Rešoketšwe Manenzhe
Randagi
Solferino ed.2022
traduzione di Lucia Fochi
Randagi, romanzo d'esordio dell'autrice sudafricana Rešoketšwe Manenzhe, pluripremiato con numerosi riconoscimenti letterari in Sud Africa (*), prende le mosse dall’approvazione dell'Immorality Act (1927) che proibisce i rapporti sessuali tra "europei" (bianchi) e "nativi" (neri). Coloro che infrangono la nuova legge draconiana rischiano anni di reclusione.
Con la parola Immorality Act ,la vita di Abram Van Zijl e i componenti della sua famiglia Alisa, Dido e Emilia precipita nel caos, venendo l'esistenza stessa della famiglia criminalizzata. L'apartheid, con il suo sistema di rigide categorizzazioni razziali, fondamento su cui si costruirà un intero edificio di “società razzializzata", non permetterà l'esistenza di una famiglia, come quella dei Van Zijl, in bilico tra epoche, culture e nazionalità: Alisa è nera, con antenati che risalgono all'Africa occidentale, genitori ridotti in schiavitù nei Caraibi e genitori adottivi bianchi in Inghilterra, dove ha trascorso gran parte della sua vita; Abram è un uomo bianco nato ad Amsterdam che per la maggior parte della sua vita ha chiamato il Capo di Buona Speranza “casa”. Dido ed Emilia sono il frutto di questa unione.
Ma con l'approvazione della legge sull’Immoralità, la famiglia interetnica sente il mondo sgretolarsi sotto i piedi. Abram van Zijl produttore di vino nella valle di Constantia, vicino a Città del Capo può essere indifferentemente inglese o olandese perché gli è facile appartenere al mondo. Ma cosa significa poi appartenere ad una terra? Qual è quel posto che tutti chiamano casa?
La scelta di Manenzhe di esplorare questo periodo, raramente esaminato prima nella narrativa sudafricana, ci ricorda che la storia non è delimitata in epoche con chiare date di inizio e fine come ci viene insegnato nelle aule scolastiche. La storia si svolge negli anni ‘20-‘30, quando il Sudafrica era una colonia dell’impero britannico, dove i confini tra i gruppi etnici erano ancora in qualche modo in evoluzione, ma con il rapido sviluppo economico nelle nuove aree urbane si cominciavano a creare equilibri di diversità: dai minatori più poveri agli immigrati ben pagati, passando per una pletora di “razze” e di classi sociali. In questa fase si pongono le fondamenta economiche, politiche e istituzionali della segregazione e dell’apartheid. Per Abram, era chiaro che qualcosa era andato storto e che sarebbero seguite cose peggiori. Infatti più tardi la coppia intuisce che l'approvazione di questa legge non promette nulla di buono per il futuro della loro famiglia in Sudafrica.
Per Alisa in particolare le cose non vanno bene. Tutto ha cominciato ad andare storto da molto prima, forse da quando può ricordare, lei nata da schiavi nei Caraibi, rimasta orfana da giovane: il padre adottivo la porta in Inghilterra, dove "pochi la accolsero e nessuno la amò", si sentiva non amata, sradicata, condannata a "un'eredità di vagabondaggio e malinconia". In seguito è diventata cittadina del mondo per il suo tanto viaggiare.
È durante il viaggio verso il Sudafrica che Alisa incontra per la prima volta Abram e Yuri Ivanov, un naturalista russo diretto nel Transvaal. Sono le uniche persone sulla nave che mostrano ad Alisa una parvenza di gentilezza, mentre il resto dei passeggeri la evita a causa della sua pelle scura. Ivanov e Alisa discutono di Darwin e della teoria dell'evoluzione, e Ivanov le dice che "in un certo senso... questo è stato un viaggio di ritorno per tutti noi, perché ci siamo sparpagliati dall'Africa per riempire il mondo"
Questa affermazione è certamente vera per Alisa, i cui antenati vivevano in Africa occidentale prima di essere ridotti in schiavitù e portati nei Caraibi. Anche se non è mai stata in Africa, in un certo senso, quando vi si reca, ritorna a casa.
Tuttavia, alla fine, sono Abram e Ivanov, gli uomini bianchi, che possono tranquillamente rivendicare con sicurezza la loro identità di africani e ottenere potere e appartenenza lì, in Africa. Sono quelli più svincolati dai confini nazionali, perché hanno sia un chiaro luogo d'origine a cui appartengono sia la libertà di cercare appartenenza altrove. Traggono beneficio da un tipo di transnazionalismo fondamentalmente inaccessibile a una persona come Alisa, che rimane costantemente un outsider, un'estranea con scarso accesso al potere o all'appartenenza, anche dopo aver sposato Abram.
Alisa riflette sulle differenze tra lei e Abram:
“Appartenere al mondo intero gli pare semplice, una sua libera scelta. E io mi chiedo: è la sua pelle a consentirgli queste libertà, quella pelle che a me è stata negata dalle circostanze della mia ascendenza? E se sì, per estensione della mia nascita, a me sono precluse anche quelle libertà? Ma se invece è solo il suo stato d'animo a consentirgliele, allora posso e devo rivendicarle anch'io.”
In ogni modo, nemmeno l’Africa, dove alla fine l’ha condotta la sua inquietudine, l’amore di Abram che le ha generato due figlie, sono riusciti a farle trovare il suo posto. Lei, a differenza di suo marito, non appartiene a nulla se non alla sua malinconia.
LA MALEDIZIONE DELL'IMMORALITY ACT
L’arrivo di Abram con il giornale che annuncia l’approvazione della legge sull’immoralità, peggiora lo stato di Alisa, e l’amarezza consuma tutto, amore e razionalità, fino a condurla ad un atto disperato che cambierà completamente il destino della famiglia: Alisa legge il punto che le indica Abram “Secondo il comma 5, se possiamo dimostrare che siamo sposati non avremo nessun problema”. Ma poi scuotendo la testa, Alisa indica a sua volta un altro comma: “Ma qui c’è scritto che se non possiamo dimostrarlo, ci riterranno non sposati. E la pena è di cinque anni di carcere per te, quattro per me, e le bambine…” E lì non regge più. E Abram e Dido, la figlia maggiore risparmiata dal rogo, saranno i due randagi alla ricerca di uno spazio per loro.
Lo stile lirico di scrittura di Manenzhe si adatta bene a questo periodo di transizione. L’Autrice evita di riempire il romanzo con dettagli pesanti sull'epoca su cui a volte i romanzieri storici fanno affidamento per mostrare la profondità delle loro ricerche. Manenzhe evoca l'ambientazione e il periodo con un tocco leggero e spesso spiritoso, ma non per questo meno incisivo: Città del Capo "si dispiegava come un libro di storia. Gli edifici ne costituivano i capitoli e ciascuno raccontava una diversa epoca di immigrazione o di moda". Cosi, a Pretoria, l'architettura assumeva un'identità olandese, ma con macchie di qualcosa di estraneo negli edifici, come se gli architetti avessero “creato figli ribelli”.
Anche i paesaggi e i fenomeni naturali sono descritti con immagini vivide e cinetiche che spesso conferiscono alla natura un senso di azione, persino di personalità, forse per ricordare la piccolezza della storia umana in corso, un contrappunto costante al meschino dramma umano. "Durante la notte aveva piovuto, e qualche nuvola indugiava ancora in cielo, come incerta se scaricare il proprio fardello o passare oltre" E aggiunge, "se il sole si faceva pigro, timido o restio a splendere, il cielo cedeva e chiamava subito a raccolta roba triste cupa come la pioggia"
Il punto in cui Randagi forse vacilla è nella lentezza, nella staticità dei dialoghi, per cui a volte si ha l'impressione che l’autrice voglia costruire un tono primitivo e antiquato. Il parlato dal suono innaturale diventa così una spiacevole distrazione dalla narrazione, altrimenti ben scritta. I discorsi delle due ragazze, Didone ed Emilia, sono particolarmente irrealistici, e la meravigliosa giocosità ed energia di una scena in cui le ragazze si rincorrono in giardino è in qualche modo compromessa da dialoghi altisonanti che si suppone siano stati pronunciati da Emilia di sette anni, per esempio: "se non mi prendi entro il prossimo minuto, vinco io. E chi vince deve avere un premio" .
Tuttavia la scrittura di Manenzhe ha un peso emotivo cumulativo che afferma il suo enorme talento di scrittrice e rende il romanzo un successo inequivocabile. Le relazioni nel romanzo sono quasi tutte ritratte con una profondità convincente, dal legame tra Dido ed Emilia, al tenue rapporto tra Dido e suo padre, alle relazioni stratificate che la governante Gloria ha con ogni membro della famiglia.
L’Autrice riesce a mantenere un equilibrio, lungo il racconto della storia, tra la narrazione dei fatti reali, e la trasmissione di sentimenti, sensazioni e impressioni attraverso i protagonisti: Gloria, la tata delle bambine, rappresenta l’Africa, con le sue tradizioni, il senso di appartenenza a un popolo anche nell’aldilà; Alisa rappresenta il razzismo, e tutte quelle persone a cui hanno tolto l’identità, e che sperimentano d’essere esclusi, in una società che vuole la terra ma non le persone.
Infine, l'osservazione che Randagi sia un romanzo sull'appartenenza è forse ovvia, oltre a essere una semplificazione eccessiva della complessità e dell'impatto di questo eccellente romanzo. È un romanzo così potente non perché parla semplicemente di appartenenza, ma perché è eccezionalmente acuto/astuto sulle molte forme diverse di appartenenza, su chi ha il potere di rivendicare, afferrare e revocare l'appartenenza, soprattutto agli altri, e su ciò che si perde nella ricerca, spesso violenta, dell'appartenenza. Infatti, alla fine del romanzo, il senso di appartenenza di Abram in Sudafrica potrebbe essergli tolto da un sistema ostile a sua moglie e ai suoi figli neri, ma ha avuto un'opportunità di appartenenza - di abbandonare il suo status di disperso - che non è mai stata veramente una possibilità per Alisa. Questa è una dura realtà storica che risuona ancora oggi.
Il libro Illumina angoli inesplorati e polverosi della storia e merita certamente tutti i riconoscimenti che l'autrice ha ricevuto e riceverà.
(*) solo dalla pubblicazione di Randagi ha vinto il Dinaane Debut Fiction Award 2020 e l' HSS Award per la migliore narrativa ed è stata selezionata per il Premio UJ 2021 per la scrittura sudafricana in inglese, i Premi letterari sudafricani 2021 e Premi letterari CNA del Sunday Times. I suoi scritti sono apparsi, tra gli altri, su Kalahari Review , Fireside Fiction e Sol Plaatjie European Union Anthology del 2017 . Ha vinto il Writivism Short Story Prize 2019 e l'Akuko Short Story Competition 2021.