Kevin Ochieng Okoth - Red Africa. Questione coloniale e politiche rivoluzionarie - recensione di Giulia De Martino

Kevin Ochieng Okoth

Red Africa

Questione coloniale e politiche rivoluzionarie

Meltemi, Visioni eretiche, 2024

 

L'autore di questo testo è un angloafricano esperto di temi legati all'antimperialismo e ai movimenti anticoloniali del XX secolo e sigla un testo che ha già suscitato numerose polemiche e contestazioni. Okoth è mosso soprattutto dalla volontà di voler superare i due tipi di afropessimismo dominanti: uno di ambiente occidentale più antico e l'altro più recente che lui denomina AP2.0, prevalente tra gli intellettuali neri e bianchi che nelle università americane dominano gli studi post e decoloniali.

Il primo è veicolato dai media occidentali che diffondono “la disperazione africana”, ampliata da corruzione, clientelismo e conflitti etnici, sostanzialmente basata su motivi iscritti nelle culture tradizionali degli africani ma questa interpretazione occidentale in realtà serve a mascherare il caos economico e politico post indipendenze e il persistente sfruttamento di popoli e risorse. Il secondo è un discorso teorico, coltivato soprattutto in molte università anglosassoni, che sposta l'attenzione dalla decolonizzazione politica alla decolonizzazione dei saperi, contestandone il carattere eurocentrico, entrando nella epistemologia e pratiche dell'Altro culturale e linguistico. Si abbandona perciò quanto costruito dai movimenti, negli anni '65-'75, di bianchi ma soprattutto di neri americani che coniugavano una lotta radicale per i diritti negli Usa con la solidarietà politica diretta a minoranze e a movimenti di liberazione nazionali nel mondo. Marxismo, nazionalismo nero e panafricanismo insieme vengono abbandonati. Perciò la Blackness, secondo gli intellettuali di oggi, è diventata una condizione eterna che prelude alla impossibilità di partecipare a pieno titolo alla vita politica e sociale; l'Africa è solo il luogo di partenza della disumanizzazione della schiavitù coloniale e la storia del continente è ridotta a quest'unico tragico evento che impedisce di comprendere le realtà dell'oggi e di avviare una politica di trasformazione dei rapporti sociali per immaginare un mondo diverso.

Liquidate le politiche di liberazione nazionale d'ispirazione marxista come eurocentriche, liquidato lo stato-nazione come un feticcio imposto dall'esterno, non si offrono riferimenti storici e strumenti per uscire dal neoimperialismo ancora oggi in vigore. L'afropessimismo alimenta le rivolte rabbiose ma defluisce in antipolitica e anarchismo, senza una organizzazione capace di trasformare le rivendicazioni in cambiamenti durevoli. Questo vale, per Okoth, sia per i paesi africani che vogliono emanciparsi da una integrazione periferica nella economia capitalista sia per i movimenti come il Black Lives Matter.

L'autore parte quindi per un'analisi appassionata dei movimenti nazionali che precedono e seguono le indipendenze africane: esiste o no la possibilità che in Africa possano affermarsi politiche autenticamente emancipatorie e democratiche?

E' esistito o no un socialismo africano?

Non a caso oggi molti intellettuali preferiscono il Fanon di “Pelle nera, maschere bianche” a quello de “I dannati della terra”, libro profondamente profetico nel predire quello che sarebbe successo agli stati africani appena usciti dalle lotte nazionali; Fanon analizza la trasformazione dell'intellettuale piccolo borghese, educato all'ombra dello stato coloniale che supera il condizionamento psicologico che induce ad identificarsi con l'oppressore e, partecipando insieme al popolo, alla lotta di liberazione, mette in discussione i valori occidentali. E' quello che Frantz Fanon ha fatto, in Algeria, come medico francese proveniente dalla Martinica, partecipando e sostenendo l'FLN, fino alla sua morte per leucemia nel 1961 a circa 40 anni.

Okoth è consapevole che Marx, pur riconoscendo che il commercio degli schiavi ha giocato un ruolo chiave nell'accumulazione capitalistica, non è uscito da un quadro storico europeo non sempre confacente alle diverse situazioni africane, considerando lo schiavismo un blocco unico senza distinzioni, senza addentrarsi nelle implicazioni del razzismo.

Quindi Okoth procede dall'analisi della nascita del primo movimento che ha cercato di contrastare le narrazioni storico-culturali dei bianchi: la Negritudine. Per poi proseguire con le due fasi del cosiddetto socialismo africano quello degli anni'50-'60 a quello dei '60-'70.

Negli anni '30, a Parigi un gruppo di poeti ed artisti prova a contrastare il modello estetico imperante: la bellezza e la superiorità storico-culturale dei bianchi; rifiutando l'assimilazionismo, la razionalità illuminista, con una decostruzione all'interno della lingua francese, propone la bellezza e la vitalità dei corpi neri, esaltando la storia africana, l'emotività e l'elan vital alla base della produzione culturale nera.

L'autore sottolinea come il senegalese Senghor e il martinicano Cesaire, tra i maggiori rappresentanti della corrente, pur prendendo di petto razzismo e colonialismo non trasformano la loro posizione in politica rivoluzionaria, restando radicati nella mentalità e cultura occidentale. Anzi Okoth attacca soprattutto Senghor, diventato prima leader e poi presidente del Senegal, nella sua azione di voler superare il Marx materialista ed economicista, approdando ad un socialismo ispirato allo spiritualismo nero in continuità con una tradizione comunistica del continente, avviando il mito della vita comunitaria del villaggio precoloniale, illudendosi che fosse priva di gerarchie sociali. Nkrumah in Ghana, Nyerere in Tanzania, Sekou Toure in Guinea, Senghor in Senegal, Modibo Keita in Mali agirono nella convinzione che i tradizionali elementi comunitari delle culture africane fossero socialisti di natura e potessero essere base per un programma ugualitario di sviluppo nazionale. Socialismo umanitario, si tentò di definirlo.

In realtà questi politici, che dovevano barcamenarsi tra Usa e Urss durante la guerra fredda, restano intrappolati in una operazione di implementazione della dottrina economica neoliberista nel Sud del mondo, a partire dal colpo di stato in Cile nel'73, realizzato con l'aiuto americano. Segue poi la crisi petrolifera che aumenta i debiti nazionali; l'aiuto chiesto alle istituzioni finanziarie (FMI e BM) si fonda su una sola ricetta: austerità, provocando crollo della spesa pubblica, alti tassi di interesse, bassi salari. Ai leader delle lotte nazionali e alle ristrette borghesie che rappresentano non resta che adeguarsi (e pensare a salvare se stessi, i propri parenti e il proprio clan...) o essere deposti o, peggio, fatti fuori, eliminati fisicamente o estromessi dalla politica. Le nuove élite cooptate o comprate sono lontane dai bisogni della popolazione: i governi sono incoraggiati a sviluppare programmi di sviluppo del libero mercato e strumenti atti a proteggere le multinazionali dalle pressioni democratiche degli oppositori. In questo modo i governi si trasformano in regimi antidemocratici, se non dittatoriali, e rispondono ad una coesione sociale su base etnica, rompendo la solidarietà avvenuta nel momento delle lotte anticoloniali. Sankara in Burkina Faso e Lumumba nell'ex-Congo Belga, complici Francia, Belgio e Usa vengono assassinati; un complotto, agevolato dalla CIA manda in esilio dal Ghana il presidente Nkrumah: tra malattie e attentati, assassinii ed esili si perde la pretesa di instaurare un socialismo africano radicato nella cultura africana.

I presidenti degli stati africani, precedentemente nominati, cominciarono a sostenere la fine delle ideologie che minacciavano l'unità e la stabilità nazionali, di fatto creando uno sviluppo basato sul capitale privato, ed una economia fondata sull'esportazione delle materie prime, senza nessun controllo dei prezzi di vendita, reprimendo duramente le opposizioni in favore di un monopartitismo.

E allora cosa è la Red Africa di cui si parla nel titolo? L'autore distingue una seconda fase di afro-marxismo tra gli anni '60-'70 che coinvolse paesi come il Burkina Faso, il Congo-Brazzaville, la Libia, l'Etiopia per citarne alcuni, dedicando maggiore attenzione ai movimenti anticoloniali delle colonie portoghesi. Questi ultimi cercarono di coniugare meglio la lotta marxista con la conoscenza delle peculiarità e i bisogni dei propri paesi . La situazione in cui si trovarono Cabral per la Guinea Bissau e Capoverde, Neto e de Andrade per l'Angola, Dos Santos, Mondlane e Samora Machel per il Mozambico era dovuta al fatto che la lotta si dovette concentrare non solo contro lo sfruttamento delle risorse locali e della forza lavoro ma anche contro la concorrenza dei lavoratori poveri portoghesi esortati a trasferirsi nelle colonie. Il Portogallo spedisce i coloni perché negli anni '60 ha una economia stagnante, poche risorse materiali e industrie e un livello di disoccupazione preoccupante: instaura una politica di assimilazione, pretendendo di comporre un mondo di armonia razziale. Si forma una piccola borghesia locale, inserita nelle amministrazioni locali, cui si concede la cittadinanza per meriti. Così si formano i vari leader, che, pero', si radicalizzano guardando non solo all'Urss, ma anche alla Cina di Mao e a Cuba. Cabral vede tre fasi: quella della rivoluzione-nazione contro colonialismo, con l'alleanza delle diverse classi sociali (assimilati piccolo-borghesi e contadini) ; la successiva in cui emergono le differenze di classe e la terza in cui la piccola avanguardia borghese sacrifica i suoi privilegi per identificarsi con le masse. Sono molto interessanti gli esperimenti locali di democrazia nelle zone liberate, che cercano di inglobare le specificità locali con gli obiettivi rivoluzionari. Furono rose e fiori? No, naturalmente. Emersero sempre i contrasti tra i capi, provenienti da fasce privilegiate e i contadini, le contese etniche mai sopite. Questa eredità politica viene comunque invocata dall'autore come possibilità di emanciparsi oggi dall'ordine capitalistico mondiale, rivalutando vittorie e sconfitte del marxismo africano, rifiutando l'anarchismo nero, istituendo una nuova solidarietà tra il Nord e il Sud globali.

Sono evidenti molte ingenuità nelle proposte, ma almeno hanno il pregio di alludere ad una possibile speranza di cambiamento, per sconfiggere questo neo-liberismo che ormai ha vinto nel mondo anche in Cina e in Russia. Ingenuità sì, ma ricordiamoci che le speranze e le illusioni sono state capaci di smuovere le montagne in varie epoche del pianeta Terra...

 

 

 

 

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