S.J. Naudé
Padri e fuggitivi
edizioni e/o, 2025
traduzione dall’inglese di Silvia Montis
L’autore di questo romanzo è un sudafricano che ha ricevuto nel corso della sua attività di scrittore (è anche avvocato) numerosi premi e riconoscimenti, confermandolo presso critica e pubblico, erede dei grandi della letteratura sudafricana come Nadine Gordimer, Damon Galgut e M.Coetzee. Padri e fuggitivi in realtà ci mette di fronte a una società dove manca proprio la figura paterna per assenza fisica o per mancanza di responsabilità e di comunicazione.
L’aridità delle terre che il protagonista attraversa, siano esse zone povere o di alto livello tecnologico, riflette questa disperata mancanza di assunzione di responsabilità e di comunicazione. Un elogio dell’incomunicabilità su cui fin dagli anni ‘60 artisti del cinema e della letteratura si sono espressi.
L’azione si svolge in varie città diverse tra loro e metafora di stati d’animo e di sconvolgimenti storici: da Londra a Belgrado, a Città del Capo, a una remota zona campestre del Sudafrica e infine sorprendentemente in Giappone. Chi le attraversa è il protagonista, Daniel, che rivela subito il suo orientamento sessuale in un incontro con due serbi in una galleria d’arte. Non sono propriamente degli artisti ma degli individui nomadi di cui si scopre la vera identità solo alla fine del primo racconto. Un primo racconto dove con brutale eleganza si descrive il sesso dapprima consumato con ambiguità - due di nascosto dal terzo - per passare poi alla condivisione totale. Da una parte c’è Daniel di estrazione borghese (vive a Londra e la casa paterna è a Città del Capo) dall’altra i due serbi che lo conducono in una degradata Belgrado facendosi pagare tutte le spese, modalità cui lui può solo aderire. Da una circostanza casuale si passa a una inquietante concatenazione di accadimenti e a imprevedibili colpi di scena. Questo è lo stile che impronta anche gli altri racconti con lo stesso protagonista.
Si segue un monitoraggio dei mali delle persone, (la demenza del padre di Daniel, la leucemia del piccolo Motlale) e delle città che li ospitano, tra cui Tokyo, dove Daniel accompagnerà un bambino malato per una terapia sperimentale. A Tokyo tra l’altro, Daniel dovrebbe trovare ispirazione, per un articolo che gli è stato richiesto, sull’architettura della città. Daniel ha è già in mente il tiitolo “Architettura e morte” : Se si aprissero le porte di ogni piano nello stesso istante... Pensa al miagolio che si leverebbe, un lamento che farebbe arrivare il dolore di Tokyo bel oltre l’arco di luce della città. C’è inoltre una parola che Daniel ha trovato a proposito delle case piccole e inabitabili fatte più per rifugiarsi come animali feriti che per riposarsi: kodakushi che significa “morire soli e inosservati”.
Nel romanzo, l’autore scandaglia il rapporto di Daniel col padre, mai uscito dalla sua negatività a causa dell’autoritarismo del vecchio; ora che la demenza lo ha colto gravemente, Daniel si diverte a raccontargli le sue storie d’amore gay, nei momenti di maggiore passività del vecchio, provando gusto a liberarsi davanti a lui anche se non capisce. Il padre alterna a questi momenti di assenza, altri di straordinaria loquacità e lucidità che addirittura spaventano il figlio come se si trovasse di fronte un estraneo. Alla morte del padre, evento che aveva brevemente risvegliato l’urgenza di scrivere in Daniel ( ma ci sono anche altri momenti in cui cerca ispirazione, durante l’incontro con i due serbi per esempio, lasciandosi portare per mano dagli eventi e trovando forse solo nella scrittura una curioso attaccamento alla vita) esce fuori il testamento. Lì Daniel riceve un specie di ricatto: avrà la sua parte di eredità se andrà a trovare il cugino Theon con cui si era perso di vista da tempo, in una remota regione del Sudafrica, nel Freestate. Qui inizia un altro capitolo della sua vita che seguiremo fino alla morte. Un bambino malato e un altro rapito fanno da contrappunto alle azioni dei due cugini che si sono ritrovati e sembrano riempire con la loro fratellanza e convivenza il vuoto familiare che li ha circondati fino a quel momento.
Segreti sepolti e i caratteri contrastanti dei due cugini con l’imprevisto sempre all’angolo della strada caratterizzano il racconto di cui si lascia al lettore il piacere dello svelamento. Certamente Naudé sa congegnare molto bene situazioni differenti e caratteri contrastanti e come nei racconti di Damon Galgut, il tutto è avvolto in un’aura di disperata aridità, di denuncia di una impossibile evoluzione positiva del mondo.
Vorremmo chiedere anche noi a lui, come avviene nel romanzo, quando Daniel dopo aver visto una mostra, sente il bisogno di interrogare l’artista che ha esposto : Di cos’hai paura? Da cosa vuoi scappare, cosa cerchi di tenere a distanza? Si ha sempre l’impressione che il finale buono, la soluzione positiva non esista e dove te lo aspetti, l’autore beffardamente te lo neghi costantemente. Oppure, al di là di una intenzione provocatoria legata a un pensiero preciso o a una ideologia, questa scrittura potrebbe esprimere solo la creatività preziosa dell’intellettuale, del suo estetismo letterario ampiamente premiato? O entrambe le cose. Ai posteri l’ardua sentenza.