Omar Robert Hamilton- La città vince sempre-recensione a cura di Giulia De Martino

Omar Robert Hamilton

La città vince sempre

Guanda, 2017

Traduzione di Mariella Milan

 

Questo giovane autore anglo-egiziano, che vive tra Il Cairo e New York, si trova nella capitale egiziana al momento dello scoppio della ‘rivoluzione’ di  piazza Tahrir nel 2011 e vi si intrattiene fino al 2014 per seguire i tumultuosi eventi che si accavallano e catturare immagini utili a un film al quale sta pensando. Contrariamente alle intenzioni, non ne esce un film, anche se lui è un filmmaker, bensì un romanzo, quasi che  la letteratura scritta gli si imponga come la più adatta per esprimere tutto quello che ha visto e sentito, soprattutto le emozioni che ha provato: rabbia, amore, delusioni e speranze, creatività e impotenza.

Non ha assistito come un testimone imparziale agli eventi, è della stessa generazione dei giovani che hanno provato, in quei giorni, a cambiare le cose, sentendosi implicato anche per via della madre egiziana, Adhaf Soueif, scrittrice ed attivista dei diritti delle donne arabe. Una sua zia è la madre di Alaa abd al Fatah, arrestato da tutti i regimi che si sono succeduti nel giro di pochi anni e di Mona Seif, entrambi noti blogger , fortemente osteggiati da Mubarak, da Al Morsi e da Al Sisi.

Proprio ad Alaa, suo cugino, attualmente ancora in carcere, è dedicato il libro.Si capisce che lo scrittore sta dentro e non fuori le vicende raccontate: questo complica un po’ le cose dal punto di vista della distanza necessaria per ‘narrare’ la storia. La scelta del romanzo ha imposto la creazione di due personaggi protagonisti, Khalil e  Mariam,che incarnassero qualcosa della vita dell’autore e delle esperienze politiche della sua famiglia .

Lui, Khalil, è un giovane americano di origine egiziana da parte di madre, con un padre palestinese dal tormentato passato che ha voluto seppellire la sua vita per offrire al figlio un futuro diverso, lasciando però senza risposta le continue domande del giovane. Appassionato di musica  ha voluto incontrare la musica tradizionale orientale per studiarla e mescolarla con altri ritmi ed è per questo che si trova al Cairo, ma anche  per incontrare la parte di sé che il padre ha cercato di non far emergere. Sua madre, a distanza, assiste impotente alla trasformazione del giovane Kaleel, ex-liceale americano in un Khalil determinato a combattere attraverso la partecipazione diretta e l’informazione  dei nuovi media,  a sentirsi unito alle speranze di una generazione, anche a costo di morire. E' perciò anche lui un giovane contro, che per vivere fa mille mestieri, in una città che lo scrittore assimila alla New York nella favolosa età del jazz.

La realtà e la conoscenza della città, gli incontri e le amicizie che intraprende lo portano però lontano dal suo percorso iniziale : si compra una macchina fotografica e impara a sviluppare foto. Frequenta il Greek club e il caffé Stella, dove si riuniscono tutti giovani artisti, registi, studenti, giornalisti, blogger, la base della sinistra egiziana radicale e moderata; queste frequentazioni e la conoscenza di Mariam, una ragazza veramente singolare, saranno determinanti per la svolta della sua vita cairota.

Lei, Mariam, una giovane egiziana legata all’ambiente dei copti, senza tentennamenti o dubbi sul da farsi, è eternamente concentrata sulla ‘lista’: saper cosa fare la salva dai momenti bui di sconfitta, ma la condanna ad una usura fisica e mentale che influirà negativamente sulla sua storia d’amore con Khalil, nata nei giorni esaltanti del primo periodo di Piazza Tahrir, quando si ottiene la cacciata di Mubarak. Ha una alleata in una madre medico, instancabile soccorritrice dei feriti delle piazze e degli scontri prima con polizia ed esercito poi anche con i Fratelli musulmani. Suo padre, separandosi dalla famiglia ha fatto una scelta da borghese liberale, a cui sta bene un periodo di repressione, anche sanguinaria e feroce, per sbarazzarsi di ogni tipo di rivoltosi, islamisti o di sinistra che siano, purché possa continuare indisturbato nei suoi affari. E’ la posizione, fatte le debite differenze,che ha consegnato Italia e Germania alle dittature fasciste del secolo scorso.

Si ritrovano tutti questi giovani in una improbabile redazione, chiamata Chaos (un nome un programma!) allestita alla buona in un palazzo occupato, in cui realizzano un sito web, un podcast, una rivista mensile: i twitt e le mail, gli sms , gli Iphone  e l’organizzazione di eventi Facebook sono il loro pane quotidiano. Postando video, foto, commenti, richieste di aiuto e altro, informano gli egiziani e il mondo su quanto sta accadendo: documentano prima le reazioni repressive di Mubarak, i primi morti al Cairo e nel paese, la partecipazione della Fratellanza agli eventi di piazza e poi il loro voltafaccia e gli accordi con polizia ed esercito, le elezioni e la vittoria degli integralisti di Morsi.  E tanta, tanta musica che fa da colonna sonora al loro lavoro.

Mano a mano che, cacciato anche Al Morsi, ci si avvicina agli anni successivi al 2013 con la presa del potere da parte del generale Al Sisi, la loro voce si affievolisce, nessuno li ascolta più, è inutile postare immagini su cui la gente non ha più voglia di posare gli occhi. Troppi morti, troppe torture, troppe stragi di massa, le persone preferiscono la sicurezza alla democrazia.

I partiti della sinistra ufficiale si disperdono e non si alleano, la repressione ferrea di Al Sisi ha convinto Europa ed America che conviene tenersi il generale che combatte ferocemente i Fratelli musulmani e gli integralisti libici, i concentramenti di gente sono avversati, a meno che non siano guidati (protetti dicono al governo) da polizia segreta, esercito e quella parte di ex-fratellanza che è saltata sul carro  del vincitore.

Siamo nell’Egitto che è costata la vita al nostro Giulio Regeni: quante delle storie corali, narrate nel libro - impossibile fare l’elenco delle vite strappate brutalmente – ci richiamano le modalità di tortura e uccisione del giovane ricercatore italiano.

Le sconfitte peggiori le registrano le donne: sottovalutate  nella loro partecipazione agli eventi, molestate da tutti, stuprate prima che dall’odio politico dalla cultura patriarcale, sottoposte ad odiosi test di verginità: tuttavia qualcosa è restato nella costruzione di un movimento dei diritti delle donne, che  oltretutto in Egitto ha già una lunga storia. Il romanzo termina proprio con le immagini del processo ad alcune donne del movimento: indomite e bellissime sembrano reggere la fiaccola della speranza.

Khalil, prima lettore di testi politici classici sulle rivoluzioni, fonte di discussioni con Mariam e l’amico Hafez, comincia a citare brani di Atanasio di Alessandria, scritti dopo le ultime grandi persecuzioni contro il cristianesimo,”le montagne inospitali d’Egitto si affollarono a tal punto di gente che correva e gente che cercava che il deserto divenne una città, ma non una città costruita per durare, bensì una città in attesa della città futura, ed è lì che si può sentire la voce del sangue dei martiri e che il loro spirito ardente può essere tenuto in vita.”

E’ questo anche il senso del testo di Omar Hamilton, un omaggio a chi ha alzato la testa, incurante della propria vita per consegnare qualcosa a chi verrà dopo, perché ci sarà un dopo e la sconfitta non sarà per sempre, anche se sul momento domina essenzialmente la depressione.

Dopotutto Hamilton ha fatto il suo film, perché il lettore assiste ad una gigantesca proiezione montata , attraverso sequenze dal taglio talmente veloce e martellante  non sempre facili da seguire ,  insieme a pagine liriche brucianti e aggrovigliate, in cui si fatica, a volte, a capire l’interlocutore.

Su tutto domina la città del Cairo, espressa nelle sue contraddizioni e violenza, ma anche nella sua straripante creatività e vitalità. Ci sono pagine molto belle dedicate ai suoi palazzi moderni e antichi, ai suoi boulevards e ai vicoli, ai locali alla moda e ai piccoli bistrot, e soprattutto ai suoni. Non solo a quelli del traffico impossibile, con cui si suole rappresentare questa capitale, ma a quelli degli uccelli e dei pipistrelli, alle musiche che salgono dalle viuzze, dalle radio-tv perennemente accese, dalle taverne di ogni quartiere centrale e periferico. E infatti sarà il silenzio innaturale della città e degli uccelli a rappresentare, per l’autore, la repressione attuale e la cancellazione di ogni voce.

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