Paulina Chiziane, L'allegro canto della pernice                                         
La Nuova Frontiera, 2010

Traduzione dal portoghese (Mozambico) di Giorgio de Marchis

 
 
Un romanzo trascinante, e questo aggettivo non è casuale, perché è un testo che fascina e trascina come un canto magico.
Basti vedere l'incipit in cui una donna, Maria das Dores -  una delle protagoniste - emerge nuda dalle acque del Licungo, nera e luccicante di perle d'acqua come un idolo d'ebano, parla innocente la lingua dei pesci al vento, agli uccelli e agli stupiti astanti, accorsi a vedere lo sconcio spettacolo di fango offerto agli uomini lubrichi e alle donne timorate di dio.
La scrittrice utilizza frasi brevi, concitate, spesso costituite solo da aggettivi o nomi ed espressioni descrittive enfatiche e  sacrali. Caratteristiche di certo linguaggio poetico africano: in effetti la tradizione letteraria mozambicana è soprattutto di poesia, la più vicina alla tradizione orale, e da questa la Chiziane ha dichiarato, più volte, di essere stata formata e ispirata (basti pensare alle grandi voci di Noémia de Sousa e José Craveirinha).
Questo linguaggio rotola sulla pagina, si espande, ci trasporta sugli azzurri monti Namuli, tra i palmeti e le onde del mare, tra i colori accesi degli anturi , tra gridi di pernici sul  verde degli alberi e  di gabbiani su spiagge dorate.
Un tributo d'amore alla Zambesia, così bella, così martoriata, che ha faticato e ha pagato un prezzo altissimo per trovare una strada di pace e di armonica convivenza.
La trama gira intorno a tre generazioni di donne, Serafina, Delfina e Maria, nonna, madre,
figlia e a tutto il loro nucleo familiare di figli e figlie, fratelli e sorelle, mariti, amanti e consiglieri stregoni.
Ci troviamo storicamente in un periodo che va dalla colonizzazione portoghese, colta  negli anni '50, all'indipendenza nel '75.  Ma la storia con la esse maiuscola non si vede, quello che la scrittrice coglie sono le implicazioni nella vita dei singoli, le  trasformazioni che si producono nel tempo nella testa e nei cuori di uomini e donne concreti.
Il racconto si nutre di alcuni nuclei principali d'idee, sottostanti alle azioni o ai dialoghi dei personaggi o anche alle invettive appassionate della voce narrante.
Il primo è che la colonizzazione non ha portato solo miseria, sfruttamento, schiavitù, ma è penetrata in profondità negli animi dei colonizzati, gettando una ipoteca sul futuro del paese.
Il secondo che senza la collaborazione, formale ed esplicita o implicita di una parte dei nativi, nessuna colonizzazione è possibile veramente. Il terzo è che il sesso e il ventre delle donne hanno svolto un ruolo fondamentale nella costituzione del paese e nella formazione della gerarchia del colore. L'ultimo concerne lo scontro tra generazioni che reca il segno del doppio: fa avvertire il nuovo come positivo, ma sottolinea anche la perdita del patrimonio culturale originario.
Detto ciò, il testo è tutto tranne che un romanzo a tesi.
La struttura circolare del romanzo con la scena iniziale che ritorna nel finale - Maria la folle, apparsa dalle acque che scendono dai monti, riacquista lucidità mentale insieme al marito e ai tre figli scomparsi - ci trasporta più nelle favole, nelle leggende, nei  miti di questa terra, nella magia e riti tradizionali, nella ricerca e speranza di un avvenire più armonioso, che però la scrittrice già corrode con le anticipazioni della guerra civile.
Anche l'arrivo dei portoghesi - nel testo chiamati sempre marinai - viene narrato con le stesse modalità, o così pure la millenaria guerra dei sessi o la mitica preistoria delle popolazioni che hanno abitato l'Africa delle origini.
Tutti i personaggi devono attraversare un biblico deserto della deprivazione, l'espiazione nel rimorso e nella sofferenza o il gelo della solitudine priva di affetti o l'esilio sulla luna, metafora della follia, per ritrovarsi con se stessi  e riconciliarsi con gli altri.
 Ma nel frattempo hanno, nella maggioranza, sperimentato contraddizioni, causa di eventi spesso dall'esito tragico .
 
Per entrare nella complessità della Storia del Mozambico, lo facciamo attraverso gli errori  e le ambiguità delle protagoniste e dei loro uomini.
Il padre di Serafina rappresenta sì la resistenza passiva dei non assimilados, non entrare in quella categoria fa sembrare di essere al riparo dalle compromissioni con il regime, ma cosa resta ai neri allora? Solo deportazione e lavoro forzato, frusta e morte, rivolta e massacro.
Ecco che la soluzione di Serafina,  di sottrarre Delfina a un magro destino  di maestra per indigeni per affidarla a quello avventuroso e scandaloso di puttana per bianchi e assimilati, fa entrare sicuramente più soldi in famiglia e sulla tavola non fa mancare baccalà, olive e un po' di vino. Madre maledetta, Serafina, che vuole rifiutare il matrimonio di Delfina con il nero José, il forzato,  perché nei figli neri che verranno vede la sorte cui sono stati avviati i suoi tre figli maschi: razziati e venduti, scomparsi nel nulla. Preferirebbe saperla amante riverita di un bianco sposato e mettere al mondo figli meticci, che seguirebbero un destino migliore e innalzerebbero il livello della famiglia: istruzione, niente lavori forzati nelle piantagioni e, per le femmine, la speranza di sposare un bianco, il top della carriera. E l'amore? Una trappola per topi.
Del resto, non è la passione che spinge le nere nelle braccia dei bianchi: è un altro tipo di amore, quello verso la  salvezza della propria discendenza, un istinto naturale che porta le madri a creare nidi più confortevoli per la sua prole.
Delfina, bella, sfrontata e intelligente non fa altro che applicare la ricetta, con una determinazione incredibile, un fiuto per gli affari e una fiducia smisurata nella propria bellezza e nel proprio sex-appeal, servendosi di tutto e di tutti  per i propri fini: una Lilith in versione africana. Per cominciare ad avere qualcosa della vita dei bianchi spinge a entrare negli assimilados  il marito Josè che diventerà un sipaio, cioè un militare indigeno che svolge il lavoro più sporco della repressione, acquistandosi l'odio dei neri e una stima pericolosa da parte dei bianchi che si dicono: da tenere d'occhio, questo José, il giorno che si metterà con i colonizzati rappresenterà una minaccia per i portoghesi, date le sue prestazioni audaci e coraggiose, asservite al potere solo per il momento.
Ma a Delfina non basta, riuscirà ad avere dal portoghese Soares, che imbriglierà con le sue doti sensuali e rituali di magia nera, i figli meticci che ha sempre sognato, per mettere piede a pieno diritto nel dorato mondo dei bianchi: i suoi figli erediteranno beni, frequenteranno le migliori scuole, sua figlia Jacinta sposerà per davvero un bianco, superando la posizione di semplice amante di un bianco avuta da sua madre.
Ma la vittoria personale di Delfina non dura per sempre, secondo il noto proverbio, per cui chi troppo vuole nulla stringe. Un destino di ubriacona e maitresse di casino l'attende al varco e poi il nulla della solitudine della bottiglia.
La linea del colore segna uno spartiacque e la nascita di una gerarchia all'interno della  famiglia stessa di Delfina: la prima figlia di Delfina e José, la nera Maria Das Dores, sarà relegata ai gradini più bassi, al rango di serva della madre e governante di Jacinta, sconvolgendo piano piano la sua mente, fino alla degradazione del matrimonio con Simba, stregone consigliere della madre a cui quest'ultima la venderà.
Anche la vita di Jacinta, meticcia chiara di pelle, da sembrare quasi bianca,  non sarà priva di dolorosa ambiguità: i bianchi sanno quale è il loro posto, i neri anche, ma il suo quale è? Troppo bianca per i neri, ancora troppo nera per i bianchi, c'è confusione nella sua testa.
Ancora doppiezza di senso. Da un lato Delfina contribuisce con il suo ventre, (così come hanno contribuito con il loro tante altre donne che seguono la sua strada) a modificare la storia del Mozambico per cui saranno i figli degli assimilati a lottare per primi per l'indipendenza, dall'altro si pone al vertice di una serie di disgrazie che da lei si origineranno e che si scioglieranno favolisticamente solo nel finale.
Dalla innocente Maria Das Dores  la storia riprende un  corso positivo, i cuori si piegheranno al perdono e alla riconciliazione, preannunciando l'auspicio che, anche dopo la guerra civile, la riconciliazione porterà finalmente la pace.
Ma attenzione, ci ricorda l'autrice, il colonialismo si è spostato: dalla oppressione sui coloni tutti alla oppressione sulle donne e sui gradini più bassi della società: la lotta continua ancora.
 
23 aprile 2010
Giulia De Martino

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