Tahar Wattar - La candela e i labirinti - recensione a cura di Giulia De Martino

 

 

Tahar Wattar

La candela e i labirinti

Jouvence, 2019

traduzione di Hocine Benchina

 

Vogliamo riproporre un libro di lingua araba, scritto nel '94 e tradotto per Jouvence nel 2019, perché difficilmente si trovano sul mercato italiano testi di scrittori arabi nordafricani non francofoni, per una certa riluttanza dell'editoria francese nei confronti di autori non influenzati dalla cultura francese.

Infatti Wattar, deceduto nel 2010, pur avendo studiato, all'epoca pre-indipendenza, in un istituto francese, è stato per tutta la vita propugnatore di una arabizzazione del paese, convinto che espropriare gli algerini dalla propria lingua abbia significato spogliarli della loro stessa identità. E per identità non intende solo la lingua araba e la religione islamica, ma la complessità delle stratificazioni di cui la sua terra si è nutrita: fenicia, berbera, romana, araba, turca...Ricordiamo che l'autore nasce in una famiglia amazingh dell'est algerino vicino alla città di Costantina, dove poi è andato a studiare. Autore prolifico è stato anche giornalista di più testate negli anni '60-'70 , tutti chiuse dall'FLN, ormai diventato regime, e fondatore dell'associazione Al-Giahizzyya nel 1989, per promuovere confronti e dibattiti all'interno della cultura araba, sopravvivendo fino al 2000 all'integralismo e al terrorismo del FIS, guadagnandosi la stima di molti che pure non la pensavano come lui. Avendo studiato nella prestigiosa università islamica tunisina Al-Zeytuna è stato anche un profondo conoscitore di argomenti religiosi. Oggi è considerato tra i più grandi scrittori in lingua araba di età post-coloniale.

La figura del protagonista del testo, un intellettuale quarantenne, poeta e professore in un istituto ad Algeri, si ispira alla vita del suo amico poeta Youssef Sebti (peraltro scrittore francofono) a cui il libro è dedicato, assassinato nel '93 dai fondamentalisti durante la guerra civile di quegli anni, come lo scrittore Tahar Djaout e tanti altri scrittori, giornalisti, artisti, insegnanti, che si sono spesi per la libertà di pensiero.

Ma veniamo allo strano titolo La candela e i labirinti. Diciamo che è un testo impegnativo da leggere, ricco di riferimenti di storia algerina, tradizioni popolari e cultura classica araba, di citazioni religiose, ma anche di letteratura occidentale che mostra di conoscere molto bene. Il titolo contiene due parole chiave per interpretare il testo: i labirinti sono i labirinti della mente, che scaturiscono l'uno dall'altro, costringendoci ad una specie di discesa agli inferi, da cui non si sa se si può uscire. Ma la candela allude a qualcosa che ci può illuminare in questo buio tenebroso, di volta in volta rappresentato principalmente da un sincero e puro sentimento religioso o dall'amore per una donna reale o fantasmata che sia o anche da un pensiero scientifico.

In questa alternativa di buio e luce s'inseriscono eventi storici, come la guerra di liberazione dai francesi, il successivo cambio di rotta della generazione resistenziale, ormai imborghesita, resa avida dalla gestione del potere, tenuto saldamente in mano ad una ristretta élite, la nascita di gruppi integralisti che intercettano l'insoddisfazione sociale e politica degli algerini esclusi dalle decisioni riguardanti il paese. Sono presenti anche pensieri vaganti, discussioni, elucubrazioni non solo del protagonista, ma di una miriade di personaggi rievocati dal passato o presenti nell'azione della brevissima vicenda narrata ora in prima persona ora in terza. Il personaggio del poeta è molto interessante per i fondamentalisti proprio per la sua posizione religiosa, ma l'idillio dura poco e il testo si conclude con la morte del professore, comminata da uno strano tribunale che agisce alla maniera di Kafka o Durenmatt.

L'autore segue gli eventi che sono a ridosso delle elezioni del '92, le prime dopo lo strapotere del partito unico dell'ex-FNL, conclusesi al primo turno con la vittoria del FIS e il contrastato blocco del secondo turno che dà avvio alla guerra civile. Tutto il testo risulta essere un'analisi del perché si è arrivati a questo, della fascinazione dell'integralismo su giovani colti e abbienti, che poi di fatto non appena hanno potuto se ne sono partiti dall'Algeria; su come il fattore religioso sia sempre stato enormemente importante per gli algerini, non solo in riferimento all'Islam. Wattar, a questo proposito, fa un discorso interessante anche sull'integralismo donatista del IV sec. d.C. una specie di nazionalismo punico antiromano, che univa integralismo e riscatto sociale.

I contadini, esclusi da tutto, hanno sempre avuto solo la religione cui appellarsi per uscire dalla loro miserevole situazione. Di fatto anche i politici al potere, laici e occidentalizzanti, dentro fino all'osso alla cultura di quei Francesi che pure avevano combattuto, hanno dovuto cavalcare la bandiera religiosa, per chetare i ribellismi del popolino.

Una lettura affascinante, che non si riesce ad abbandonare neanche quando non si capisce bene chi parla e di che cosa. Seguiamo il protagonista che recita versi, esegue danze popolari sfrenate, agitando i lembi di un bianco burnus, rifiutare qualsiasi legame sentimentale per la paura che l'amore possa distrarlo dal leggere libri e nello stesso tempo perdersi dietro i tratti di leggiadra gazzella di una donna di cui non sa nulla.

Dire struttura labirintica è poco, ma vale la pena tentare di attraversarla.

 

 

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