Il salto dello scorpione di Jorge Canifa Alves - (a cura di Rosella Clavari)

Il salto dello scorpione di Jorge Canifa Alves

autoproduzione, 2014
Cromografica Roma srl
Gruppo editoriale L'Espresso spa

Le prime impressioni a caldo suscitate dalla lettura di questo romanzo sono riferite al rapporto del corpo con la natura, la terra e il cielo e la donna amata  nello sfidare le barriere del tempo; il tutto dà un po' la sensazione di un magma ribollente in cui convivono la dimensione onirica “strettamente collegata alla realtà” e le mutazioni temporali; ciò soddisfa quella dimensione cosmica, comunitaria e divina del poeta  di cui parla  Davide Turoldo, e per divina intendiamo, nel caso del nostro autore,  mitologica: Mercurio, le costellazioni, i numerosi richiami letterari.  Tuttavia un romanzo “scritto nell'arco di trentaquattro, trentacinque anni”  merita di essere letto e riletto, meditato prima di pretendere di capirlo...

Armando Gnisci nel presentare quest'opera di Canifa ( la sesta in ordine di tempo) ha sottolineato il suo saper rapportarsi col mondo attraverso la letteratura, caratteristica questa degli scrittori di seconda generazione dalla doppia appartenenza afro-italiana; e ha aggiunto che sono pochi gli scrittori europei in grado di rapportarsi col mondo.  Jorge Canifa, nato a Capoverde e sempre vissuto in Italia ha scoperto le sue  origini letterarie africane circa 20 anni fa, avvicinandosi al nostro gruppo di Scritti d'Africa e successivamente coltivando la passione della scrittura accanto a quella della poesia e del teatro. Ora dobbiamo ricordare che in area lusofona (Angola, Capoverde, Mozambico) si manifesta più che in altre aree questa vicinanza della poesia al romanzo e al teatro; pensiamo al grande poeta José Craiveirinha che ha saputo fare della sua affascinante poesia uno strumento di denuncia sociale oltre che un manifesto di pace e di amore.
Per quanto riguarda il genere, anche nel romanzo di Canifa troviamo priviligiato quello onirico e a volte surreale che riscontriamo in autori come Mia Couto e José Eduardo Agualusa.

Partiamo dalla trama che troviamo riassunta con ironia dall'autore stesso a pag.155; la storia è “quella di un pazzo che parlava da solo con un presunto dio latino, il dio delle poste; che aveva passato la vita intera ad aspettare qualcuno che non avrebbe, forse, mai più incontrato; che aveva subito una metamorfosi fisica; che leggeva cose inesistenti o inediti; che scriveva poesie che regalava, poi al vento; che conduceva treni virtuali all'interno della sua mente; che aveva abbandonato tutto per inseguire un sogno; che era saltato dentro la Costellazione dello Scorpione; che era rimasto incastrato dentro gli occhi di una walchiria”.
Sono i ricordi del protagonista a partire dal 1975 e quando, ragazzino, incontra nella casa dei nonni paterni a Capoverde la donna della sua vita e dei suoi sogni, Jolanda; proprio a Capoverde, terra natale, evocata nel racconto apparentemente modesto, in realtà stupendo, “Frammento di cielo”.

La storia si snoda attraverso 10 racconti binari  che scorrono paralleli come i binari del treno, un luogo frequente. Il treno degli spostamenti continui, dei distacchi affettivi. I vagoni sono quelli attraversati nei suoi viaggi e sono tutti legati tra loro: in ognuno, entrando si scopre un mondo legato a un ricordo, a uno spaccato di vita, a un incontro trasformante. I racconti sono introdotti da poesie, canzoni, citazioni scelte tra gli autori più amati e famosi di varie generazioni.


Lì dove indulge al protagonismo e all'ossessione del ricordo personale convince forse meno che nella descrizioni di ambienti dove lo scrittore, da eterno viandante, entra in empatia con la vita dei migranti :  ne “L'isola di Badu”, il sogno infranto di un emigrato senegalese vittima di un'incursione della polizia nella sua casa , ne “Il mio campo”, cronistoria in un campo rom, in “Un pranzo di Natale clandestino”, dove un ragazzo salvato dalla morte in Mozambico ed emigrato in Occidente, allestisce un pranzo di Natale dietro la stazione, per quelle persone sole che come lui hanno lasciato la propria terra.
“Roma capoverdiana... 2005 d.C.” in particolare parla delle donne capoverdiane venute in Italia trent'anni fa  a lavorare e delle nuove generazioni; parla con amore di questa comunità tra le più antiche presenti nel territorio romano e delle mutazioni osservate nei suoi conterranei: da allegre api operaie a farfalle vanitose, divise dentro tra il “voler partire e il voler restare”.
I primi racconti sono una chiara denuncia antirazzista in forma poetica  : “Se non stai buono chiamo l'uomo bianco”,  “Il bambino e l'arcobaleno”.
Anche la lingua segue questo processo di immedesimazione entrando in frammenti nei luoghi geografici di appartenenza attraversati, dall'Italia alla Spagna, dal Kenya al Brasile, fino al Giappone.
Il romanzo si fa progressivamente un viaggio nel tempo per vincere le barriere del tempo (il protagonista da vecchissimo ritorna d'un tratto giovane) ; un viaggio nel mondo per vincere le barriere del mondo.  C'è anche un'accusa di omicidio rivolta al protagonista e il colpo di scena finale che scombinerà di nuovo la modalità e temporalità dei racconti. E' un po' come assistere in figura, dopo la visione di una costellazione e al suo salto (“lo scorpione mi aveva punto nell'anima”) a un vortice che risucchia tutto per poter riprendere poi da dove si era partiti. Infatti l'ultimo titolo visibile nell'ultima pagina è il titolo stesso del libro: tocca riprendere di nuovo il viaggio, tornare a leggere, ad alta voce, senza declamare, la lettura retto tono fatta con rispetto e amore è altamente evocativa. 
 

 Lo sguardo del poeta si volge allo Scorpione  che - alla stregua di Pegaso divenuto da cavallo, costellazione-  da animale della terra foriero di veleno è divenuto costellazione luminosa. Vorrebbe proprio quel poeta dire il cielo con la terra, vedere quello Scorpione fare il salto e divenire da sogno realtà.  “Dire il cielo con la terra”, da Dante in poi è l'operazione meravigliosa di ogni poeta e quella che persegue fin dai suoi esordi Canifa, consapevole della valenza di denuncia del male sociale inscritta nel codice poetico.
 
 
  
 
 

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