Marilena Umuhoza Delli - Pizza Mussolini - recensione a cura di Habté Weldemariam

 

 

 

Marilena Umuhoza Delli

Pizza Mussolini

Editore Red Star Press, 2023

 

 

 

Pizza Mussolini è la storia di Mariella, nata e cresciuta a Bergamo, che ha trascorso la sua giovane età a difendersi dai colpi bassi del razzismo e, a migliaia di chilometri di distanza, in Malawi, la venuta al mondo di Luna che era stata salutata con un presagio di sventura a causa di un colore troppo chiaro della pelle; «Strega!» è ciò che da allora le hanno urlato contro ovunque. Senza che le due ragazze sappiano nulla del proprio passato, c’è qualcosa di importante a unire Luna e Marilena. Gli abusi che subiscono in quanto donne, prima di tutto: identici, sia pure all’interno di contesti tanto lontani. E che siano in Italia o in Malawi, le protagoniste sono due persone che diventano dei corpi estranei e muti in un contesto che le nomina ma non le interpella, che se ne serve per propaganda, ma non le ascolta. Sono appunto corpi spersonalizzati, senza identità, pensieri, opinioni.

Questo romanzo, in un certo senso completa la storia iniziata dall’autrice con la sua prima opera fiction Negretta.Baci razzisti, in cui racconta di come l’Italia abbia ancora molta strada da fare per sconfiggere chiusura, razzismo, intolleranza; dove la scuola in primis e la letteratura e la cultura in generale possono fare molto.

La protagonista qui, mostra la difficoltà di far capire la particolare condizione emotiva di chi subisce razzismo. Molti pensano al pregiudizio e al razzismo come qualcosa di plateale: attacchi fisici, insulti. Ci sono anche questi, certo, ma è importante capire che a fare perfino più male sono una serie di micro aggressioni quotidiane. Per esempio, la donna che stringe più forte la borsa quando le si passa accanto; la commessa di una farmacia a Roma che intima di andare via ad un componente dell’Ambasciata di uno Stato africano che stava in fila come gli altri clienti, dicendo “abbiamo già dato, abbiamo già dato “; il traumatico e costante quotidiano di molte donne come Mariella. Chi non lo ha provato, fatica a capire. Chi non lo ha subito, non riesce a mettersi nei suoi panni.

L’autrice ci presenta Mariella piena di sicurezza e autoconsapevolezza: lei non si sente né bianca, né nera ma semplicemente sé stessa, a differenza di molti protagonisti nel mondo dell’immigrazione che immaginiamo come personaggi confusi, profondamente insicuri su come definirsi, quindi muoversi; per Mariella la diversità è motivo di forza. Con il suo atteggiamento smaschera i pregiudizi razzisti che le persone bianche continuano a perpetrare, assediando le esistenze delle persone nere. Si tratta di questioni che emergono nelle interazioni quotidiane, che vengano sollevate in modo esplicito o implicito, e la protagonista con il suo comportamento sollecita in noi la necessità di discuterne sfatando le credenze comuni e gli equivoci che la riguardano.

Pizza Mussolini ci ricorda anche che il dibattito sul razzismo in Italia è spesso infantile, legato ad aggressioni ai danni di individui di diversa etnia, o ai casi mediatici che riguardano le persone migranti, per poi scemare subito dopo. I corpi delle persone nere/brown come Mariella sono figure evanescenti, monopolio di qualcuno che li utilizza come scudo per non riflettere sulla società in cui vive. Anch’io sono testimone di decine e decine di parole permeate da diversi livelli di discriminazione, contesti o metodi comunicativi problematici o razzisti : “Io ho un’amica di colore"; una signora parlando della sua colf: "la mia colf è nera ma buona", etc etc. , esempi di bias cognitivi e di stereotipi socioculturali che sono stati assorbiti dai cittadini italiani per anni.

Il romanzo sembra anche pensato per i giovani lettori, in particolare per la seconda e terza generazioni di stranieri, per prepararli a relazionarsi con gli altri nei loro pensieri, nelle azioni quotidiane, nell’affrontare il problema dei pregiudizi e delle discriminazioni perché in futuro l’individuo adulto non si debba domandare per il resto della vita “Chi sono io? Chi sono gli altri? Cos’è normale?”.

Possiamo essere uguali e diversi? Leggendo il romanzo, io vedo attorno a queste generazioni un vuoto di identità, di punti di riferimento culturale. Nati e cresciuti in Italia dove l’unico modello è quello dell’assimilazione, le generazioni con un background come quello di Mariella, dove non trovano mai nessun modello nero positivo in cui riconoscersi, crescono sentendosi completamente diversi dagli altri, per esempio il nero è sempre associato a qualcosa di negativo, le mansioni dei genitori sono spesso di basso livello… Insomma, è necessario dare voce a loro perché hanno bisogno di vedersi rappresentati nell’arte, nel cinema, nella musica, nella cultura in tutte le sue forme. Le seconde generazioni (o come qualcuno li chiama, gli italiani neri) non emergono, non si vedono negli ambienti della cultura, nei talk show e nelle liste elettorali. O meglio, in quei luoghi dove si presentano solo come oggetto del discorso, quasi mai come soggetto. La loro presenza è ridotta alla riforma della cittadinanza, ai casi di razzismo, all' ”immigrazione fuori controllo”, ai barconi, all' ”integrazione”

Dopo aver finito di leggere Pizza Mussolini, occorre fermarsi per riflettere soprattutto sulle dinamiche nel mondo e si scopre che, vivendo in contesti diversi. (Africa-Occidente) i pregiudizi e il razzismo sono più complessi da decifrare. E non sono soltanto le definizioni monolitiche che abbiamo nel dizionario, ma ci troviamo di fronte a una questione che riguarda i punti di vista culturali, strutturali, sociali.

In Occidente potremmo usare l’espressione ‘dal punto di vista del privilegio bianco’, In Africa ‘dal punto di vista della stregoneria’ come nel caso di Luna, vittima di un pregiudizio legato a credenze popolari africane.

Questo romanzo, in ultima analisi, è una lettura essenziale per chi vuole comprendere meglio la realtà del pregiudizio e del razzismo in Italia e per chi vuole contribuire a costruire una società più giusta e inclusiva.

Per concludere, mi piace riportare qui una bellissima frase che ho letto come esergo finale del curriculum vitae dell’autrice: “Finché non vedremo persone BIPOC (Black, Indigenous and People of Color) ai vertici del potere, finché non le studieremo nei curricula scolastici, finché non le vedremo o ascolteremo in radio o in tv – per parlare di sé, e non come token che discutono di razzismo e immigrazione –, finché non le vedremo produrre film e serie tv ma, più di tutto, finché non le vedremo esercitare il proprio diritto al voto e acquisire la cittadinanza prima dei 18 anni, un vero cambiamento non sarà possibile”.

 

 

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