E’ il secondo romanzo che la casa editrice Neri Pozza ci propone di questo autore egiziano così insolito per noi lettori italiani, dal momento che i suoi terreni d’indagine e di immaginazione riguardano non solo secoli lontani, ma anche luoghi e genti di cui sappiamo poco o nulla.
Questa volta la sua penna ci porta nel VII secolo, dapprima ai bordi dei rami orientali del delta del Nilo, in un villaggio chiamato Borgo, distinto dal Borgo Grande, vicino alla Città Bianca, poi in un viaggio estenuante, attraverso il Sinai, il golfo di Aqab, attraverso deserti e montagne fino al territorio dei Nabatei dell’antica Petra. Anche in Azazel, il precedente romanzo, il lettore viaggiava in lungo e in largo per l’Egitto, la Palestina e la Siria con il monaco Ipa. Qui vediamo e sentiamo con gli occhi e il cuore di una giovane cristiana copta, Marya, che a sedici anni va sposa ad un mercante nabateo, Salama, e segue il marito per andare nella sua nuova casa in quella che, già nel VII secolo, era considerata una città ormai in rovina, rispetto ai precedenti splendori, di cui permangono ancora resti grandiosi che incantano la ragazza quanto i resti degli antichi templi egizi.
Marya non è istruita, come non lo è nessuno nel Borgo in cui è nata: unica fonte di conoscenza le parole della madre, le chiacchiere delle parenti, delle amiche più svelte o più grandi, le prediche del prete Shunuta e qualche rudimento di lettura e scrittura del padre Bakhum, in odore di eresia, si apprenderà poi. La ragazza non sa nulla delle differenze religiose che dominano il mondo bizantino, discese dal credo di Calcedonia del V secolo. Quando gli domandano se è giacobita, non sa rispondere, sa soltanto che il prete Shunuta ce l’ha con quelli della Città Bianca, i maledetti melchiti, perché sono lontani dalla vera fede e sicuramente bruceranno tutti all’inferno. Quella del Borgo è un religione essenziale: c’è un Dio creatore, c’è un Cristo salvatore, ci sono gli angeli e i diavoli, soprattutto c’è la Vergine, a cui viene tributata una grandissima devozione. Nella piccola chiesa del villaggio ci sono dipinti, ma lei non riconosce quello che vi è dipinto, i santi rappresentati: ”la madonna vergine è l’unica donna raffigurata nella chiesa, gli altri sono uomini…a sinistra sulla porta è rappresentato un vecchio canuto che scrive, con accanto un leone accucciato. Il leone è un gatto enorme che vive in contrade lontane, ed è feroce.”
Gli abitanti del Borgo parlano il copto, che non è altro che una trasformazione dell’antico egizio, ma comprendono e parlano l’arabo, per la frequentazione dei mercanti discendenti dai Nabatei che propriamente sono dei proto arabi, che tanta importanza hanno avuto per la nascita della scrittura e lingua araba, nata nella penisola d’Arabia, sotto l’esempio mirabile e immaginifico del Corano. Marya sa solo che sono in corso terribili guerre, il loro territorio è conteso tra bizantini, che loro chiamano Romani, e i persiani e ci sono voci di movimenti a sud, nella penisola arabica, a causa di un profeta, fuggito dalla sua città, perseguitato dai suoi nemici.
Ecco, il lettore occidentale si sente come la giovane Marya, non sa niente dei personaggi storici citati, appartenenti agli albori dell’Islam, non immagina le trame, losche od esplicite che accompagnano la nascita della conquista musulmana, apprende con stupore degli accordi e dei patti violati con gli Ebrei stanziati nel centro e nel sud della penisola arabica, dei massacri degli ebrei del nord perpetrati dai vescovi siriani, delle autorità religiose cristiane che non potendone più né della esosa fiscalità dei bizantini né del giogo pesante dei persiani consegnano le città ai musulmani.
Veniamo a sapere della Storia, attraverso la storia di Marya, del suo villaggio originario e del clan delle famiglie che abitano al di là del Wadi Araba e del Wadi Ramm, tra le case scavate nella roccia, in una gola misteriosa e gli attendamenti alla base delle costruzioni mirabili che li sovrastano.
La vicenda, dunque, si muove con l’arrivo della carovana dei Nabatei che hanno fretta di tornare a casa, proprio perché si rendono conto che le strade cominciano a non essere sicure per i commerci e Salama e i suoi fratelli vogliono portare con loro la promessa sposa, prima del previsto. Il marito non è quello sperato, non fa battere il cuore e pulsare il sangue come era successo con un misterioso straniero che aveva colto la sua verginità, senza che lei capisse, nella sua pura ignoranza, cosa fosse successo veramente. Ma gli occhi, lo sguardo, la voce e le parole del più giovane fratello, chiamato lo Scriba, quelli sì l’attireranno, dapprima inconsciamente e poi sempre con una maggiore consapevolezza.
La famiglia del marito è un esempio delle credenze religiose nell’epoca pre-islamica: Salama è un cristiano, sia pure tiepido, suo fratello più grande è detto il Giudìo, perché si è convertito alla religione degli ebrei, che peraltro non lo riconoscono come tale, in quanto non è figlio di madre ebrea, anzi questa è una pagana politeista, adoratrice della antica dea Allat, venerata sotto le spoglie di una grande pietra bianca. Lo scriba, chiamato così in quanto addetto alla stesura dei contratti commerciali del gruppo, ha fama di profeta e crede in Allat, la madre ed El, suo figlio, venerati nel monte Sinai e nella penisola arabica.
Nella figura del Nabateo, lo scrittore pone tutta la sua conoscenza dell’islam e del cristianesimo delle origini, rappresentando un uomo mite, alieno da una religiosità appariscente e litigiosa, forse un hanif o un sufi, che mescola idee e credenze che sono già state espulse dal cristianesimo e lo saranno dall’islam e che rifiuta il ruolo, che gli viene offerto, di profeta guerriero da contrapporre a Muhammad.
Marya sente dire, da lui, cose mai udite prima e ne resta affascinata, anche per la sua sensibilità così vicina a quella femminile e così distante dalla rozzezza di suo marito. Non avviene nulla tra di loro: lei cerca di essere una brava moglie, ma sa che il fatto di non aver generato figli sarà motivo di allontanamento del marito, finché apprenderà che non è lei a non potere generare, ma Salama, anche se la famiglia glissa sull’argomento, per non metterlo in una situazione riprovevole con parenti e vicini.
Nella nuova vita con i Nabatei la giovane moglie di Salama cerca di inserirsi, ma ci riesce finché gli sono accanto alcune figure femminili, come la madre del marito, Umm al-Banin o Laila, che l’introduce con lei, ad una sessualità assai diversa dal coito pesante e rozzo del marito . Quando i Nabatei e gli Ebrei partiranno per l’Egitto per preparare la venuta degli eserciti musulmani, dopo un accordo intervenuto e una frettolosa conversione, Marya, approfittando della gran polvere sollevata dalle greggi ovini, resta indietro, sicura che nessuno sentirà la sua mancanza, tanto più che il marito le ha annunciato che intende sposarsi con un’altra moglie, dato che la nuova religione glielo consente. Resterà con Il Nabateo che si è rifiutato di seguire i fratelli, affrontando insieme un avvenire pieno di incognite e insicurezze.
Un nuovo mondo si profila, c’è chi si converte per fede, c’è chi si converte per convenienza, c’è chi resta fedele alle sue credenze, ma in quella parte del mondo niente sarà più lo stesso. I copti cristiani cominceranno il loro cammino faticoso, fatto di alti e bassi, nei rapporti con i nuovi dominatori, di cui ancora oggi scontano le conseguenze. L’autore non nasconde le implicazioni insite nella diffusione di una religione armata, né si fa illusioni sulla autenticità religiosa delle conversioni, mostrando quel lato includente e pragmatico che ha contraddistinto l’islam nella sua avanzata.
Il testo, ammettiamolo, risulta un po’ ostico per chi non è avvezzo alla storia islamica dell’epoca delle conquiste, ma è una miniera di informazioni e descrizioni di luoghi che ci si lascia incantare. Le pagine più belle sono quelle dedicate alle visioni di deserti di ogni genere, di remoti monasteri ancora oggi visitabili sul Sinai, delle sfumature del mare di Aqab , di tutti i colori possibili che assumono le rocce di Petra, ai suoni delle acque e dei temporali nella gola, ai silenzi sotto le stelle.
Un appunto vogliamo, se mai, farlo alla costruzione dei personaggi che spesso promettono più di quanto effettivamente mostrino nel loro sviluppo. I perché di certe azioni o affermazioni, a volte, restano nell’ombra. Le figure femminili sono più attraenti, perché più inquiete e cercano qualcosa oltre l’orizzonte previsto dai maschi.
Forse, nel tentativo di dominare il contesto storico-culturale, il professore universitario ruba spazio allo scrittore, ma glielo perdoniamo perché il piacere della lettura resta ugualmente intenso.