Gli angeli muoiono delle nostre ferite - di Yasmina Khadra (a cura di Giulia De Martino)

Algeria

 Lo scrittore algerino dallo pseudonimo femminile, vive ormai da anni a Parigi, ma non cessa di ambientare la maggior parte dei suoi romanzi in Algeria, regalandoci delle visioni molto crude del suo paese durante il terrorismo e dopo.

In questo testo siamo trasportati però nella Orano degli anni ’20-’30, dunque durante il colonialismo francese, con la  storia del giovane Turambo che da povero straccione campagnolo diventa una stella della boxe francese.

Confessiamo che, durante la lettura, nonostante le descrizioni di una Orano splendente di luci e colori, noi abbiamo vissuto la storia in bianco e nero come in certi film di Marcel Carné sul pugilato o in quelli neorealistici di Vittorio De Sica del genere Sciuscià o Ladri di biciclette. E le impressioni non finiscono qui: il testo si legge tutto d’un fiato come le grandi e commoventi storie dei trovatelli di dickensiana memoria e parliamo di un volume  di più di 400 pagine!

L’autore, narrando l’adolescenza del protagonista, ci offre una spaventosa descrizione della miseria delle zone rurali, di una vita fatta di stenti fame e ignoranza, senz’altra consolazione di una provvida morte che liberi la gente dalle sue sventure.

 Turambo non è il nome del ragazzo( solo quasi nel finale il lettore apprenderà il suo vero nome) bensì la deformazione di quello di un oscuro villaggio che  qualche colto colono, provvisto di un insano senso dell’umorismo, aveva dedicato ad Arthur Rimbaud, Turambo per l’orecchio arabo. Ma il paese Turambo scompare presto nella storia, spazzato via da un terremoto che costringe la famiglia del protagonista a rifugiarsi a Graba, estrema periferia di Sidi Bel Abbes: siamo nei primi anni ’20, il nostro ragazzo ha 12-13 anni circa ed entra in contatto, per la prima volta con un mondo mai neanche lontanamente immaginato: la città dei coloni con tutte le modernità e le novità, i tram e le carrozze, le donne sbracciate e senza velo, case con le porte e con bellissimi giardini. La meraviglia si raddoppierà quando si trasferirà ad Orano, città di mare, ricca di etnie e di locali, di ricchi e di prostitute, di quartieri malfamati e splendide zone paradisiache. Nel testo ci sono splendide descrizioni della città con una grande ricchezza di particolari, resi con gli appellativi di allora, ora mutati. Qui i vecchi  abitanti della città non vedono di buon’occhio i campagnoli giunti dall’entroterra con un carico di povertà più grande ancora di quella che già alberga nei quartieri tradizionali.

 La sua famiglia sconta l’assenza di un padre tornato ‘matto’ dalla prima guerra mondiale e non  più in grado di provvedere alla famiglia: ciò renderà capofamiglia lo zio quindicenne che dovrà sfamare la madre e la sorella malata di lei, più la giovane cugina.

Anche il nostro deve darsi da fare: ma che cosa possono  offrire le città ad un ragazzino arabo analfabeta?Lustrascarpe, tuttofare in qualche negozio per un pugno di soldi, scaricatore: comunque servire il colono e sottostare alle angherie, anche se si tratta di bambini francesi già precocemente imbevuti di pregiudizi e di potere.

 Ma Turambo, a Graba,  conosce anche grandi periodi di ozio in cui si diverte a monellerie di ogni genere insieme ai suoi amici, che servono via via a formarne il carattere e a scoprire la potenza del suo pugno micidiale.

 A Medina el-Jadida, rione di Orano,dove approda la famiglia sul finire degli anni ’20, Turambo conosce una povertà diversa: non più quella della discarica a cielo aperto che era Graba , ma la miseria dignitosa dei cittadini, che affogano la tristezza nelle decine di locali che offrono musica per tutti i gusti. L’autore ci offre una interessante rassegna del groviglio etnico-musicale della Orano di allora, ancora multietnica e multiculturale.

Sarà la delusione amorosa per sua cugina Nora, che viene data in sposa ad un ricco possidente in cerca di carne fresca, a  dare una svolta alla sua vita: ecco per lui il mondo duro del pugilato, la conoscenza carnale con la prostituta Aida, che si offrirà inutilmente di sposare, la grande passione con Irene, una francese d’Algeria, figlia di un pugile finito sulla sedia a rotelle. Una città, Orano, due amori, un amico del cuore, un ebreo franco-italiano, Gino, che diventerà suo manager.

Stranamente il giovane Turambo, mano a mano che cresce la sua carriera pugilistica sembra non essere attratto dal denaro e dai vantaggi della sua posizione: soffre per il razzismo cui vede comunque sottoposto se stesso e la sua gente, senza però saper elaborare tutto questo. Resta estraneo ai movimenti di studenti e intellettuali che cominciano a riflettere sul da farsi, non ama la politica, è concentrato solo su se stesso e sul suo desiderio di riscatto.

L’autore immagina un incontro con il leader nazionalista moderato Ferhat Abbas che cerca di spiegargli l’importanza delle sue vittorie nella boxe: un popolo, quando sarà libero, perché lo sarà, deve poter contare su eroi e idoli locali per cominciare a formare la sua nuova storia. Il giovane non comprende neanche di cosa stia parlando.

La riprova della sua ottusità alla comprensione del mondo che lo circonda è nel seguito della storia che qui non possiamo rivelare perché costruita su più colpi di scena, secondo una tecnica narrativa tradizionale e ben collaudata, a partire dall’inizio del romanzo.

Il romanzo di formazione è dunque monco: è duro e puro, il nostro eroe,  ma non cresce adeguatamente, non è in grado di affrontare con una prospettiva nuova la vita e resta in balia degli eventi in luogo di imparare a governarli. E questi finiranno per travolgerlo.

Fa venire in mente il destino della gioventù algerina successiva alla liberazione: i giovani,immersi in un processo che non ha avuto modo di svolgersi compiutamente, si sono consegnati a forze oscure che non hanno saputo contenere. Non so se fosse nelle intenzioni dell’autore questa metafora, ma a noi la lettura l’ha suggerita.

E il lettore, si sa, scrive il testo insieme al suo autore…

 

 

 

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