Damon Galgut
La preda
edizioni e/o,2024
traduzione di Tiziana Lo Porto
Tradotto e edito nel 2024, il testo dello scrittore sudafricano risale in realtà al 1995, costituendo la prima prova letteraria di questo scrittore, destinato con altri romanzi a vincere numerosi premi. Per chi ha già letto i testi successivi La preda appare come un incunabolo di temi e stili in seguito sviluppati. Quando apparve non convinse molti lettori e forse anche in questa edizione ci sarà chi storcerà un po' la bocca, perché il brevissimo romanzo, di circa 140 pagine, divise in capitoletti corti, addirittura alcuni di poche frasi, si presenta con una trama quasi inesistente e con personaggi psicologicamente appena abbozzati. Eppure lo stile con cui il testo è scritto induce a continuarne la lettura, si resta irretiti nel suo linguaggio quasi ipnotico che presenta figure umane evanescenti sperse in un paesaggio che sembra il vero protagonista: il veld, le pianure aride e desolate del sud rurale dell'estrema Africa meridionale, disseminate di villaggi fatiscenti e persone problematiche, di carcasse di animali e ferri vecchi ad arrostire al sole e al vento. Basti pensare che il villaggio, in cui si svolge parte della storia, ospita il locale comando di polizia in un casolare fatiscente, circondato da sacchi di sabbia e la chiesa, quasi nuda di suppellettili, è incrostata di cacche di piccioni.
Dunque nelle prime frasi appare un uomo, forse un prigioniero evaso che scappa, di cui il lettore non sa nulla, dato che la storia inizia con “Poi...”, mettendolo in mezzo a un qualcosa di cui sfuggono contorni e significati. Nel corso della fuga incontra un macchinone scassato con a bordo un prete che è in viaggio verso il villaggio di cui sopra per diventare il nuovo parroco di una delle due chiese ivi esistenti. Anche se riluttante questo prete lo accoglie, lo sfama: sembra un incontro significativo per il fuggiasco, ma la trama vira verso un efferato omicidio nei pressi di una cava, che resterà protagonista per l'intero racconto. Forse una velata richiesta di atti omosessuali da parte del parroco è all'origine del fatto, ma il lettore non ne ha certezza come per ognuno dei fatti che accadono in questa non trama. Il fuggitivo senza nome si appropria dell'abito e degli effetti personali dell'uomo ucciso (e da lui seppellito nella cava) per presentarsi a una specie di perpetua della parrocchia come il nuovo parroco.
A questo punto compare il capitano della polizia, sospettoso per natura, come del resto il fuggitivo abituato a non fidarsi di nessuno, a cui il nuovo parroco non piace, anche se con i suoi discorsi sulla libertà e il mondo come prigione ha infiammato i fedeli che sono aumentati. Con la scoperta del cadavere, nasce una gigantesca caccia, in cui non sempre è ben chiaro chi è l'inseguito e chi l'inseguitore. E la storia s'ingarbuglia per l'incrociarsi di una coppia di fratelli, ragazzotti del luogo, coltivatori di un campicello di marijuana nei pressi della cava che rischiano di passare per gli assassini del prete. Sono in tre in questa caccia: il capitano, l'uomo senza nome e uno dei fratelli, ma è veramente difficile distinguere cosa succede. Intanto il lettore resta intrappolato dalle descrizioni del veld, del cielo, della luce, del caldo, dei corpi dei tre sempre più disfatti dal sudore, dalla sete, dalla paura. Sempre più assomigliano ad animali. Le cose che accadono a volte le sappiamo dalle chiacchiere degli abitanti del paese, ma sono supposizioni e la realtà ci sfugge sempre.
Tutti sembrano sempre nascondere qualcosa, di essere gravati da chissà quali colpe da espiare. Il finale è oscuro quanto l'inizio: la cava è la metafora delle ombre di tutti i personaggi, dell'offuscamento delle coscienze, della colpa e della ricerca impossibile di redenzione. Tutto è precario e privo di una luce di speranza. Ricordiamo che il titolo in inglese The Quarry reca il doppio significato della parola che allude sia alla parola preda che alla parola cava, dunque per il lettore inglese i significati ambigui sono più in evidenza, il titolo italiano mette l'accento sulla caccia alla preda.
Le oscurità rimandano alla storia del Sudafrica, al pessimismo dell'autore circa i cambiamenti reali nel Sudafrica post apartheid (ricordiamo che questo breve racconto è a ridosso della nascita del nuovo Sudafrica) tema sviluppato in molti dei suoi romanzi successivi. Avvincente lettura, ma resta in testa anche l'idea che il testo sia stato per l'autore uno sperimento stilistico, con il sapore tutto kafkiano delle atmosfere sospese, con l'eco delle letture su cui si è formato, per esempio i contadini di Galgut assomigliano un po' ai disperati di Steinbeck e Faulkner. Nei successivi romanzi questi elementi si scioglieranno con maggiore fluidità.