MARIKANA
Il Sudafrica e la fine del sogno arcobaleno
A cura di Raphael D’Abdon
Aviani & Aviani, 2015
IL SALUTO DEI 36 COLPI DI PISTOLA
“ E’ stata legittima difesa” – Polizia.
“ E’ stata la polizia” –Sindacato.
“ Sono stati gli scioperanti” –Lonmin (n.d.r. è il nome della proprietà della miniera)
Nulla, hanno detto i minatori morti.
Afurakan T. Mohare
Questa volta faremo partecipare i nostri lettori ad un evento : la pubblicazione in italiano di una antologia di testi poetici , articoli e brevi saggi ( in originale Marikana. A Moment in Time, edito nel 2013 dalla casa editrice Geko) che ha un duplice scopo :il primo è far conoscere al pubblico italiano come le uccisioni di 36 minatori neri di una miniera di platino in uno sciopero spontaneo al di fuori di sigle sindacali riconosciute ,il 16 agosto 2012, a Marikana da parte della polizia ( nera in gran parte) abbiano definitivamente influito sulla messa in crisi del sogno arcobaleno del Sudafrica. Il secondo, promosso dall’Associazione di Udine “Time for Africa”, che ha fortemente voluto la traduzione del testo, è la raccolta di fondi, attraverso la diffusione e vendita del libro, per realizzare strutture sportive e culturali , nell’unica scuola presente in questa zona ,con lo scopo di favorire l’inclusione sociale dei giovani attraverso l’arte e lo sport.
Il progetto di aiuto alla comunità di Marikana dopo i tragici eventi prende forma a Johannesburg come reazione spontanea di molti artisti e intellettuali, soprattutto gravitanti nell’orbita della rivista BKO Magazine che riunisce molti artisti “underground”, pittori, poeti, musicisti, fotografi , scrittori , giornalisti, giovani blogger, fortemente indignati per i fatti accaduti e già molto impegnati a proporre rappresentazioni di fatti politici e sociali attuali senza peli sulla lingua, cercando di scuotere le coscienze dalle rassicuranti informazioni governative e dalle edulcorate pagine di molti giornali sudafricani e non, circa l’ attuale situazione in Sudafrica.
Non post- apertheid, come si suole dire, ma neo-apertheid, vale a dire una nuova colonizzazione a partire da quelle stesse strutture economiche e di potere bianche sudafricane e globalizzate che non hanno mai cessato di esistere e funzionare e che si sono allargate quel tanto che è servito ad inglobare una rampante minoritaria borghesia nera che si è ingrassata sulla pelle del resto del paese che è restato al palo, anzi è precipitato ancora più giù, alimentando una spirale di violenza.
Questo emerge dai testi poetici e dalle numerose e variegate analisi, tra cui ci piace segnalare quella del prof. Pietro Basso,per noi italiani molto particolareggiata ed esplicativa di una situazione complessa che altrimenti ci sfuggirebbe.
Non più neri contro bianchi ma neri contro coloured (meticci e orientali), etnia contro etnia, neri nativi contro emigrati da altri paesi africani, sani contro affetti da Aids, uomini contro donne, cittadini urbanizzati e colti contro campagnoli ignoranti e superstiziosi.
Veniamo introdotti a questa tematica da una pluralità di voci in cui spesso vengono scambiati i ruoli comunicativi: ci troviamo, talvolta, di fronte a testi poetici che narrano o spiegano, analizzano e commentano e ad articoli e saggi che grondano emotività ed immagini . Una mescolanza che prende al cervello , al cuore, alle viscere.
Non sono solo testi di sudafricani ma anche di altri 4 paesi, tra cui l’Italia e anche lo stesso studioso italiano Raphael D’Abdon, curatore dell’antologia ha contribuito con una poesia, dal momento che vive e lavora a Pretoria, a stretto contatto con molti di questi artisti e con la rivista BKO.
Nei giorni successivi all’incredibile massacro sui social media si incrociavano due diversi modi di vedere e sentire, oserei dire ‘generazionali’.
Da un lato giovani, giovanissimi poeti e attivisti sudafricani schierati contro gli ex- combattenti anti-apertheid, ormai scollati dal resto del paese e completamente asserviti ad un concetto di economia liberale e globalizzata, rinunciando a qualsiasi ipotesi di giustizia sociale, difensori degli interessi delle multinazionali in nome del progresso e dello sviluppo economico. Ma dello sviluppo di chi? Non certo delle masse del paese, che vivacchiano, in gran parte con modesti sussidi governativi. Quei minatori a Marikana chiedevano solo più salario per una vita dignitosa per sé e le proprie famiglie.
I militanti e sostenitori dell’ANC sono stati buoni a distruggere l’ordine politico, ma si sono dimostrati incapaci di costruire un futuro per tutti,una più equa redistribuzione del reddito. In molti degli articoli si sottolinea come non si siano messe al centro dell’economia le persone, ma la difesa dei beni e degli interessi di pochi. Minatori e poliziotti ,con paghe di fame anch’essi, si sono combattuti per qualcosa che non era in loro possesso. Non è questa la riconciliazione che ci si aspettava.
A Marikana
Il ventre molle
denudato
del nostro arcobaleno
giace fatto a pezzi
Moribondo
nei proiettili
nel terrore
nella vergogna
Jeannie Mc Keown
Dall’altro lato intellettuali della vecchia guardia, attivisti sudafricani e di tutto il mondo che hanno sostenuto le lotte degli anni ’60, ’70,’80 e che restano inermi e ciechi di fronte alle dinamiche politiche e sociali attuali, in nome di una fedeltà a Mandela e a tutta la compagnia dei grandi miti antirazzisti. Si ostinano a interpretare la situazione con parametri obsoleti e superati dagli eventi.
Marikana non è un fatto isolato , è solo il terminale di una lunga striscia di sangue, violenze e soprusi, commessi da governanti e sindacalisti non in grado di affrontare le nuove situazioni o peggio adagiati nei propri privilegi e non disposti a cedere la raggiunta fetta di potere. Il nostro sindacato è all’ingrasso
Più di un milione guadagna il burocrate del padrone
Culo e camicia con la conf-miniere
Allan Kolski Horwitz
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Che giorni bui
quando ex combattenti
per la libertà sorseggiano Champagne
e mangiano la torta
e badano ai loro dividendi
e discutono della loro fortuna
e se ne fottono
delle vite
dei loro fratelli che
succhiano dal suolo ( Gillian Schutte )
L’intervista di Valentina Acava Mmaka, scrittrice italiana naturalizzata sudafricana, a Raphael D’Abdon chiarisce meglio il legame della parola scritta, come luogo di riflessione e strumento di denuncia e le lotte del passato e del presente in Sudafrica.
Alle spalle c’è una lunga tradizione poetica orale xhosa e zulu, soprattutto, alla base della “protest poetry” degli anni della lotta anti-apertheid, la cui declamazione avveniva in luoghi pubblici a rischio e pericolo di autori e ascoltatori.
Ma, oggi, nelle strade delle maggiori città del Sudafrica, domina la “spoken word”(letteralmente parole parlate), un genere che ha molti punti di contatto con il genere rap e la “poetry slam”(cioè le gare di poesia), spesso accompagnata dalla musica e con una trasformazione degli autori in veri e propri performer. Nascendo “sulla strada” necessariamente si confronta con le ingiustizie quotidiane e con i drammi che assillano molte comunità .
I testi poetici presenti qui sono connessi con questa forma di resistenza e lotta popolare, soprattutto perché non si ferma a piangere sulla fine del sogno arcobaleno, ma indica la speranza che i giovani, che non hanno partecipato alle lotte dei padri riusciranno a trovare i modi per riscattare, ancora una volta, il popolo sudafricano dalle nuove catene. La battaglia è appena iniziata
Sarà vinta solamente in massa
Quando ognuno di noi ammetterà
Che vogliamo essere dalla stessa parte ( Sarah Godsell )
Sono uniti poeti e intellettuali del vecchio fronte anti-apertheid come Ari Sitas e Pitika Ntuli e giovani artisti sulla cresta dell’onda quali Napo Masheane, Philippa Yaa de Villiers e Afurakan T.Mohare. Per il pubblico italiano, non particolarmente addentro alle correnti poetiche sudafricane contemporanee, una vera sorpresa.
A noi ha emozionato molto, speriamo tocchi anche voi.