanza della strage e la si definisce come “giornata simbolo in memoria delle migliaia di civili africani etiopici, eritrei, libici e somali, morti nel corso delle conquiste coloniali”. La legge non è andata in porto però la giunta capitolina, nel 2022, ha voluto istituire una giornata della memoria con diversi interventi che rispecchino gli intenti della stessa proposta.