Marcus Baynes-Rock
La vita segreta delle iene
Adelphi, 2024
traduzione di Isabella C.Blum
Circa 350 pagine, corredate di prefazione, note per ciascun capitolo e una ricca bibliografia per un argomento, per noi, sorprendente: lo strano comportamento delle iene e degli abitanti di Harar, una città di circa 100.000 abitanti, situata a 1800 metri di altezza nella parte orientale dell'altopiano etiopico. Per noi Harar era il ricordo di uno straordinario poeta francese, Arthur Rimbaud che, deluso ventenne, lascia la poesia e il paese natale per farsi mercante di caffè, di armi e di schiavi tra Aden e Harar. E, infatti, nella città si può visitare una presunta casa del poeta trasformata in museo.
Ma non è certo questo che ha spinto il giovane antropologo australiano Baynes-Rock a recarsi ad Harar e verificare le notizie, a dir la verità un po' vaghe, comparse su uno strano connubio tra iene e uomini, avvenuto in questa città da qualche tempo (quando?) per farne una tesi di dottorato.
Tutte le ricerche sulla fauna selvatica in Africa sono state condotte in zoo o parchi naturali, dove sia scienziati e ricercatori che turisti non possono scendere dalle macchine: le osservazioni si fanno con i cannocchiali, i monitor di riprese, i tracciati dei radiocollari, le fotografie. Nessuno ha potuto affiancare iene, avvicinarle ed entrarci in relazione come ha fatto l'antropologo australiano. Come sottolinea l'etologa americana Elizabeth Marshall Thomas che ha firmato la prefazione “Baynes-Rock ha aperto un intero nuovo mondo, non solo all'antropologia ma anche alla zoologia. Io credo che sia stato il primo scienziato ad affrontare un gruppo di individui, in parte esseri umani e in parte iene, come se appartenessero ad un'unica cultura mista, la cultura multistrato di Harar, città oggetto delle sue ricerche in Etiopia.”
Ma ai nostri lettori appassionati di letteratura e saggistica cosa può interessare tutto ciò? E' quello che si scopre leggendo il sorprendente romanzo delle sue scoperte, delle sue relazioni particolari con alcune giovani iene e con gli abitanti di Jugol, la città vecchia di Harar, miscuglio etnico di amhara, oromo, harari, somali, tigrini e mescolanza di religioni, la cristiana e la musulmana, con un residuo significativo di credenze spirituali tradizionali.
Il centro di Jugol è oggi un bene protetto dall'Unesco, per via delle alte mura medievali che circondano la città, delle moschee e santuari islamici, delle chiese copte, delle stradine tortuose e labirintiche che si insinuano tra le bianche architetture caratteristiche delle tradizionali case harari (etnia prevalente a Jugol) che non permettono quasi il transito di veicoli. C'è anche una parte nuova della città, abitata soprattutto da amhara, ma non riguarda le ricerche del nostro intraprendente antropologo, che si occupa soprattutto delle tane delle iene poste a nord, quelle del clan Aboker, e a sud, vicinissime alle porte della città vecchia, quelle del clan delle Sofi, che risulteranno più congeniali alle sue indagini.
Il testo ha un taglio quasi cinematografico per il quale anche il lettore si aggira tra le viuzze, tra scalcinati alberghetti, appartamenti e uffici di fortuna trovati dall'antropologo per abitare e lavorare al suo materiale mano a mano faticosamente raccolto. Nulla avrebbe potuto fare Baynes-Rock se non avesse intrecciato relazioni umane con i vari gruppi umani e non. Soprattutto ha dovuto prendere in mano storicamente come si è formato il nucleo antico di Harar, l'alternarsi al potere di ahmara, oromo (gli invasori provenienti da sud) e harari fino al definitivo inquadramento della regione nella federazione etiopica. Nel tentativo di carpire materiale di prima mano, l’autore comincia a seguire le iene non solo nei luoghi deputati alla distribuzione di carne, pelle e ossa da parte di alcuni uomini che si sono assunti questo incarico, ma anche nelle scorribande lungo le forre e i fiumi, nei vicoli di Jugol, perfino nei canali di scolo delle acque reflue: comincia a nutrire la stessa antipatia che le iene hanno verso i cani che tentano di scacciarle abbaiando e ringhiando. Nelle mura ci sono alcune porticine basse, chiamate proprio porte delle iene, che si capisce non sono state fatte per il varco di essere umani.
Ma quando è iniziato tutto ciò ad Harar, visto che nel resto dell'Etiopia vige sempre sia il terrore degli uomini verso bestie che attaccano greggi, pastori e bambini sia la paura delle iene che cercano di evitare gli incontri con gli umani?
Qui intervengono, per chiarire la questione, le relazioni con i diversi gruppi etnici, soprattutto harari e oromo, che pur provenendo da culture diverse condividono alcune credenze: le iene di Harar hanno stretto un patto di non belligeranza con gli abitanti, conveniente per tutti. Le iene, oltre a nutrirsi nelle foreste, predando e ripulendo carogne, hanno accesso a Jugol per razzolare i rimasugli di cibo o nella discarica o attendendo pazientemente gli scarti di carne del macellaio locale. Se qualcosa va storto nelle relazioni uomini-animali bisogna mandare gli uomini che conoscono il linguaggio e parlano con le iene (anche questo accade…) allo scopo di negoziare al più presto i dissidi e ristabilire la pace. Per gli uomini le iene di Harar sono diventate anche occasioni di lavoro e di un po' di benessere economico, perché i siti delle distribuzioni di cibo sono frequentati da turisti, in cerca di emozioni. Una parte dei giovani locali si offre come guida o trasportatore sia per il vecchio centro storico che per i siti delle iene.
Ma guai a turbare questo equilibrio, le iene possono operare vendette nei confronti del bestiame di allevamento o peggio verso gli umani... Alcuni pensano che le iene siano una sorta di collegamento con il mondo dei morti di cui portano i messaggi, altri che siano jinn che assumono la sembianza di iene per scopi criminali, altri ancora che le deiezioni delle iene possano trasformarsi in medicine potenti o che la loro pelle possa funzionare come un amuleto. Senza contare la leggenda di Ashura che vede l'offerta di un porridge irrorato di burro davanti ad un santuario islamico, allo scopo di trarre auspici su eventuali carestie, a seconda della quantità di avanzi.
Nelle numerose e faticosissime interviste dell'antropologo, effettuate con diversi interpreti, emergono una marea di credenze da mettere in ordine per poterne tirare fuori qualcosa: innanzitutto sono condivise da poveri e benestanti, da funzionari statali e membri di esercito e polizia, da colti e ignoranti. Di certo non è da sempre che ad Harar funziona così, come pretendono molti, è accertato che prima degli anni '70 non avveniva nulla del genere, la spinta è avvenuta con il placarsi dei disordini post Menghistu e con l'Eritrea, a causa di flussi turistici che di nuovo includevano Harar nei circuiti di visita. La partecipazione ai programmi internazionali di protezione della fauna ha finito per contribuire alle casse del comune e c'è chi si è arricchito parecchio, regolamentando l'arrivo delle iene con appositi richiami, allestendo quasi una specie di circo: questo avviene nel sito di foraggiamento delle Aboker, che il nostro antropologo decide di non seguire per l'eccesso spettacolistico e non adatto ad una indagine valida scientificamente. L'amico Yusuf, dalla cui famiglia viene accolto come un figlio, si mostra più serio nell'interazione con le iene che vengono nel suo sito di foraggiamento.
Baynes-Rock si è talmente avvicinato alle culture locali da avervi trovato anche l'amore per la donna che è diventata sua moglie e collaboratrice, e amici attraverso i quali è riuscito a penetrare meglio la spiritualità sottesa alle credenze. Le giovani iene che di più gli si sono avvicinate hanno creato qualcosa che non ha niente a che vedere con l'addomesticamento o con la familiarità di cani e gatti: una sorta di spazio condiviso con il rispetto delle prerogative di ognuno. Non si era mai visto niente di simile in una ricerca su animali che vivevano totalmente allo stato selvatico e non in una riserva.
Perciò sono indimenticabili le immagini del ricercatore sdraiato di notte sotto la luna, ad ascoltare i suoni e i movimenti delle praterie e dei boschi, fianco a fianco ad alcune iene del clan Sofi o i momenti delle lotte rituali a cui partecipa con alcune di loro, traendone certo lividi e morsicature dalle loro possenti mascelle, ma anche soddisfazione di aver condiviso un gioco. Stupiti gli abitanti vedono l’antropologo correre a perdifiato, tra i sentieri di montagna, insieme alle iene meno riottose alla vicinanza umana.
Di colpo viene cancellata da Baynes-Rock la tipologia della iena presente nelle narrazioni tradizionali e anche in quelle più recenti dei cartoni disneyani: animale infido, bugiardo, traditore, ingordo, credulone e anche assassino. In quelle storie si riassumevano tutte le ere in cui le iene sono passate da un predominio sugli ominidi come animali predatori a una fase in cui iene e ominidi erano concorrenti per la ricerca di carcasse uccise da altre specie per succhiarne soprattutto il proteico midollo; fino a terminare, con il processo di ominazione avanzato, con l’uomo nel ruolo di predatore mediante l'ausilio di strumenti che man mano inventava. E' allora che la iena entra nei miti, nelle storie, arrivando fino alle favole di Esopo: un essere spregevole associato con le forze del male, un nemico da fuggire o da uccidere. Un antico rivale da tenere a bada. O anche una risorsa di cui avvalersi per comunicare coi morti o farsi proteggere da forze oscure.
L'autore ha dovuto pericolosamente condividere con gli abitanti di Jugol l'abitudine alla masticazione del qat, droga che può dare allucinazioni, assuefazioni o abulia, perché spesso era durante le amichevoli sedute di qat che arrivavano rivelazioni o le promesse di interviste chiarificatrici o l'ingresso a feste con partecipazione di uomini e iene…
Il più possibile Baynes-Rock non ha svilito le loro credenze come semplici superstizioni, ma accettandole come espressioni di spiritualità diverse da quelle occidentali. Certo non è stato facile condividere la supponenza dei governanti etiopi o le mistificazioni di coloro che sulla questione delle iene volevano solo arricchirsi; ma alla fine si dichiara soddisfatto di quanto ha raccolto e dopo quasi due anni abbandona con uguale malinconia uomini e iene di Harar.
Una lettura sconcertante che aggiunge un altro tassello alla conoscenza del background culturale etiopico.