Marco Aime, Andrea De Georgio - Il grande gioco del Sahel. Dalle carovane di sale ai boeing di cocaina - recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

 

 

 

 

 

 

 Marco Aime - Andrea De Giorgio

 Il grande gioco del Sahel.

 Dalle carovane di sale ai boeing di cocaina

 Bollati Boringhieri, 2021

 

Un libro di sole 160 pagine ma denso di notizie e dalla lettura molto scorrevole che deve la sua complessità informativa ai diversi profili degli autori: il primo, un docente di antropologia culturale all’università di Genova, il secondo un giornalista freelance che per quasi 10 anni ha vissuto e viaggiato in molti paesi del Sahel.

Una regione, quella del Sahel, lunga 8500 kilometri dalla Mauritania all’Eritrea, per noi ancora misteriosa, la cui conoscenza è stata più affidata al cinema e ai romanzi d’avventura che ai testi di geopolitica. Chi, al sentir nominare la favolosa Timboctu non evoca carovane, oro, cammelli e antichi manoscritti?

Purtroppo dalla crisi del Mali del 2012 anche la cronaca politica dei nostri media ha cominciato a interessarsi di questa enorme zona di 6 milioni di kilometri quadrati ( composta da 12 stati) a causa degli scontri tra eserciti regolari e ribelli tuareg, jihadisti e popolazioni locali, rapimenti e sequestri di occidentali , fulani contro dogon, pastori contro agricoltori, i bozo pescatori contro tutti, senza contare le lotte per la supremazia tra i diversi gruppi di islamisti e gli attacchi terroristici nelle grandi città.

Il coinvolgimento dell’Europa e dell’Onu è andato via via crescendo. Innanzitutto per cercare di contenere l’esodo verso l’occidente degli abitanti dei paesi coinvolti, soprattutto Mali, Niger, Burkina Faso, affidando alla Libia, eternamente in guerra civile, dopo Gheddafi, il ruolo di gendarme d’Africa per conto dell’Europa, dietro lauto compenso… Anche se, ufficialmente, gli interventi sono stati creati per combattere il dilagare e lo strapotere dei diversi gruppi jihadisti. Ma c’è da sottolineare che lo stato continuo di violenze e scontri si riversa su un territorio in cui il cambiamento climatico ha desertificato intere zone, già provate dalla sterilizzazione dei terreni a causa delle culture intensive e delle monoculture imposte dalle colonizzazioni e dagli interessi occidentali, creando ulteriore impoverimento e rabbia nelle popolazioni locali.

In questo guazzabuglio di informazioni ci aiuta l’intelligente e agile distribuzione della materia in cinque capitoli creata dai due autori. Il primo, intitolato La terra, ci rende conto delle difficoltà climatiche che il Sahel ha sempre dovuto affrontare, posto com’è tra il deserto del Sahara a nord e le regioni tropicali a sud. Apprendiamo in quali modi le popolazioni si adattavano ai cambiamenti e alla ricomposizione degli attriti tra allevatori e coltivatori, affidandosi più o meno pacificamente alle autorità tradizionali e agli Stati che li governavano. Man mano che queste strutture si indebolivano crescevano i dissidi per lo sfruttamento del territorio sempre più sfociati in violenze atroci: alle rabbie che esplodevano si sovrapponevano le protezioni offerte da questo o quell’altro gruppo islamista: in questo modo la percezione degli occidentali era sviata e si parlava unicamente di odi etnico-religiosi, sottovalutando i fattori socio-economici e i cambiamenti climatici.

Il secondo capitolo L’acqua ci parla del lago Ciad e del fiume Niger, da sempre elemento chiave per l’approvvigionamento idrico e grande risorsa economica per la pesca e per i traffici commerciali: oggi queste acque soffrono di inquinamento e degrado oltre al forte regresso del regime delle portate che ne limitano le attività e spopolano le rive. Il terzo capitolo Il libro ci immette in un excursus storico sulla islamizzazione del Sahel e sulle peculiarità dell’islam in questa zona dell’Africa. Un islam fortemente moderato che ha convissuto a lungo con le religioni tradizionali, il culto dei santi locali, con un sufismo aperto e tollerante (ce lo dice la presenza di una antica sinagoga a Timboctu) promuovendo arte e cultura attraverso costruzioni sacre e biblioteche, permettendo il passaggio alla scrittura di alcune fasce della popolazione. I celebri manoscritti, nel medioevo, erano consultati da dotti di ogni paese africano, europeo e orientale.

Ad un certo punto, l’islam wahabita di esportazione saudita ha cominciato a mietere proseliti costruendo moschee, scuole coraniche e mettendo in campo interventi di carattere sociale. Il terreno è pronto per il dilagare dei gruppi jihadisti, all’inizio provenienti dall’Algeria, dopo la sconfitta in patria alla fine degli anni ’90, poi si sono rafforzate le affiliazioni di al-Qaeda, dopo l’intervento europeo in Libia, cumulandosi con i residui dello Stato islamico di Iraq e Siria. Tutti si finanziano con i rapimenti, la droga, i saccheggi dei villaggi e i pesanti pedaggi da pagare per l’accesso ai pozzi, l’attraversamento del deserto da parte di popolazioni in fuga e di mercanti tradizionali, senza contare il lucroso commercio delle armi. Solo che oramai non si utilizza più il cammello ma, al suo posto, le jeep, i camion militari e anche gli aerei privati: droga e commercio dei nuovi schiavi rendono parecchio come anche le connivenze politico- economiche con chi intende sfruttare le ingenti risorse minerarie presenti nell’immenso territorio. Distinguere i profili dei diversi gruppi è pressoché impossibile: scivolano tranquillamente tutti dal rigorismo religioso alla pura e semplice criminalità.

Il quarto capitolo La frontiera ci spiega come, nonostante noi consideriamo il Sahel come una zona remota, per secoli fino ai secoli XVI-XVII il legame con il resto del mondo orientale e mediterraneo sia stato fortissimo: dai romani fino al medioevo le carovane assicuravano l’arrivo ai porti del nordafrica di oro, schiavi, avorio, instaurando un commercio fiorente che vide il nascere di numerosi imperi (come per esempio quello del Mali o quello Songhai) e città fiorenti e popolose. Sahel significa in arabo riva,bordo creando la metafora che il deserto fosse un mare da attraversare con una sponda sul mediterraneo e l’altra sulle zone tropicali dell’Africa tropicale. Solo con il cambio delle grandi e fruttuose vie commerciali rappresentate dalle rotte atlantiche, dopo il ‘500, questi luoghi sviluppati di grandi ricchezze e cultura cominciarono a decadere e a ritirarsi in se stessi, sprofondando sovente nell’oblìo.

Più interessante per quanto riguarda la conoscenza dell’oggi è l’ultimo capitolo Le città che analizza passato e presente di Timboctu, Bamako e Dakar. Questa parte per i due autori rappresenta una speranza di avvenire: il 40% della popolazione ha meno di 15 anni, gli over 60 non superano il 5%. La generazione giovanile che vive essenzialmente in città è stata sistematicamente esclusa dai luoghi politici che contano, ma attualmente è composta di fasce che non hanno neanche vissuto il post-indipendenza, si sentono distaccati dalla generazione dei loro padri, dalla corruzione su cui si è retto l’arricchimento dell’élite. Hanno profittato subito dei nuovi mezzi di comunicazione e vogliono cambiare dal basso la cultura e le mentalità degli anziani: si tratta di artisti, musicisti, intellettuali e giornalisti che mescolano le tradizioni con il nuovo, che non seguono la modernità sfrenata dei grattacieli che riempiono lo skyline e hanno invaso le città, lasciando inalterati slums, immersi nelle immondizie e nella miseria.

Ma certo si devono guardare dal rischio di trasformazione dei loro paesi in un ‘Sahelistan’, che alcuni analisti politici hanno cominciato a intravedere. E si devono guardare sia dai vecchi padroni europei (vedi il caso della Francia in Mali) che dai nuovi padroni orientali rappresentati da Cina, Russia e Turchia. “Lo scenario che si prospetta è quanto mai complesso. Non a caso abbiamo evocato già nel titolo ‘ il grande gioco’: quello che si profila è, infatti, un nuovo Afghanistan. Il Sahel è sempre stato un luogo strategico ma da qualche anno l’area centrale del Sahel è diventata un groviglio di crisi da cui sembra sempre più difficile uscire”.

Certo è nota la grande capacità di resilienza delle popolazioni locali, l’ingegno con cui si adattano a situazioni quanto mai diverse, ma, temono i due autori, le iniziative locali che stanno sorgendo qua e là per risolvere qualche problema, sono solo gocce in un mare di difficoltà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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