Kamel Daoud
Il caso Meursault
Bompiani, 2015
Traduzione di Yasmina Melaouah
Prima di parlarvi di questo testo, vorremmo ricordarvi che di questo autore abbiamo recensito nel 2013 il libro di racconti “La prefazione del negro” che annuncia molti temi presenti ne”Il caso Mersault”. Soprattutto la riflessione su cosa voglia dire oggi essere algerino e sul perché un popolo che ha combattuto tanto per la libertà si presenta al mondo depresso e legato ad un concetto di religione totalizzante, disposto a seguire i precetti più idioti dell’islamismo radicale pur di credere in qualcosa che lo tenga fuori dal vuoto della delusione politica e sociale post Indipendenza.
Ma il motivo per cui il libro, che, questo anno, ha vinto il Prix Goncourt du premier roman ha destato enorme scalpore in tutto il mondo in cui è stato tradotto è sicuramente un altro ; il titolo originale ce lo svela :“ Meursault, contre-enquete” si riferisce al processo Meursault contenuto nel testo “Lo Straniero” di Albert Camus e ne rovescia il punto di vista. Protagonista non è più il pied noir che uccide senza motivo un arabo su una spiaggia assolata, al quale si fa un processo che vede i giudici francesi ( siamo negli anni ’40, in piena colonizzazione) più impressionati dal fatto che l’imputato sia rimasto indifferente al funerale della madre che dai cinque colpi sparati su un essere umano di cui si sa soltanto che è un arabo senza nome, senza volto, senza storia. Del resto così diceva Edward Said degli arabi “esseri senza nome che servono da sfondo alla grandezza metafisica europea che Camus esplora”.
Il protagonista è Haroun, fratello di Moussa, l’arabo ucciso, che finalmente ha un nome e un cognome, una famiglia, un quartiere, una madre,un lavoro, una vita, insomma. Il testo si configura come un contraltare del romanzo di Camus, spesso citando fedelmente l’autore francese, talvolta istituendo analogie, talvolta riprendendo situazioni o presentando delle opposizioni. A cominciare dall’incipit camusiano “oggi mia madre è morta”rovesciato nell’incipit di Daoud “oggi mamma è ancora viva”. E se nel testo di Camus molto spazio è dato al sole e al caldo, quasi che questi avessero condotto il francese all’omicidio, rivelando in pieno l’assurdo e la casualità della vita, qui molti capitoli terminano con la notte, la luna e le stelle, perché il terribile segreto custodito da Haroun è notturno, sotto la luna è avvenuta una pretesa ( e poi disconfermata) libertà dai fantasmi e un pareggiamento dei conti, tramite l’omicidio di un francese qualunque, voluto soprattutto dalla terribile madre, all’indomani del ‘cessate il fuoco’ del ’62. Fino all’interrogatorio di Haroun da parte di un giovane ufficiale del Fronte di liberazione nazionale circa l’omicidio di un colono francese: i cavilli e le giustificazioni del militare somigliano terribilmente alle elucubrazioni dei giudici del processo Meursault. Se Haroun avesse ucciso prima del 5 luglio, del cessate il fuoco cioè, sarebbe un eroe,se fosse stato un partigiano sarebbe meritevole di medaglia, ma dopo , a rigor di termini , sarebbe solo un assassino, quasi che l’atto dell’uccidere cambiasse di segno a seconda dell’orario, conclude il protagonista, che comunque viene rilasciato. Nella confusione e concitazione di quei tempi è comunque meglio un colono morto ammazzato che un algerino in carcere, per di più impiegato del catasto,utile perciò per la ricostruzione.
Ma il lettore non apprende tutto ciò cronologicamente: la vicenda si svolge in un bar di Orano, dove il vecchio Haroun , in preda ai suoi fantasmi e ai suoi pensieri, tra un bicchiere di vino e l’altro, va avanti e indietro con la storia,colloquiando con un giovane universitario innamorato di Camus e deciso a intervistare, dopo tanti anni, il fratello dell’arabo ucciso, faticosamente rintracciato a partire da trafiletti di giornale, per trarne , si presume una tesi.
Colloquiare è una espressione inappropriata, dal momento che Haroun in realtà soliloquia, avendo per testimoni il giovane, un cameriere cabila che forse neanche lo capisce e un altro avventore che si rivela essere un sordomuto. Se vogliamo la situazione di Haroun cita direttamente un altro celebre testo di Camus, “La caduta”, a detta dell’autore, l’opera camusiana da lui più amata, dove si svolge una analoga confessione da parte di un giudice in un caffè di Amsterdam, volta ad esprimere la mancanza di senso da assegnare alle vicende umane, colte nello smarrimento della caduta dei valori, dopo la seconda guerra mondiale.
In questi incontri il lettore capisce quanto sia stata dura la vita di Haroun, destinato dalla madre ad essere il nuovo corpo del morto: ne indossa gli abiti e accompagna la madre, fin dai suoi sette anni, nei vagabondaggi in tutta Algeri, per sapere qualcosa di più sul figlio morto, perché il suo corpo non sia stato trovato, chi era veramente il suo assassino, perché le autorità prima francesi, poi algerine non abbiano mai voluto credere veramente alla storia e non vogliono accettare come martire il figlio ucciso. Il ragazzo cresce all’ombra di un morto e di una madre, assetata di vendetta, che nega la sua infanzia e la sua individualità. Il figlio sopravvissuto,timido e ombroso, asociale e quasi disadattato, a differenza del fratello maggiore, va alla scuola dei francesi e si appropria della loro lingua, perché sarà in questo modo che potrà dare voce e volto all’arabo indistinto di Camus.
Perché come gli algerini presero le case abbandonate dai coloni in fuga dopo il ’62, così anche la lingua è un bene vacante, di cui ci si è legittimamente appropriati, così rivela l’autore che scrive i suoi testi in francese e non in arabo.
Ma la lingua di Kamel Daoud non è una vendetta politica, ormai i conti con il colonialismo sono chiusi, né un processo a Camus o una specie di regolamento di conti a livello letterario. Basti pensare che il nostro autore si è fatto promotore di una richiesta di riportare in Algeria i resti di Camus, sottolineando quanto deve essere stato duro per lui “essere figlio di un luogo che non ti ha messo al mondo”.
L’autore mescola volutamente i dati della biografia di Albert Camus, la sua infanzia povera, la sua filosofia dell’assurdo, i successi dei romanzi, il Nobel incassato negli anni’50 con quelli del personaggio Meursault, che immagina ad un certo punto, tutt’altro che condannato a morte, ma uscito dal carcere, pronto a far carriera sulla pelle di suo fratello, attraverso il successo del romanzo che ne narra la vicenda.
In realtà, il protagonista, con sulla coscienza l’uccisione di un francese, legge ossessivamente il “libro”, così viene chiamato in tutta la storia “Lo straniero”, cercando le tracce del fratello ritrova invece il suo riflesso, scoprendosi sosia dell’assassino Meursault.
Hanno amato, forse, entrambi, una Marie o una Meriem, che li hanno sollevati per un istante dal vuoto del mondo, ma sono destinati a vivere senza amore. Kamel Daoud riprende le risposte degli altri romanzi di Camus: senza solidarietà, senza un autentico senso dell’altro, c’è solo un assurdo senza senso.
C’è una divergenza sulla città più amata: all’amore sviscerato di Camus per Algeri e dintorni, il vecchio Haroun sostituisce quello, venato di odio e amore tradito, per la città di Orano, luogo di nascita e di riferimento di Kamel Daoud.
Per questo è così arrabbiato con gli algerini di oggi,che indugiano in comportamenti insensati e lugubri, amando la morte e non la gioia di vivere, impossibilitati a superare una inpasse nazionale, nata dalla disillusione post-resistenziale e nutrita da una religiosità mortuaria. Nel testo c’è uno sproloquio sulla bruttezza del venerdi islamico, parallelo a quello di Meursault sulla domenica degli ipocriti che ce la dice lunga sull’atteggiamento di Kamel Daoud nei confronti della religione, anzi di tutte le religioni.
Come si vede un libro complesso,colto e raffinato, ricco di rimandi al testo di Camus, che mescola collere liriche con sferzanti annotazioni di costume sulla società algerina, con l’amore ambiguo e l’ammirazione per lo straordinario figlio spurio dell’Algeria che è stato lo scrittore francese.
Tutti gli algerini, comuni cittadini o intellettuali e artisti che siano prima o poi impattano su Camus, diventato ormai una specie di monumento nazionale in negativo o in positivo. Leggasi a questo proposito un altro romanzo, uscito nel 2013 di Hamid Grine, “Camus nel narghilè”, da noi recensito, per rendersene conto.
D’ora in poi sarà impossibile leggere “Lo straniero” senza sfogliare “Il caso Meursault”.