Ama Ata Aidoo - Cambiare - recensione a cura di Rosella Clavari

 

 

 

 

 

 

Ama Ata Aidoo

 Cambiare

 Mondadori, 2022

 traduzione di Sara Amorosini

 

Ama Ata Aidoo classe 1942, è una grande scrittrice africana, nata nel Ghana centrale, autrice di poesie e romanzi e ha dimostrato il suo impegno sociale ricoprendo anche il ruolo di ministro dell’Educazione e di insegnante in alcune Università europee.

Antesignana del movimento femminista quando ancora non se ne parlava, ha combattuto contro l’emarginazione della donna e la prevaricazione maschile in famiglia e nel lavoro. Bisogna prendere atto che ha saputo trasmettere questi messaggi così importanti con la leggerezza di una scrittura ironica e tagliente, con il calore della tradizione orale trasferita nella pagina scritta e soprattutto con l’amore verso la gente della sua terra. Lei stessa è cresciuta in una famiglia tradizionalista avendo modo fin da piccola di di confrontarsi con diversità culturali in modelli apparentemente simili. Ci sono infinite varietà di appartenenze all’interno del Ghana, prima e dopo il colonialismo e molti i cliché imposti dalla società che Ama Ata Aiddo intende sfidare per affermare la propria libertà di donna. L’arma della scrittura si rivela quella più efficace.

Il romanzo in esame è stato scritto nel 1991, eppure anche a distanza di 31 anni troviamo questioni su cui si dibatte ancora oggi. Per esempio la protagonista Esi, di quella classe sociale istruita che vive in un quartiere residenziale di Accra, decide di lasciare Oko, il marito che pure è stimato dalla sua famiglia e dalla sua più cara amica, per un motivo grave ma non riconosciuto dalla società in cui vive: lo stupro coniugale. Lì per lì deve prendere coscienza di quanto è successo, è frastornata dall’atto violento e possessivo del marito che non tiene conto del consenso della moglie. Poi decide che non può vivere accanto a un uomo del genere se non perdendo la sua dignità. Dietro quel gesto di violenza inoltre c’è l’insofferenza di un uomo che non sopporta di avere una donna che dedica troppo tempo al suo lavoro, una specie di “donna in carriera”.

L’amica del cuore di Esi, Opokuya, è una infermiera diplomata, specializzata in ostetricia, che ha trovato una certa tranquillità nel suo menage familiare con 4 figli e un marito , Buki; con lui discute solo per via della macchina da dividersi per esigenze lavorative. Opokuya è quello che Esi non è: prosperosa mentre Esi è snella e alta, dedita al marito Kubi e alla famiglia mentre Esi ha voluto una sola figlia e prende gli anticoncezionali. Dai loro dialoghi capiamo cosa si cela in fondo al loro cuore e le dinamiche delle loro relazioni. Dopo Oko le cose non miglioreranno per Esi: troverà sì l’amore in Ali , un giovane nero musulmano che lavora presso un’agenzia turistica da lui fondata, la Linga. Ali che “aveva le movenze di una pantera ed era davvero bello” scatena una attrazione irresistibile in Esi, prontamente ricambiata ma c’è un particolare….Ali è sposato con Fusena e nella sua cultura poligamica nulla osta che Esi possa diventare la sua seconda moglie. Anche la poligamia è un argomento che presso la generazione di Esi non trova piena accoglienza perché lei proviene da una famiglia cristiana, e ciò crea anche disagio; ci sono delle regole da osservare che la fanno sentire un’amante segreta più che una seconda moglie riconosciuta. Inoltre la sua famiglia che aveva accolto il primo marito, non vede di buon occhio Ali. Per Esi il parere della nonna e della madre è molto importante e dovrà scontrarsi anche con questo. La nonna ha una visione disincantata dell’amore e del matrimonio “ L’amore?….L’amore non è sicuro….[…] l’ultimo uomo che una donna dovrebbe mai pensare di sposare è l’uomo che ama”. Esi però sentiva di avere messo poco entusiasmo nella relazione con Oko, sembrava grata già del fatto che lui l’avesse voluta sposare. Per la nonna la ragione principale del matrimonio sta nel mettere al mondo dei figli ma per Esi non è così.

La prima moglie di Ali, Fusena, che con lui mette al mondo tre figli è stata ostacolata nel suo lavoro di insegnante dal marito che per farla contenta le compra un chiosco market molto remunerativo. Ma senza dubbio non qualificante come l’insegnamento, per cui Fusena, sentendo che Ali prenderà come seconda moglie una laureata, si risente per tale gesto. Inoltre la scelta che ha fatto Ali si rivela un gran pasticcio poiché non rispetta le regole del matrimonio poligamico visto che le due donne non si incontreranno mai pur sapendo l’una l’esistenza dell’altra. Si tratta di una mossa molto opportunistica. Come dice l’anziana Nana, nonna di Esi, “gli uomini sono divoratori. Potevano dare il meglio di sé quando venivano fatti dei sacrifici al loro ego […] noi africani abbiamo permesso a noi stessi di essere regolarmente sacrificati all’ego degli europei, no?”

 La vivacità dei dialoghi, delle amiche e dei genitori dei rispettivi coniugi, a volte disseminati di proverbi (“i nostri anziani hanno un proverbio adatto a descrivere ogni situazione”) sono un piccolo trattato sulla società africana ghanese con comportamenti estensibili anche ad altre parti del continente e del mondo. Esi ascoltando nel dormiveglia la nonna e la madre che conversano tra loro, due persone prive di istruzione ma sulla stessa linea di pensiero, riflette sul fatto che non sarebbe mai stata così vicina a sua madre come sua madre lo era a sua nonna.

Per Esi, anche l’amore con Ali finirà al terzo anno di matrimonio, quando si accorgerà che lui la tradisce con la nuova giovane segretaria. Le sua assenze saranno sempre più frequenti, tenterà di rimediare regalandole una macchina nuova e lei penserà : “un contentino, un surrogato della sua presenza”; tuttavia il matrimonio resta in piedi anche per non dovere affrontare di nuovo la consultazione di tutti i parenti avvisati del fatto. Quello che cambia radicalmente è che tutte le domande e le risposte spariscono e “lei dovette abituarsi a non chiedersi dove fosse quando non era con lei “. Intanto non muore la speranza di trovare un modo di amare adeguato.

Esi non trova il coraggio di stare da sola e nelle conversazioni con l’amica Opokuya nota che la loro società non ha mai tollerato le donne non sposate, vedove o divorziate o semplicemente single. “Essere single è visto come un insulto alla gloriosa mascolinità dei nostri uomini” dice Opokuya ed Esi ne prende atto facendoci comprendere quanta strada sia stata fatta e ancora si debba fare per salvaguardare la dignità e la libertà della donna.

 

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