José Luandino Vieira, Di fiumi anziani e guerriglieri
I. Il libro dei fiumi
Traduzione di Daniele Petruccioli
Albatros, 2010
Si parla di acque, di fiumi e di mare: le parole scorrono con l'impeto di un liquido inarrestabile, ora incandescente come lava, ora inaridito e disseccato, ora mosso da venti impetuosi e gonfiato da piogge torrenziali.Le parole di acqua servono a far percepire tutto un mondo ribollente di trasformazione:l'Angola durante le lotte contro i colonialisti portoghesi, quelle degli antichi re e quelle dei moderni guerriglieri, passato e presente.
Pressoché impossibile riassumere una qualsiasi trama, che deve farsi largo tra diversi piani temporali ed emergere dai ricordi del protagonista che rievoca il momento fondamentale della sua vita:l'unione alla guerriglia che muterà il ragazzo Kapapa nel combattente Kene Vua.
Inseguito da un gommone di militari dell'esercito portoghese là dove il fiume Kwanza incontra il mare, il giovane Kapapa, a pesca con la sua canoa,insospettisce i soldati e accortosi di essere nel mirino delle loro armi, si lancia in una fuga disperata.Perde la canoa ormai piena d'acqua e risale il fiume lasciandosi andare alla corrente, la mano stretta al suo lunga, l'amuleto regalatogli dal nonno a 7 anni, sentendo però che la sua ora non è ancora arrivata e che deve compiere qualcosa di valore.Arriva a un campo base di guerriglia, dopo aver sottratto ai fusileiros, durante una sosta in una isoletta sabbiosa per riposare, il gommone che lo salverà, consegnandolo ad una nuova fase della vita.
Durante questa fuga tra acque, foreste e mangrovie, tra uccelli, pesci, veri e immaginari, fantasmi del passato di guerre mitiche e antichi commerci, accompagnato da spiriti di re e regine, di guerrieri leggendari, l'autore inserisce squarci d'infanzia e anticipazioni di eventi futuri che accadranno durante la vita di guerriglia del protagonista.
Un testo complesso di uno scrittore poco conosciuto in Italia, portoghese di nascita, angolano di adozione, dopo la partecipazione alla lotta anticoloniale, finora scarsamente tradotto, soprattutto per il terrore di affrontare la traduzione del suo linguaggio:una sfida alla pazienza di doversi raccapezzare tra diversi modeli linguistici.”Lo scrittore sembra voler lacerare la lingua per poi ricostruirne i brandelli fino a creare una forma nuova che del modello non è il simulacro bensì il prolungamento creativo...un corpus linguistico sovversivo rispetto al 'padrao coloniale'...un vastissimo serbatoio fornito dalla cosiddetta 'lingua etnica'ma anche dal socioletto urbano di periferia e ovviamente da quel portoghese lingua viaggiatrice, esportata in Africa nel Cinquecento e arricchita nel tempo di localismi...un'evidente trasgressione nei confronti della norma grazie alla presenza costante dell'oralità, al frequente ricorso al kimbundu”(dalla prefazione di Roberto Francavilla).
Gli episodi narrati si riferiscono all'infanzia passata quasi tutta sull'imbarcazione Ndalagando di capitan Lopo Gavinho de Caminha, il “sor maestro mio di cabotaggio”, un portoghese ormai lontano da tempo dal mondo europeo, arrostito dal sole angolano, incartapecorito dal salmastro tanto da sembrare un po' africano.
Il padre di Kapapa, Kimongua Paka, timoniere, contende al capitano l'educazione del ragazzo: i due si disputano le credenze da insegnare, le lingue in cui esprimersi, compreso un po' di latino con cui capitan Lopo ama infarcire i suoi discorsi; si mettono in discussione gli orizzonti verso cui tendere. Ma il ragazzo, che ben presto apprende a tener testa al vecchio lupo di mare, ne conserverà un ricordo bellissimo e saprà far fruttare i suoi insegnamenti, che avranno la stessa importanza di quelli di suo padre. Sarà la pazienza del serpente che attende di cambiar pelle insegnatagli da Lopo a fargli capire come sopravvivere nella sua brutta avventura in acqua.
Su tutti però vince suo nonno Kinhoka Nzaji, simbolo del legame con l'indomito passato mitico, il sostrato cui fare ricorso nel momento della lotta.Servirà a ricordare le frequenti ribellioni dei Dembos che occupavano l'area del bacino del fiume Kwanza e che hanno ingaggiato sfide guerriere memorabili con i portoghesi fino al XX secolo.Tutte queste figure parentali lo fanno riflettere sul concetto di libertà:Kapapa sceglierà la libertà più pericolosa, quella del fuoco che brucia.Gliela offre il suo gruppo di guerriglia, la nuova famiglia in cui completerà la sua maturazione.
La fiducia assoluta che ripone in Ndiki Ndia, il comandante del gruppo e nel commissario politico Celestino Mbaxi non impediscono però al giovane di provare un profondo malessere di fronte a certe decisioni drastiche: Kene Vua viene scelto per impiccare nel folto della foresta l'ex-compagno Amba-Tuloza, che il tribunale rivoluzionario condanna per furto ai danni di beni del popolo, in pratica si era appropriato di una balla di roba sottratta ai portoghesi dal gruppo di guerriglieri. I dubbi del giovane sulla decisione di uccidere un geniere assai bravo con una condanna spropositata rispetto al reato, sembrano alludere ai futuri sviluppi della guerra civile, così come quando pensa alla sorte toccata ad altri compagni successivamente al '77. Cercherà a lungo di aggiustare la sua coscienza, “ho compiuto il mio dovere”, ma si rende conto che niente e nessuno lo salverà da quello strano disagio che si porterà appresso per tutta la vita.
“Ho visto fiumi.
Fiumi primevi, primigeni, ante nati del mondo, limacciosi torrenti di
sangue disumano
nelle vene degli uomini
L'anima mia scorre profonda come le acque di questi fiumi.
Ma nella guerra civile della mia vita, io, nero, mi misi a pensare:troppi fiumi, alcuni li ho visti, altri sentiti, mi sono bagnato almeno due volte in quelle stesse acque”.
Un libro geniale e impossibile, grande non solo nella sperimentalità del linguaggio, ma anche nelle immagini e nella struttura stessa del testo.
Pressoché impossibile riassumere una qualsiasi trama, che deve farsi largo tra diversi piani temporali ed emergere dai ricordi del protagonista che rievoca il momento fondamentale della sua vita:l'unione alla guerriglia che muterà il ragazzo Kapapa nel combattente Kene Vua.
Inseguito da un gommone di militari dell'esercito portoghese là dove il fiume Kwanza incontra il mare, il giovane Kapapa, a pesca con la sua canoa,insospettisce i soldati e accortosi di essere nel mirino delle loro armi, si lancia in una fuga disperata.Perde la canoa ormai piena d'acqua e risale il fiume lasciandosi andare alla corrente, la mano stretta al suo lunga, l'amuleto regalatogli dal nonno a 7 anni, sentendo però che la sua ora non è ancora arrivata e che deve compiere qualcosa di valore.Arriva a un campo base di guerriglia, dopo aver sottratto ai fusileiros, durante una sosta in una isoletta sabbiosa per riposare, il gommone che lo salverà, consegnandolo ad una nuova fase della vita.
Durante questa fuga tra acque, foreste e mangrovie, tra uccelli, pesci, veri e immaginari, fantasmi del passato di guerre mitiche e antichi commerci, accompagnato da spiriti di re e regine, di guerrieri leggendari, l'autore inserisce squarci d'infanzia e anticipazioni di eventi futuri che accadranno durante la vita di guerriglia del protagonista.
Un testo complesso di uno scrittore poco conosciuto in Italia, portoghese di nascita, angolano di adozione, dopo la partecipazione alla lotta anticoloniale, finora scarsamente tradotto, soprattutto per il terrore di affrontare la traduzione del suo linguaggio:una sfida alla pazienza di doversi raccapezzare tra diversi modeli linguistici.”Lo scrittore sembra voler lacerare la lingua per poi ricostruirne i brandelli fino a creare una forma nuova che del modello non è il simulacro bensì il prolungamento creativo...un corpus linguistico sovversivo rispetto al 'padrao coloniale'...un vastissimo serbatoio fornito dalla cosiddetta 'lingua etnica'ma anche dal socioletto urbano di periferia e ovviamente da quel portoghese lingua viaggiatrice, esportata in Africa nel Cinquecento e arricchita nel tempo di localismi...un'evidente trasgressione nei confronti della norma grazie alla presenza costante dell'oralità, al frequente ricorso al kimbundu”(dalla prefazione di Roberto Francavilla).
Gli episodi narrati si riferiscono all'infanzia passata quasi tutta sull'imbarcazione Ndalagando di capitan Lopo Gavinho de Caminha, il “sor maestro mio di cabotaggio”, un portoghese ormai lontano da tempo dal mondo europeo, arrostito dal sole angolano, incartapecorito dal salmastro tanto da sembrare un po' africano.
Il padre di Kapapa, Kimongua Paka, timoniere, contende al capitano l'educazione del ragazzo: i due si disputano le credenze da insegnare, le lingue in cui esprimersi, compreso un po' di latino con cui capitan Lopo ama infarcire i suoi discorsi; si mettono in discussione gli orizzonti verso cui tendere. Ma il ragazzo, che ben presto apprende a tener testa al vecchio lupo di mare, ne conserverà un ricordo bellissimo e saprà far fruttare i suoi insegnamenti, che avranno la stessa importanza di quelli di suo padre. Sarà la pazienza del serpente che attende di cambiar pelle insegnatagli da Lopo a fargli capire come sopravvivere nella sua brutta avventura in acqua.
Su tutti però vince suo nonno Kinhoka Nzaji, simbolo del legame con l'indomito passato mitico, il sostrato cui fare ricorso nel momento della lotta.Servirà a ricordare le frequenti ribellioni dei Dembos che occupavano l'area del bacino del fiume Kwanza e che hanno ingaggiato sfide guerriere memorabili con i portoghesi fino al XX secolo.Tutte queste figure parentali lo fanno riflettere sul concetto di libertà:Kapapa sceglierà la libertà più pericolosa, quella del fuoco che brucia.Gliela offre il suo gruppo di guerriglia, la nuova famiglia in cui completerà la sua maturazione.
La fiducia assoluta che ripone in Ndiki Ndia, il comandante del gruppo e nel commissario politico Celestino Mbaxi non impediscono però al giovane di provare un profondo malessere di fronte a certe decisioni drastiche: Kene Vua viene scelto per impiccare nel folto della foresta l'ex-compagno Amba-Tuloza, che il tribunale rivoluzionario condanna per furto ai danni di beni del popolo, in pratica si era appropriato di una balla di roba sottratta ai portoghesi dal gruppo di guerriglieri. I dubbi del giovane sulla decisione di uccidere un geniere assai bravo con una condanna spropositata rispetto al reato, sembrano alludere ai futuri sviluppi della guerra civile, così come quando pensa alla sorte toccata ad altri compagni successivamente al '77. Cercherà a lungo di aggiustare la sua coscienza, “ho compiuto il mio dovere”, ma si rende conto che niente e nessuno lo salverà da quello strano disagio che si porterà appresso per tutta la vita.
“Ho visto fiumi.
Fiumi primevi, primigeni, ante nati del mondo, limacciosi torrenti di
sangue disumano
nelle vene degli uomini
L'anima mia scorre profonda come le acque di questi fiumi.
Ma nella guerra civile della mia vita, io, nero, mi misi a pensare:troppi fiumi, alcuni li ho visti, altri sentiti, mi sono bagnato almeno due volte in quelle stesse acque”.
Un libro geniale e impossibile, grande non solo nella sperimentalità del linguaggio, ma anche nelle immagini e nella struttura stessa del testo.