Margaret Mead - James Baldwin
Discussione sulla razza.
Sciogliere i nodi su storia, culture e razzismi
traduzione di Vincenzo Mantovani
Meltemi, 2022
Una sera di fine agosto del 1970, Margaret Mead, 68 anni,bianca e liberale, antropologa di fama mondiale e James Baldwin, 46 anni, nero e critico sociale, attivista, poeta e romanziere che vive in esilio in Francia, si siedono l’uno di fronte all’altra e insieme iniziano a registrare una conversazione sull'esperienza americana di razza e società. I due non si erano mai incontrati prima. Attorno a loro c’è un Paese che piange i suoi morti : l'attentato di Birmingham che ha ucciso quattro ragazze nere alla scuola domenicale, esattamente un mese dopo la famosa lettera di Martin Luther King sulla giustizia e la resistenza nonviolenta; la morte del Presidente J.F. Kennedy assassinato nel 1963; di Malcom X nel 1965 e di Martin Luther King nel 1968. Vittime sacrificali che hanno sognato una società giusta ed egualitaria.
La loro conversazione, svoltasi in tre lunghe sessioni nell'arco di due lunghi giorni e registrata su nastro, venne trascritta e pubblicata col titolo ‘A Rap on Race’, un testo di una lunga e approfondita analisi che segue un andamento musicale: dall’adagio al mosso e al movimentato per arrivare allo scontro serrato e intenso.
Ora, a distanza di più di 50 anni, la casa editrice Meltemi lo manda in libreria nella traduzione di Vincenzo Mantovani, con il titolo ‘Discussione sulla razza. Sciogliere i nodi su storia, culture e razzismi’, corredato da un importante inquadramento storico-antropologico di Stefano De Matteis. La discussione tocca tutti i temi della scottante attualità politica e culturale di quegli anni, dove protagonista assoluto è il dramma razziale e il suo riverbero sulla tormentata coscienza umana. Il tema del razzismo è però declinato e analizzato in tutte le sue sfumature, tanto da divenire un sistema interpretativo utile a leggere ogni forma di potere in cui si esercita il sopruso e la violenza sugli altri: i bianchi sui neri, ma anche le società ricche su quelle povere, gli uomini sulle donne, i paesi avanzati su quelli arretrati.
Inizialmente molto prudente e ondivago, il dialogo stenta a trovare il giusto codice comunicativo, ma poi fa emergere alcuni nodi importanti, che aiutano a capire non solo il contesto di quegli anni, ma anche la successiva evoluzione della questione «razziale» in America. Baldwin parla dal punto di vista del Black Power, insistendo sul fatto che il razzismo nella società e nella storia americana è tanto radicato che a superarlo non basta la fine delle discriminazioni formali. Nel confronto fra i due giganti, la problematica sociale, morale e politica americana viene messa a fuoco in modo inquietante e drammatico. Mentre ci immergiamo con loro nel flusso di parole, discussioni, a volte anche attriti, svolti con toni appassionati e accesi, la domanda che emerge è: dove risiede l’origine delle contraddizioni della società opulenta che assieme alla ricchezza ha prodotto e portato all’esasperazione con la violenza nei ghetti, la contestazione giovanile, il consumo della droga, l’inquinamento ambientale, la radicalizzazione della lotta politica?
Identificato il malessere della società americana come un fatto di insicurezza, la Mead ne indica le cause in un logorio delle istituzioni, ormai vecchie di tre secoli, in un deteriorarsi di quello spirito di religiosità che animò i padri fondatori.
Per Baldwin invece, in bilico tra l’istanza evangelica di Martin Luther King e l’orgoglio intellettuale di un sostenitore dei movimenti civili afroamericani, occorre confrontarsi con il passato in vista di una lezione storica, dove per storia si intende l’azione immediata di un intervento risanatore.
Tuttavia, entrambi si trovano d’accordo nel considerare particolarmente traumatica la condizione del negro americano, apparentemente favorito dall’inserimento nella più ricca ed evoluta delle società, ma in realtà emarginato, da una complessa trama di subdole ostruzioni, dal godimento egalitario dei diritti e beni civili.
Dunque, protagonista del dialogo è il dramma razziale e il fatto che esso sia affrontato da due nomi di così grande rilievo finisce per dare a questa «registrazione» il sapore di una eccezionale testimonianza, di un dibattito a fondo su problemi che ci coinvolgono tutti.
Tanto per avviare la reciproca conoscenza, i due si raccontano la prima volta in cui hanno capito che le persone non sono tutte uguali. Margaret lo scopre a undici anni. È il 1912 e si è appena trasferita in una fattoria della Pennsylvania. I suoi nuovi vicini sono un anziano nero scappato da un padrone schiavista e la sua giovane moglie scurissima, con un figlio «bianco a metà», frutto di una violenza subita da un bianco. Così nella mente della futura star dell’antropologia si imprime un’immagine rovesciata dello stereotipo dello stupratore, che di solito nell’immaginario delle bambine alla Shirley Temple come lei, era l’«uomo nero».
All’inizio, e per lunghi tratti, più volte divagano saltando da un argomento all'altro: è la conversazione di due persone molto appassionate e intelligenti che passano dal discorso sulla razza al colonialismo e poi al consumismo. Questo fino a quando non affrontano il tema della storia e della responsabilità collettiva e il senso di colpa collettivo e della colpevolezza, in cui Mead è fermamente intransigente e rifiuta di accettare la colpa per qualcosa che i suoi antenati avevano fatto e ribadisce che non si sente in colpa per quello che hanno fatto le passate generazioni di bianchi. Baldwin insiste che non è tanto la colpa quanto il riconoscimento di illeciti, assumendosi la responsabilità di ciò che il ‘tuo governo’ la ‘tua classe’, il ‘tuo gruppo’ ha fatto. Mead ripete che non si sente in colpa per Hiroshima e Nagasaki perché non è stato chiesto a lei di sganciare quella bomba.
Baldwin respinge abilmente questa discussione rievocando una storia di quando era un fragile bambino di 10 anni e fu picchiato a morte da due poliziotti. Sostiene che la sua storia è "scritta sulla sua fronte" ed è la stessa storia di ogni “uomo di colore” in America.
Nelle ultime 50 pagine del libro, Baldwin e Mead affrontano questioni di responsabilità ed espiazione, del ruolo che la storia gioca ai giorni nostri. Mentre parlano del loro dolore condiviso per le violenze continue in America, Mead e Baldwin arrivano a uno dei punti più profondi di questa lunga conversazione - la questione della colpa, della responsabilità. Si evidenzia qui la differenza cruciale tra i due nell'assicurare un percorso costruttivo piuttosto che distruttivo, con parole che vale la pena qui riportare per intero:
MEAD: Ci sono diversi modi di considerare la colpa. Nella fede ortodossa orientale, tutti condividono la colpa della creaturalità e la colpa per qualsiasi cosa abbiano mai pensato. Ora, la posizione nordeuropea occidentale e la posizione nordamericana in generale è che sei colpevole per cose che hai fatto tu stesso e non per cose che hanno fatto altre persone.
BALDWIN: La polizia in questo paese non fa distinzioni tra una pantera nera o un avvocato nero o mio fratello o me. I poliziotti non mi chiederanno il mio nome prima di premere il grilletto. Faccio parte di questa società e sono esattamente nella stessa situazione di chiunque altro - qualsiasi altra persona di colore - in essa. Se non lo so, allora sono abbastanza illuso da me stesso... Quello che sto cercando di raggiungere è la questione della responsabilità. Non ho sganciato la bomba [n.d.r.: che ha ucciso quattro studentesse nere a Birmingham]. E non ho mai linciato nessuno. Eppure sono responsabile non di quello che è successo ma di quello che può succedere.
Verso la TERZA ONDATA.
Cosa ci dice, allora, questo dibattito sui movimenti di oggi, quelli della ‘terza ondata’ come Black Lives Matter? Il loro focus è sul razzismo sistemico o strutturale, termine che ancora non si usava negli anni Settanta. L’indirizzo identitario è stato però condotto fino alle sue estreme conseguenze, e così il tema della responsabilità, trasformato nel concetto di «fragilità bianca» e trasportato in una più ampia dimensione intersezionale. Oggi, in un clima dominato da costanti accuse di microaggressioni, appropriazione culturale, infrazioni ai codici della correttezza politica, questo dibattito sarebbe improbabile. E certamente lo stesso Baldwin, scomparso nel 1987, si stupirebbe nell’apprendere che i suoi eredi considerano una microaggressione razzista (in quanto espressione di ‘color blindness’, o indifferenza al colore) la frase – per lui come per Mead evidentemente scontata – con cui apriva la terza parte del libro: “Noi siamo la razza umana. In fondo ce n’è una sola, no?”
Ciò che ho tratto maggiormente da questo dialogo è stata la sensazione che questo tipo di conversazione sarebbe quasi impensabile oggi. Il viaggio potrebbe essere più difficile per i lettori che non hanno ricordi di prima mano di quell'epoca, ma penso che valga comunque la pena farlo, anche perché come società stiamo ancora lottando per comunicare attraverso le diverse faglie della nostra cultura. Per sperimentare i contesti dell'emozione, vi segnalo una versione audio di questo dialogo, disponibile su YouTube che consiglio vivamente per poter vivere l’esperienza completa. Le interviste sono forse il 60% di ciò che viene detto e il resto è come viene detto. Stanno ridendo tra loro? Sono sorridenti? Si appoggiano? Com'è il loro tono? Tante parti di questo libro, in particolare l'ultima sezione, potrebbero risultare molto diverse se ci fossero delle didascalie sulle azioni, le emozioni e le espressioni che accompagnano le parole dette. Nelle prime due sezioni ci sono sufficienti indizi in ciò che viene detto per pensare che probabilmente stanno andando d'accordo, ma è davvero difficile dire se alla fine non stiano urlando passivamente l'uno sull'altro.
Mead e Baldwin, attingendo dalle loro esperienze personali per suggerire come costruire una società migliore retta dall’uguaglianza, entrambi sono carichi di speranze, tenendo conto che l’idea di un altro mondo è possibile. E quel che colpisce nel dialogo infatti, al di là degli argomenti, è proprio il fuoco che li scalda, la tensione che li sorregge. Sviscerando il presente, i due fanno ipotesi di futuro, ma senza censurare il passato, come fa oggi la ‘Cancel Culture’, quando attua un revisionismo del passato alla luce dei valori attuali, per farlo aderire a un’immagine politicamente corretta.