Marilena Delli Umuhoza
Negretta Baci razzisti
Redstarpress, 2020
Alcuni dei giovani scrittori italiani di origine africana provengono dalle zone periferiche di Milano, Brescia, Bergamo, Mantova e hanno in comune essere cresciuti a contatto con una cultura provinciale, leghista, razzista o semplicemente... ignorante, a cui hanno resistito opponendo uno sguardo arrabbiato e ironico, se non sarcastico. Hanno vissuto le loro adolescenze come tutti gli altri giovani delle periferie, condividendone miti, mode, follie, sballi alcolici e droghe e una scuola percepita come assolutamente distante dalle loro vite.
Questa è anche l’ambientazione del romanzo della Delli, che si svolge tra i palazzoni di Athena3 a Zingonia e una modestissima casetta del custode dentro una fabbrica di pneumatici, ad uno svincolo autostradale. Lo sfondo delle vicende è in parte autobiografico, come aveva già narrato in “Razzismo all’italiana .Cronache di una spia mezzosangue” (Aracne, 2016). L’azione principale si dipana lungo l’ultimo anno di scuola, prima del diploma della giovane protagonista Mari, ma sono presenti dei flashback sulla vita precedente del padre Giuseppe, bergamasco, ex-prete missionario in Africa e della madre Chantal tutsi rwandese, arrivata in Italia prima del genocidio del ‘94, dopo la distruzione della sua famiglia nei precedenti scontri etnici.
Effettivamente, come dichiara la scrittrice in molte interviste, anche suo padre è un ex-prete missionario e la madre ha vissuto i genocidi del ‘59 e del ‘73 e fu rapita bambina e condotta in collegi che facevano esperimenti scientifici sui bambini, ricavandone una zoppia che l’ha resa claudicante a vita. Dunque la storia scorre lungo tre binari: quello di Giuseppe che, in qualche modo, cerca di spiegare come le origine contadine povere abbiano determinato la sua chiusura in seminario, senza alcuna vocazione, nella speranza della madre di eliminare una bocca da sfamare. Sono molto efficaci le scene dei fratelli di Giuseppe che si aggirano affamati durante la guerra e i bombardamenti alla ricerca di qualsiasi cosa da mangiare, anche topi... Come anche quelle sulla madre che spera nei vantaggi di un figlio prete, sulla bravura nel calcio del piccolo Giuseppe, che aveva sperato di entrare nell’Atalanta e non in seminario, sull’ignoranza e razzismo della famiglia di lui di fronte alla moglie africana e alla figlia. Più brevi gli inserimenti della vita di Chantal : quelli che riguardano gli scontri etnici e quelli in cui una borsa di studio sembra cambiare il corso della sua vita. Questi flashback sono funzionali a spiegare le fisionomie psicologiche dei genitori, la durezza della madre, per la quale sopportare con filosofia soprusi umilianti, cercare di sbiancare con saponi pericolosi la pelle di sua figlia e di stenderne i ricci ribelli significa farsi accettare e integrarsi nell'ambiente in cui vive; come anche assimilarne la cucina e il difficile dialetto bergamasco.
Per il padre le vicende della vita passata servono a far comprendere la sua difficoltà di esprimere affetto alla figlia, i suoi sforzi vani nell’indirizzarla secondo le tradizioni imparate da sua madre, la sua abulia nell’accettare solo lavori saltuari, perché tanto “chi dà lavoro ad un ex-prete cinquantenne”..e anche i suoi scoppi di aggressività e violenza nei confronti della moglie e della figlia. I genitori sono paradossalmente leghisti e pronunciano frasi contro i “nigher”proprio come i compaesani con cui condividono l’amore per l’Atalanta e le altre mille piccole squadre locali, per le quali avvengono sanguinose risse.
Ovviamente Mari è proprio di un’altra generazione: ce l’ha solo sulla pelle quell’Africa a cui tutti le dicono di tornare, è nata lumbard e non capisce proprio tutte le beghe di sua madre per apparire italiana. Lei è italiana. E vive in un guazzabuglio di giovani che la chiamano ( ma non solo loro) “negretta” fin dall’asilo ma che tuttavia la coinvolgono in storie sentimentali, occupazioni dell’istituto scolastico, avventure in locali, in feste leghiste in cui diventa reginetta. Le vicende narrate si svolgono negli anni ‘80-’90 , durante la costruzione dei miti e degli slogan della lega, paralleli alla crescita del fenomeno migratorio. Sono molto interessanti le scene che si svolgono a scuola, soprattutto i duetti con le insegnanti, le prese in giro dei compagni perché Mari è giudicata una secchiona: parla bene il francese, studia tutte le materie, prende bei voti. Dalla madre ha capito che se vuole un minimo di libertà dalle restrizioni famigliari deve rigar dritto, scolasticamente parlando, anche che la cultura è l’unica chance per uscir fuori da quei ghetti.
Fondamentale è la sua amicizia con Latte, soprannome dai tempi delle elementari di una biondina con la pelle chiarissima: è facile la presa in giro di loro due come caffè e latte...Con lei divide tutto, soprattutto le cose proibite, come andare in motorino in autostrada senza casco o seminude, le canne e la coca, il sesso occasionale nei locali. Mari lo fa soprattutto perché non vuole perdere l’unico affetto che ha e in odio ai genitori che la tormentano con mille questioni. E’ un rapporto dissidiato che conosce continue interruzioni e riprese: si compattano di fronte ai fallimenti sentimentali con ragazzi rozzi e volgari, concludendo che i leghisti non ce l’hanno per niente duro…
Quando per le vicende dell’occupazione scolastica viene arrestata e sembra che le sia impedito di prendere il diploma, Mari perde anche il lavoretto con cui si pagava gli sfizi e pare che Latte non voglia più saperne di lei; così, depressa e sconsolata perché ormai “è la fine del suo mondo” si rivolge alla madre e Chantal le risponde :”Vuoi sapere cosa è veramente la fine del mondo? Avere cinque anni e perdere tutto e tutti in un genocidio. Essere ridotta ad una cavia per esperimenti medici perché sei considerata meno che un ratto. Diventare storpia a causa di questo...La fine del mondo è non poter finire di studiare, non perché ti sei comportata male, ma per via delle tue origini….La fine del mondo è dover lasciare il tuo paese solo per finire discriminata in un altro”. In ogni modo le autorità scolastiche cambiano idea e lei vola verso il finale della scuola.
Sono passati anni da quelle stagioni furibonde, Bergamo si è aperta un po’ di più, qualcosa è cambiato, anche la protagonista , ma quando va all’anagrafe per registrare la nascita di sua figlia e chiede di segnarla con il nome di Umuhoza, lo stesso che sua madre avrebbe voluto per lei, la risposta è identica a quella che diedero a Chantal tempo prima: è un nome impossibile. Ed è ancora ‘negretta’ l’epiteto che sente rivolgere a sua figlia quando la porta a spasso con il passeggino.Episodi realmente accaduti alla madre e all’autrice…
Il libro è corredato da una postafazione della stilista Stella Jean che si riconosce nelle esperienze narrate da Marilena Delli Umuhoza e nella paradossale impotenza di una italiana nera: “l’impotenza che ti assale quando vorresti reagire e restituire pan per focaccia, ma il sangue del tuo aguzzino ti scorre nelle vene e non puoi separarlo dal tuo, la sua terra è la tua amata casa e i suoi occhi sono identici a quelli di tuo padre” .